Corte di Cassazione ordinanza n. 21177 depositata il 5 luglio 2022
motivazione meramente apparente – erronea indicazione della norma processuale violata
Rilevato che:
1. M.M. proponeva all’Agenzia delle entrate, Centro operativo di Pescara, istanza di rimborso per un totale di euro 81.611,53, per le ritenute operate dall’INPS sulla pensione a lui corrisposta negli anni 2005, 2006, 2007, invocando a fondamento di tale istanza, in fatto, di essere residente in Svizzera dal 1997 e, in diritto, la disposizione dell’art. 29 della Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera, ratificata con 23 dicembre 1978, n. 943,
L’Agenzia delle entrate rigettava l’istanza.
2. La Commissione tributaria provinciale di Pescara, adita dal contribuente, respingeva il ricorso.
3. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo rigettava l’appello con la sentenza 156/10/14, pronunciata in data 16 dicembre 2013 e pubblicata in data 11 febbraio 2014.
4. Ricorre contro la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo M.M. con due motivi; resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 4 maggio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31 agosto 2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che:
1. Il ricorrente propone tre motivi di ricorso.
1.1 Con il primo motivo, rubricato al paragrafo n. 2 del ricorso, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132 e 112 cod. proc. civ. per l’impossibilità di coglierne la ratio decidendi recando essa una motivazione soltanto apparente (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.).
Evidenzia infatti che la sentenza, pur soffermandosi a lungo sulla descrizione della disciplina di riferimento, faccia però un mero ed astratto elenco di giurisprudenza e norme, citate testualmente, senza applicarle al caso concreto, configurandosi il caso di una motivazione graficamente presente ma inidonea a rivelare la ratio decidendi e perciò da considerarsi meramente apparente e tale da adattarsi a qualunque decisione; ciò anche in considerazione dei numerosi elementi probatori che egli aveva offerto, puntualmente elencati nel ricorso, volti a dimostrare come non solo risiedesse ma anche domiciliasse in Svizzera dal 1997, unitamente alla propria famiglia (contratto di acquisto con mutuo dell’abitazione, polizze assicurative, contratti di lavoro della moglie, attestazioni di frequenza del liceo e della Università del figlio, pagamenti di tutte le utenze, abbonamento ai quotidiani locali), e non avesse la disponibilità di alcun immobile in Italia, unicamente lavorando per una società con sede a pochi chilometri dalla propria abitazione in Svizzera, peraltro tutti elementi già vagliati positivamente in altra controversia dalla C.T.P. di Como e dalla C.T.R. della Lombardia.
1.2 Con il secondo motivo di ricorso, rubricato al 3 dello stesso, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2, secondo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dell’art. 43 cod. civ. e dell’art. 4, secondo comma, lett. a) della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera, ratificata con I. 23 dicembre 1988, n. 943 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
Ove la ratio decidendi sia da ravvisare nell’accoglimento della tesi dell’ufficio fondata sul domicilio italiano del ricorrente, ritenuto in base alla circostanza che egli fosse amministratore delegato della società B&B Italia s.p.a., con sede in Novedrate, il ricorrente lamenta la violazione di legge in quanto ai fini dell’individuazione del domicilio, rilevante ai sensi dell’art. 2 d.P.R. 917 del 1986 e 43 cod. civ., occorre la valutazione di tutti gli affari e interessi della persona, sia patrimoniali che personali, questi ultimi peraltro da ritenersi, in caso di conflitto, prevalenti, ai sensi dell’art. 7, n. 1, comma 2, della direttiva 83/182/CEE, nonché della circolare n. 140 del 1999 del Ministero delle Finanze, Dipartimento delle entrate, e dell’art. 4 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera.
Evidenzia ancora in fatto che, oltre alla circostanza che tutti i propri interessi personali e familiari fossero radicati in Svizzera dal 1997, la carica di amministratore di B&B Italia s.p.a. era condivisa con altre quattro persone ed egli aveva delegato direttori degli stabilimenti di Novedrate, Misinto ed Ascoli Piceno altri tre soggetti, con vasta gamma di poteri e infine che Novedrate fosse a poca distanza dalla propria residenza svizzera.
1.3 Con il terzo motivo, rubricato al paragrafo 4 del ricorso, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 18 e 19 della Convenzione Italia Svizzera, ratificata con 23 dicembre 1978, n. 943 e dell’art. 57, comma 2, d.lgs. 546 del 1992 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
Deduce infatti che, ai sensi di tali disposizioni, il fisco italiano non ha potere impositivo per le pensioni erogate da enti privati come l’INPS, non aventi natura pubblicistica, in favore di soggetti residenti in Svizzera e ciò a prescindere dalla circostanza che il contribuente abbia o meno effettivamente versato imposte in Svizzera; che tale eccezione comunque l’Agenzia aveva tardivamente introdotto in giudizio solo nel
grado di appello, violando la preclusione di cui all’art. 57 d.lgs. 546 del 1992; infine che egli comunque aveva prodotto un certificato dell’Ufficio circondariale di tassazione di Lugano, attestante la sua soggezione a imposta nel Cantone Ticino, da cui risultava che gli importi versati dall’INPS erano stati integralmente tassati, documento oggetto di discussione nel corso del giudizio di appello.
2. Il primo motivo è fondato.
2.1 Si deve premettere, in relazione all’indicazione delle norme violate contenuta nella rubrica del motivo, che è evidente che il riferimento sia all’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che detta il contenuto della sentenza resa nel giudizio tributario; in tema di ricorso per cassazione, l’erronea indicazione della norma processuale violata, nella rubrica del motivo, non determina ex se l’inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto dell’impugnazione, che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. 23/05/2018, n. 12690); nel caso di specie gli ulteriori riferimenti normativi e il tenore delle difese consentono di comprendere agevolmente la doglianza del ricorrente, volta a censurare il vizio di mancanza di motivazione dovuto dalla presenza di una motivazione apparente con conseguente nullità della
2.2 La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, 4, cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando la motivazione <<manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero … essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata>> (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598).
In particolare si è in presenza di una <<motivazione apparente>> allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie ed ipotetiche congetture. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella <<perplessa e incomprensibile>>; in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un errar in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232 e le sentenze in essa citate).
2.3 Nel caso di specie, benchè la motivazione sia graficamente presente ed anzi anche estesa, di fatto essa si traduce nella mera riproposizione di norme di legge e di principi giurisprudenziali, senza nessun riferimento concreto al caso di specie; a ben vedere infatti la prima pagina dei motivi della decisione contiene una trasposizione di varie disposizioni del t.u.i.r., relative alla residenza fiscale, alla presunzione di residenza per i cittadini trasferiti in paesi con fiscalità privilegiata, alla tassazione dei redditi prodotti in Italia nonché alla tassazione delle pensioni, diversa a seconda della natura del soggetto erogatore (di fatto le regole esposte negli artt. 2, comprensivo del comma 2-bis, 3, 23 u.i.r.), senza che però il caso concreto sia sussunto in alcuna di tali astratte fattispecie; tale parte è poi seguita dall’esposizione di alcuni principi di origine giurisprudenziale relativi al riparto dell’onere probatorio nei giudizi di rimborso di ritenute effettuate nello Stato estero, cui segue la trasposizione del testo dell’articolo 29 della Convenzione (recte, della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera) e la lapidaria affermazione che, in merito a quanto da esso disposto, <<nulla ha provato il contribuente>> (considerazione che non si fa carico di esaminare i numerosi documenti prodotti dal ricorrente, puntualmente indicati nel ricorso; dalla stessa esposizione del fatto compiuta dalla sentenza emerge che la C.T.P. li aveva ritenuti <<insufficienti>>, il che attesta però che una produzione documentale vi fosse); la motivazione prosegue poi con il richiamo di una sentenza di legittimità relativa alle ipotesi in cui una persona fiscale abbia la residenza fiscale in due Stati membri dell’Unione europea (che non riguarda strettamente il caso di specie, in quanto la Svizzera non ne fa parte, e le cui conclusioni come riportate comunque tenderebbero ad avvalorare la tesi del contribuente, fondata sulla prevalenza del luogo ove egli ha stabilito i propri interessi personali e familiari) e di nuovo torna sulla illustrazione dell’art. 2 t.u.i.r. e sugli oneri probatori in materia di giudizio di rimborso.
Trattasi in buona sostanza di una motivazione contenente affermazioni del tutto neutre, adatte a qualunque decisione, che non consente all’interprete di comprendere la reale ratio decidendi, poiché, anche facendo riferimento allo svolgimento del processo, non vi è mai una qualificazione del fatto concreto, che imponeva preliminarmente di accertare quale fosse la residenza fiscale del contribuente al fine di valutare la sussistenza di una doppia imposizione.
Sono assorbiti gli altri motivi.
2.4 Ricorrendo quindi ipotesi di nullità della sentenza impugnata, per motivazione meramente apparente, la stessa va pertanto cassata e la causa va rinviata alla C.T.R. dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui spetterà anche il compito di regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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