La Corte di Cassazione sez. Penale con la sentenza n. 35502 del 26 agosto 2013 intervenendo in tema di reati fallimentari ha affermato che colui che è stato condannato alla pena patteggiata di due anni di reclusione per il delitto di bancarotta fraudolenta non può essere inabilitato per dieci anni dall’esercizio di un’impresa commerciale.
Gli Ermellini hanno accolto le doglianze del ricorrente ritenendole “perfettamente conforme” a quanto disposto dal citato articolo del codice di rito penale. Pertanto procedevano a cassare la sentenza dei giudici di merito senza rinvio dell’impugnata sentenza limitatamente all’applicazione delle pene accessorie.
La Corte Suprema con la sentenza n. 796 del 08 gennaio 2013 , la Quinta Sezione Penale, ha invece chiarito che “la pena accessoria che consegue alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta ai sensi dell’art. 216, ultimo comma, legge fall., è indicata in misura fissa e inderogabile dal legislatore nella durata di anni dieci quindi, a prescindere dalla durata della pena principale” (Cass. n. 30341 del 2012; n. 269 del 2010; n. 17690 del 2010), con conseguente inapplicabilità dell’articolo 37 del codice penale (pene accessorie temporanee). Indirizzo che non è stato scalfito dall’intervento della Consulta (sent. n. 134 del 2012), che ha dichiarato inammissibili le prospettate questioni di costituzionalità, poiché inerenti a materia riservata al Legislatore, “risolvendosi le suddette questioni in una richiesta di pronuncia additiva e contenuto non costituzionalmente obbligato”.
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