CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 maggio 2020, n. 15556
Reati tributari – Omesso versamento dell’IVA – Rilevanza penale – Pene accessorie – Durata – Determinazione da parte del giudice
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data del 18.9.2018 il Tribunale di Lagonegro ha condannato O.F. alla pena di sei mesi di reclusione ritenendola responsabile del reato di cui all’art. 10 ter d. lgs. 74/2000 per omesso versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale del 2011 per l’ammontare di complessivi € 636.686. 2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione per saltum il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza lamentando la mancata applicazione delle pene accessorie previste dall’art. 12 d. lgs. 74/2000.
Considerato in diritto
Il ricorso deve ritenersi meritevole di accoglimento.
In relazione all’applicabilità delle pene accessorie di cui all’art. 12 d. lgs. 74/2000 si registrano in seno a questa Corte due diversi filoni interpretativi. Secondo un primo indirizzo le stesse, pur trovando applicazione in via automatica in presenza di condanna per uno dei delitti di cui al medesimo decreto legislativo, sono tuttavia rimesse, nella fissazione della relativa durata, alla piena discrezionalità del giudicante che le determina in concreto facendo ricorso ai criteri dettati dall’art. 133 cod. pen. nell’ambito dell’intervallo temporale indicato dalla stessa norma (Sez. 3, n. 4916 del 14/07/2016 – dep. 02/02/2017, Bari, Rv. 269263; conf. Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013 – dep. 29/08/2013, Agrama e altri, Rv. 256581 secondo cui quando la durata di una pena accessoria temporanea è determinata dalla legge nella misura minima ed in quella massima, non trova applicazione il principio dell’uniformità temporale tra pena accessoria e pena principale previsto dall’art. 37 cod. pen.).
In termini difformi si sono invece pronunciate altre sentenze affermando, sulla scorta della pronuncia a Sezioni Unite n. 6240 del 27/11/2014, che debbano essere ricondotte nel novero delle pene accessorie la cui durata non è espressamente determinata dalla legge penale quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, trovando in tal caso applicazione l’art.37 cod. pen. che impone al giudice di uniformarne la durata a quella della pena principale inflitta in concreto (Sez. 3, n. 8041 del 23/01/2018 – dep. 20/02/2018, P.G. in proc. Cariessi e altri, Rv. 272510; conf. Sez. 5, n. 1963 del 7/12/2018, dep. 2019, Piermartiri): ciò in quanto si è ritenuto che l’art. 37 cod. pen. detti un criterio generale in materia di pene accessorie nel senso che la loro durata – qualora “non espressamente determinata” – sia legata a quella della pena principale inflitta, come confermato dalla regola sussidiaria stabilita dal secondo periodo dello stesso art. 37 cod. pen., in forza della quale la durata della pena accessoria in nessun caso può superare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di essa.
Ritiene tuttavia questo Collegio che il riferito contrasto si dissolva alla luce della recentissima pronuncia, pur riferita al reato di bancarotta fraudolenta ed alle pene accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma, l. fall., delle Sezioni Unite che, nel superare l’indirizzo espresso dalla precedente sentenza n. 6240 del 2015, hanno affermato che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 cod. pen. (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019 – dep. 03/07/2019, Suraci, Rv. 276286 che ha annullato con rinvio la sentenza che aveva irrogato agli imputati le pene accessorie conseguenti al reato di bancarotta fraudolenta per il periodo fisso di dieci anni). Nel richiamare la sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018 che ha indotto il giudice delle leggi a negare che in linea di principio la durata unica e fissa delle pene accessorie, previste dall’art. 216, ultimo comma, l. fall., sia compatibile con i principi costituzionali di proporzionalità e di necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio, le Sezioni Unite, nell’escludere che la collocazione sistematica dell’art. 37 cod. pen. a conclusione delle altre disposizioni sulle pene accessorie autorizzi ad elevarne la disciplina al rango di regola generale, hanno definitivamente scartato l’opzione interpretativa che impone di ancorare la durata delle sanzioni accessorie all’entità della pena principale della reclusione, ritenendo che si tratti di un criterio soltanto residuale, cui fare ricorso nei casi in cui la legge in astratto sia priva di qualsiasi indicazione sul profilo temporale che circoscriva e guidi l’esercizio del potere dosimetrico del giudice.
Conseguentemente, la mancata pronuncia del Tribunale di Lagonegro in punto di pene accessorie, così come previsto dall’art. 12 d. lgs. 74/2000, impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio, stante la preclusione per questa Corte di provvedere sulla determinazione della loro durata, la quale postula una valutazione discrezionale improntata ai parametri di cui all’art. 133 c.p., al medesimo Tribunale.
Va ciò nondimeno precisato che per effetto del principio della formazione progressiva del giudicato, che copre, in conseguenza della pronuncia di parziale annullamento, i capi della sentenza ed i punti della decisione impugnati che non hanno connessione essenziale con la parte annullata, così come disposto dall’art. 624 cod. proc. pen., resta fermo l’accertamento del reato così come l’affermazione di responsabilità dell’imputato, con conseguente inapplicabilità di eventuali cause estintive sopravvenute (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 12 d. lgs. 74/2000 con rinvio al Tribunale di Lagonegro. Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto.
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