CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 settembre 2013, n. 22062
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Apertura (dichiarazione) di fallimento – Iniziativa – Istanza del p.m. – Presupposti di cui all’art. 7 legge fall. – Doverosità della richiesta – Equiparabilità al fallimento d’ufficio – Esclusione – Necessità del contemporaneo ricorso di altri creditori – Insussistenza.
La IMCO (…) s.p.a. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 62225/12 con cui veniva rigettato il reclamo dalla medesima proposto avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 457/2010 che ne aveva dichiarato il fallimento.
L ’ intimato non ha svolto attività difensiva.
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta che il fallimento, siccome dichiarato su iniziativa del pubblico ministero ed in assenza di istanze di altri creditori ricorrente, sia stato dichiarato d’ufficio.
Il motivo è manifestamente infondato.
L’iniziativa del pubblico ministero ai fini di ottenere la dichiarazione d’insolvenza è prevista dagli art. 6 e 7 l.f. e, come già ritenuto da questa Corte, la doverosità della sua richiesta può fondarsi dalla risultanza dell’insolvenza, alternativamente, sia dalle notizie proprie di un procedimento penale pendente, sia dalle condotte, del tutto autonome indicate dalla norma che non sono necessariamente esemplificative né di fatti costituenti reato né della pendenza di un procedimento penale, che può anche mancare. (Cass. 9269/11).
Avendo la legge previsto espressamente tale potere pubblico d’iniziativa da parte di un soggetto diverso dal giudice non può in alcun modo affermarsi che il fallimento dichiarato su iniziativa del PM sia dichiarato d’ufficio essendo tale ipotesi, non più prevista dalla legge, limitata in passato al caso in cui l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento era stata assunta dallo stesso organo giudicante.
Né è necessario che, per poter procedere alla dichiarazione di fallimento, si assommino iniziative di altri creditori oltre a quella del PM in quanto, una volta attivato il procedimento, lo stesso segue il proprio corso volto all’accertamento della sussistenza o meno dello stato d’insolvenza.
Con il secondo motivo la società ricorrente assume che, a seguito della dichirazione d’ufficio, si verificherebbe una violazione del diritto di difesa e del principio d’imparzialità del giudice.
La manifesta infondatezza del motivo discende da quanto detto in relazione al primo motivo e ,cioè, che nel caso di specie non vi è stata alcuna iniziativa d’ufficio essendo questa stata assunta dal PM in piena conformità della legge fallimentare.
Anche il terzo motivo con cui si contesta la sussistenza dello stato d’insolvenza è manifestamente infondato, avendo la Corte d’appello dato atto che da un procedimento penale instaurato dalla Procura della Repubblica di Velletri è emerso che la società aveva nel 2009 un indebitamento nei confronti dell ’Erario di oltre 18 milioni di euro e che lo stesso liquidatore della società aveva dichiarato che non c’era altra alternativa al chiedere il fallimento della società e che, infine, l’incapacità a far fronte alle proprie obbligazioni risultava dalla relazione della Guardia di Finanza di Velletri.
Tale motivazione appare del tutto congrua e, del resto, la società ricorrente non deduce di avere prospettato nel giudizio di merito elementi tali da contraddire siffatte risultanze.
Il ricorso può pertanto essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.
P.Q.M.
Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.
Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che pertanto il ricorso va rigettato senza pronuncia di condanna della ricorrente alle spese processuali non avendo il fallimento svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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