Corte di Cassazione sentenza n. 1220 del 18 gennaio 2013
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – RAPPORTO DI LAVORO – TRASFERIMENTO DI AZIENDA – ART. 2112 COD. CIV. – APPLICABILITÀ – RAPPORTO DI LAVORO – OPERATIVITÀ AL MOMENTO DEL TRASFERIMENTO – NECESSITÀ – ESCLUSIONE
massima
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In tema di trasferimento di azienda, l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. non risulta preclusa dalla circostanza che il rapporto di lavoro in questione non sia, di fatto, operante al momento del trasferimento, rilevando che il rapporto con il cedente sia, o possa essere, in atto “de iure” anche se non “de facto”, ovvero in caso di licenziamento inefficace perché intimato solo oralmente.
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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Latina respingeva il ricorso proposto da C. D. M. il quale, nel premettere di aver lavorato dal 15 ottobre 1996 alle dipendenze della G. s.r.l. presso il ristorante da questa gestito all’interno del complesso V. R. P. (di proprietà della M. P. s.r.l. e gestito dalla G. A. s.r.l.), deduceva di essere stato verbalmente licenziato dal custode giudiziario, nominato a seguito di sequestro dell’azienda, poi trasferita alla M. P. s.r.l. ed ancora alla G. A. s.r.l., e chiedeva che venisse accertata l’illegittimità e/o nullità del licenziamento intimatogli oralmente e l’accertamento della persistenza del rapporto di lavoro con la G. A. s.r.l. con conseguente condanna al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate sulla base della retribuzione da ultimo percepita.
Ad avviso del Tribunale infatti non sarebbe stata acquisita la prova dell’applicabilità al rapporto dedotto in giudizio della disciplina dell’art. 2112 c.c. in relazione al dedotto trasferimento di azienda dalla G. s.r.l., da parte del custode giudiziario, alla M. P. s.r.l. e quindi alla G. A. s.r.l.
Sottolineava il Tribunale che il D. M. venne assunto direttamente dalla G. s.r.l., che aveva ricevuto in gestione dalla società M. P. l’azienda di ristorazione senza alcun dipendente.
Successivamente, per effetto di inadempimenti da parte della società G. s.r.l., l’azienda venne sottoposta a sequestro giudiziario e, quindi all’esito del giudizio di merito, venne restituita alla proprietaria M. P. che l’aveva originariamente ceduta senza dipendenti. In tale situazione di fatto il Tribunale ha ritenuto che non si fosse realizzata la fattispecie di pluralità di cessioni di azienda e dunque non trovasse applicazione l’art. 2112 c.c. invocato dal ricorrente e la relativa tutela.
Il D. M. impugnava la sentenza chiedendo l’accoglimento delle domande formulate con il ricorso introduttivo.
La G. A. s.r.l. si costituiva in giudizio resistendo al gravame e proponendo appello incidentale condizionato con il quale chiedeva che fosse condannata al pagamento delle somme eventualmente riconosciute la G. s.r.l.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 10 dicembre 2009, dichiarava l’inefficacia del licenziamento e la prosecuzione del rapporto di lavoro col D. M. con la G. A. s.r.l. Condannava inoltre quest’ultima e la G. s.r.l., in solido, al pagamento delle retribuzioni maturate sino al passaggio dell’azienda alla G. A. s.r.l., e per il periodo successivo solo quest’ultima.
Osservava la Corte di merito che l’art. 2112, c.c., modificato dall’art. 47, legge n. 428 del 1990, che ha recepito la direttiva comunitaria 77/187/Cee (successivamente modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 18 del 2001), doveva interpretarsi, anche in applicazione del canone dell’interpretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale alla norma di diritto comunitario ed in base all’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia della Comunità europea con le sentenze 25 gennaio 2001 (C-172/99), 26 settembre 2000 (C-175/99) e 14 settembre 2000 (C-343/98), nel senso che la disposizione citata è applicabile anche nei casi in cui il trasferimento di azienda non derivi da atto negoziale ma sia riconducibile ad un atto autoritativo, purché accertata la cessione di elementi materiali significativi (Cass. n. 13949/03; Cass. n. 21023/07).
La Corte capitolina accertava che nella specie, a causa di inadempimenti da parte della cessionaria, risultava legittima la conclusione, da parte del custode, di un contratto di affitto di azienda, soggetto pertanto alla disciplina di cui all’art. 2112 c.c..
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società G. A., affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste il D. M. con controricorso, poi illustrato con memoria. Le società G. e M. P. s.r.l. restavano intimate, così come L. F. G., custode giudiziario dell’azienda.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ai presupposti legittimanti la tutela prevista dall’art. 2112 c.c..
Lamenta che il licenziamento intimato al D. M. in data 31 luglio 2001, avvenne contestualmente alla esecuzione del sequestro giudiziario, allorquando i due unici dipendenti della G. sarebbero stati licenziati, mentre l’affitto dell’azienda alla società G. A. avvenne con scrittura autenticata del 20 febbraio 2002, sicché risultava inipotizzabile qualsiasi prosecuzione dell’attività imprenditoriale di ristorazione alla data del 31 luglio 2001, tanto più ininterrotto, come affermato dal giudice di appello (“illegittimamente pertanto il rapporto di lavoro con il D. M., dipendente della gestione aziendale affidata alla G. s.r.l. è stato risolto in occasione del passaggio dell’azienda in virtù di un contratto di affitto stipulato dal custode giudiziario, alla società G. A.”, pag. 4 sentenza impugnata).
Deduceva che non poteva aversi trasferimento di azienda nell’immissione nel possesso del custode giudiziario, che non era imprenditore e comunque non avrebbe potuto svolgere alcuna attività di impresa senza espressa autorizzazione del giudice dell’esecuzione (che in effetti solo successivamente autorizzò l’affitto dell’azienda alla società G. A.), allorquando l’attività dell’azienda era ferma da tempo e, soprattutto, era priva di dipendenti da oltre sei mesi, non potendo dunque operare la garanzia di cui all’art. 2112 c.c. che presuppone la vigenza di rapporti di lavoro, risultando inapplicabile ai lavoratori che siano stati ma non siano più, al momento del trasferimento, dipendenti della stessa.
Il motivo è infondato.
Se è infatti corretta la premessa (circa la necessità della vigenza di un rapporto di lavoro ai fini dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c., ex multis, Cass. 29 marzo 2010 n. 7517), è errata la conclusione, posto che l’applicazione di tale norma non risulta preclusa dalla circostanza che il rapporto di lavoro in questione non sia, di fatto, operante al momento del trasferimento, rilevando che il rapporto con il cedente sia, o possa essere, in atto de iure anche se non de facto (per effetto di controversia giudiziaria anche successiva al trasferimento, Cass. 12 giugno 1998 n. 5909; Cass. 25 marzo 2003 n. 8228), ovvero in caso di licenziamento inefficace perché intimato solo oralmente (Cass. 4 giugno 1999 n. 5519), come nella specie. Questa Corte ha infatti più volte affermato che il licenziamento orale è assolutamente privo di effetti, con la conseguente persistenza del rapporto di lavoro (Cass. 1 agosto 2007 n. 16955, Cass. 8 giugno 2005 n. 11946), anche dunque al momento dell’affitto dell’azienda alla attuale ricorrente.
Con il secondo motivo la società denuncia una omessa motivazione in ordine alla limitazione del danno in virtù dell’aliunde perceptum, risultante dalla documentata attività svolta dal lavoratore immediatamente dopo l’interruzione del rapporto di lavoro con la società G., che doveva comunque ritenersi solidalmente responsabile dei crediti vantati ex art. 2112 c.c. (quando non totalmente responsabile per non essersi “peritata di ricollocare il suo lavoratore in altra attività”, pagg. 28-29 odierno ricorso). Lamenta comunque che, pur essendo nell’impossibilità di poter esattamente quantificare gli importi percepiti dal D. M.” (pag. 31), aveva offerto sin dal giudizio di primo grado presso il Tribunale di Latina, elementi documentali (che si riservava di depositare nel presente giudizio di legittimità) ai fini della verifica di sicuri redditi, occultati da controparte, limitativi se non totalmente ablatori del presunto diritto al risarcimento del danno (pag. 32).
Il motivo è inammissibile. Ed invero, pur avendo la società incontestatamente eccepito l’aliunde perceptum, depositando documentazione al riguardo (rapporto investigativo di cui è specificato il contenuto e l’ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, ex plurimis Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), la Corte di merito non ha affatto esaminato l’eccezione.
In tal caso, tuttavia si versa in ipotesi non di omessa motivazione (che presuppone che la questione sia stata decisa sia pur con difetto di motivazione), ma di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c), vizio che non è stata denunciato dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, in favore del D. M., pari ad euro 40,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge. Nulla per le spese quanto alle parti rimaste intimate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 ottobre 2012.
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