Corte di Cassazione sentenza n. 12928 del 24 luglio 2012
LAVORO SUBORDINATO – RAPPORTO DI LAVORO – LIBERO PROFESSIONISTA – AVVOCATO E PROCURATORE – ONORARI E DIRITTI – ATTIVITÀ STRAGIUDIZIALE
massima
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Il professionista esercente l’avvocatura che presti la propria assistenza al cliente in ambito stragiudiziale consegue il diritto ad essere retribuito per tale attività nella misura in cui la prestazione non sia connessa ovvero complementare a quella giudiziale, con la determinazione delle eventuali maggiorazioni contemplate dalla tariffa sì da adeguarne gli importi alle questioni trattate ed all’importanza della causa.
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Svolgimento del processo
Con sentenza n. 5649U999 il Giudice di Pace di Roma rigettava l’opposizione proposta dall’A. s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo con il quale le era stato intimato il pagamento della somma di lire 2.911.580 in favore dell’avv. R. C., a titolo di compenso per le prestazioni professionali espletate in una procedura di recupero crediti.
L’A. s.p.a. proponeva appello avverso tale pronuncia, deducendo che il primo giudice aveva riconosciuto in favore del professionista compensi non dovuti, in assenza di prova degli incarichi ricevuti e delle prestazioni rese, e in difformità delle tariffe applicabili. L’appellante, pertanto, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo e, in subordine, una riduzione degli importi liquidati in favore del professionista, con la condanna dell’appellato alla restituzione della somma di lire 7.619.193 versata in esecuzione della sentenza impugnata, oltre interessi e rivalutazione..
A seguito dell’interruzione del processo dovuta alla morte dell’opposto e della successiva riassunzione ad opera dell’appellante, si costituiva l’avv. F. C., quale unico erede dell’appellato, il quale si riportava alle conclusioni già rassegnate dal suo dante causa.
Con sentenza depositata il 31-12-2004 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento dell’appello, revocava il decreto ingiuntivo opposto, rideterminando il credito complessivo del professionista in euro 512,00 e condannando l’A. a versare al C. il predetto importo, oltre agli interessi legali dai 25-9-1997 al saldo. Il giudice di appello, inoltre, rigettava la richiesta di restituzione delle maggiori somme versate, per mancanza di prova dell’effettivo pagamento.
Per la cassazione dì tale sentenza ha proposto ricorso l’A. s.p.a., sulla base di due motivi.
L’avv. C. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato a due motivi.
La ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c.
Con ordinanza collegiale questa Corte ha disposto l’acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudizio di merito.
Motivi della decisione
1) In primo luogo deve disporsi la riunione dei due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
2) Con il primo motivo la ricorrente principale lamenta la violazione degli artt. 115, 169 c.p.c. e 87 disp. att. c.p.c, nonché il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. Assume di aver offerto al giudice di merito la prova documentale del pagamento della somma, depositando all’udienza del 18-10-2000 copia degli assegni e la dichiarazione dì ricevuta dell’avv. C.. Aggiunge che quest’ultimo né in detta udienza né in quella successiva ha disconosciuto la propria sottoscrizione né la ricezione degli assegni, essendosi limitato a contestare “quanto ex adverso dedotto e prodotto”. Rileva che, risultando dal verbale di udienza l’avvenuto deposito di tale documentazione e non avendo l’A. mai chiesto di essere autorizzata a ritirare il proprio fascicolo, il Tribunale, non avendo rinvenuto i documenti prodotti, non poteva rigettare la domanda restitutoria avanzata dall’appellante per difetto di prova, ma avrebbe dovuto disporre le opportune ricerche di tali documenti, o in alternativa consentire il rinnovo del loro deposito.
Il motivo è fondato.
Ai sensi dell’art. 87 disp. att. c.p.c, dopo la costituzione delle parti la produzione dei documenti, oltre che mediante deposito in cancelleria e successiva comunicazione alle altre parti nelle forme stabilite dall’art. 170, ultimo comma, c.p.c.., può essere effettuata in udienza facendone menzione nel relativo verbale, mediante esibizione del documento alla controparte e deposito presso il cancelliere, ancorché non si sia proceduto all’inserimento del documento nel fascicolo di parte (Cass. 11-4-1988 n. 2837; Cass. 3-6-1978 n. 2794).
Nella specie, dall’esame diretto degli atti del giudizio di appello, consentito a questa Corte data la natura procedurale del vizio denunciato, risulta che effettivamente, all’udienza di appello del 27-3-2000, il difensore dell’odierno ricorrente ha prodotto documentazione a dimostrazione dell’avvenuto pagamento della somma posta a carico dell’A.P.I: con la sentenza appellata. Di tale produzione il giudice di appello ha dato atto nel verbale di udienza, che cosi recita: “L’avv. Di F. deposita l) lettera A.P.I. del 27-3-2000 con relativi allegati assegni 2) lettera avv. C. del 4-4-2000 con fatture allegate, documenti comprovanti il pagamento della sentenza di I grado L’avv.. F. C. contesta quanto ex adverso dedotto e prodotto”.
Trattandosi, pertanto, di documentazione ritualmente prodotta in giudizio ai sensi dell’art. 87 dsp. att. c.p.c, non può condividersi il giudizio espresso dal giudice di appello, il quale, non avendo rinvenuto, al momento della decisione, i documenti indicati nel menzionato verbale di udienza (ad eccezione della lettera del 27-3-2000), senza compiere alcuna indagine sulle cause della materiale mancanza in atti dì tale documentazione, ha ritenuto non provato dall’appellante l’avvenuto pagamento di somme in esecuzione della sentenza di primo grado.
Infatti, l’accertata mancanza di atti e documenti che risultano essere stati ritualmente prodotti in giudizio comporta, di regola, l’obbligo del giudice di disporre la ricerca di essi, con i mezzi a sua disposizione, ed eventualmente di svolgere l’attività ricostruttiva del loro contenuto; mentre la riconduzione dell’asportazione di atti e documenti mancanti alla condotta volontaria della parte che ti aveva prodotti costituisce solo una eccezione a tale regola, la quale può essere fondata su presunzioni deducibili dalla concreta modalità dei fatti, anche in relazione all’efficacia probatoria degli stessi (Cass. 22-12-1995 n. 13058). Nello stesso senso, si è affermato che il mancato rinvenimento, al momento della decisione della causa, di documenti che la parte invoca, comporta per il giudice l’obbligo di disporre la ricerca di essi con i mezzi a sua disposizione ed eventualmente l’attività ricostruttiva del contenuto dei medesimi, a condizione che gli atti e i documenti siano stati prodotti ritualmente in giudizio e che l’omesso inserimento di essi nel fascicolo non debba essere attribuito alla condotta volontaria della parte (Cass. 12-10-2006 n. 21938; Cass. 27-4- 2005, n. 8720; Cass. 2-8-2001 n. 10598; Cass. 16-7-1997 n. 6521).
Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio ritiene di dover aderire, il Tribunale di Roma, verificato che i documenti in questione erano stati ritualmente prodotti dalla società appellante, avrebbe potuto legittimamente decidere la causa senza tener conto di tale produzione solo se avesse accertato la riconducibilità del mancato rinvenimento dei documenti stessi alla condotta della parte che li aveva prodotti; mentre, qualora avesse escluso una simile evenienza, avrebbe dovuto disporre le opportune ricerche dei documenti mancanti tramite la Cancelleria, ed eventualmente concedere un termine all’appellante per la ricostruzione del loro contenuto, non potendo gravare sulla parte incolpevole le conseguenze del mancato reperimento.
L’accoglimento dei motivo in esame comporta l’assorbimento del secondo, con il quale l’A. s.p.a. ha denunciato la violazione degli artt. 214 e 215 c.p.c., sostenendo che, non avendo l’opposto disconosciuto la quietanza di pagamento prodotta, avente contenuto confessorio, il giudice dì appello non avrebbe potuto ritenere superata l’efficacia probatoria di tale documento per effetto dì una mera contestazione della controparte.
3) Con il primo motivo il ricorrente incidentale, dolendosi della violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c. e dell’omesso esame di un punto decisivo della controversia, deduce che con l’atto di appello l’A. si era limitata ad impugnare la decisione di primo grado solo con riferimento agli onorari e che, pertanto, il giudice del gravame non poteva esaminare le voci non contestate.
Il motivo è fondato.
Dalla lettura dell’atto di appello (consentita per la natura dei vizi denunciati) risulta che la società A.P.I.., con il secondo motivo di gravame, aveva impugnato la sentenza di primo grado con riferimento alle sole voci riconosciute in favore dell’avv. C. a titolo dì onorario per il procedimento di ingiunzione e per la procedura esecutiva, nonché alle attività propedeutiche all’esecuzione,, per le quali aveva riconosciuto la debenza dei soli compensi relativi alla redazione dei precetti.
Il Tribunale, pertanto, nel procedere, sia per la fase monitoria che per quella esecutiva, alla rideterminazione non solo degli onorari, ma anche dei diritti e delle spese, è incorso nel vizio di ultrapetizione, il quale ricorre quando il giudice di merito pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dalle parti ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio.
4) Con il secondo motivo il C. sostiene che il Tribunale, nel determinare la misura degli onorari, ha applicato il principio della liquidazione a carico dei soccombente, in violazione dell’art. 2 delle Disposizioni Generali in materia di attività giudiziale. Rileva, inoltre, che lo stesso giudice, nello statuire che il compenso per gli onorari è fisso e determinato in un’unica voce, ha disapplicato l’art. 2 delle Norme Generali in materia stragiudiziale, non avendo tenuto conto di tutta l’attività professionale e collaterale svolta dal professionista al di fuori delle strette necessità processuali.
La prima doglianza è infondata, avendo il Tribunale proceduto alla liquidazione dei compensi dovuti dalla società A.P.I. al proprio legale avv. C. e non essendo, quindi, configurabile alcuna violazione dell’art. 2 delle Disposizioni Generali in materia di attività giudiziale, il quale dispone che “gli onorari e i diritti sono sempre dovuti all’avvocato ed al procuratore dal cliente indipendentemente dalle statuizioni del giudice sulle spese giudiziali”.
Appare invece meritevole di accoglimento la seconda censura.
L’art. 2 delle Disposizioni Generali in materia stragiudiziale dispone che “i rimborsi e i compensi previsti per prestazioni stragiudiziali sono dovuti dal cliente anche se il professionista abbia avuto occasione di prestare nella pratica la sua opera in giudizio, in quanto tali prestazioni non trovino adeguato compenso nella tariffa per le prestazioni giudiziali”.
Tale norma è stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso che, affinché il professionista che stia prestando assistenza giudiziale al cliente possa avere diritto ad un distinto compenso per prestazioni stragiudiziali, è necessario che tali prestazioni non siano connesse e complementari con quelle giudiziali. Ove sussista tale connessione, gli compete solo il compenso per l’assistenza giudiziale, eventualmente maggiorato sino al quadruplo (art. 5, commi 2 e 3, della tariffa giudiziale), in relazione alle questioni giuridiche trattate ed all’importanza della causa, tenuto conto dei risultati del giudizio, anche non patrimoniali, e dell’urgenza richiesta (Cass. Sez. Un. 24-7-2009 n. 17357; Cass. 29-5-2008 n. 14443; Cass. 12-6- 2007 n. 13770; Cass. 23-5-1992 n. 6214; Cass. 23-7-1979 n, 441 1).
Nella specie, pertanto, il giudice di appello avrebbe dovuto accertare se le attività stragiudiziali dedotte dal professionista dovessero o meno ritenersi connesse e complementari rispetto a quelle giudiziali rese in favore dell’A.P.I., e in caso negativo liquidare un compenso distinto per tali prestazioni. Il Tribunale, al contrario, ha proceduto alla liquidazione dell’onorario unico previsto dalla tariffa professionale in materia di prestazioni giudiziali, senza verificare se vi fosse connessione tra le attività stragiudiziali e quelle giudiziali.
5) Per le ragioni esposte s’impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione del Tribunale di Roma, il quale provvedere anche in ordine alle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente grado ad altra Sezione del Tribunale di Roma.
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