Corte di Cassazione sentenza n. 13932 del 12 aprile 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – IMPRESA DI CARPENTERIA E VIOLAZIONI DI SICUREZZA – VIGILANZA E PRESCRIZIONE
massima
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Vi è la responsabilità del titolare di un’impresa di carpenteria in ordine alle contravvenzioni di cui:
– a) al D.P.R. 164/1956, artt. 8 e 77, lett. c), (per avere consentito l’utilizzazione, in un cantiere edile, di una scala a mano non adeguatamente posizionata e vincolata);
– b) al D.P.R. 164/1956, artt. 16 e 77, lett. c), (per avere consentito, nello stesso cantiere, l’esecuzione di lavori su un solaio non munito di idoneo parapetto e di tavole fermapiede).
La responsabilità del datore di lavoro in materia di infortuni è fondata sul disposto dell’art. 2087 c.c., in base al quale l’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio delle imprese, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; rispetto alla norma suddetta, che impone – Cass. civ., Sez. lavoro, 23/09/2010, n. 20142 – all’imprenditore un obbligo generale di diligenza – la cui violazione determina la responsabilità del datore di lavoro sul quale incombe l’onere di provare di aver adottato tutte le misure di prevenzione necessarie e che l’infortunio non è casualmente ricollegabile alla inosservanza di tale obbligo.
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FATTO
Il Tribunale di Pesaro, con sentenza dei 15.2.2010, ha affermato la responsabilità penale di (Omissis), titolare di impresa di carpenteria, in ordine alle contravvenzioni di cui:
a) al Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 8 e 77, lettera c), [(per avere consentito l’utilizzazione, in un cantiere edile, di una scala a mano non adeguatamente posizionata e vincolata – acc. in (Omissis)];
b) al Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 16 e 77, lettera c), (per avere consentito, nello stesso cantiere, l’esecuzione di lavori su un solaio non munito di idoneo parapetto e di tavole fermapiede) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato, per ciascun reato, alla pena di euro 300,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del (Omissis), il quale ha eccepito:
– la carenza di un accertamento diretto del mancato rispetto delle prescrizioni di sicurezza sul luogo di lavoro, poiché le violazioni contestate sarebbero state dedotte unicamente da circostanze che gli ispettori verbalizzanti avrebbero “appreso da altri”;
– l’insussistenza di entrambe le contestate violazioni al Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, tenuto conto delle effettive caratteristiche del cantiere;
– la incongruità del mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra le due contravvenzioni ritenute sussistenti.
DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Va rilevato, infatti:
a) Quanto alla prima doglianza (tra l’altro formulata in termini non specifici), che gli accertamenti vennero direttamente effettuati da personale dell’ASUR di (Omissis), intervenuto nel cantiere edilizio in seguito ad un infortunio sul lavoro ivi accaduto. Nell’occasione venne effettuata una ricognizione fotografica e vennero impartite prescrizioni di adeguamento all’impresa esecutrice, la successiva intervenuta ottemperanza alle quali (non accompagnata, però, dal versamento della somma che avrebbe consentito l’oblazione) dimostra ad evidenziata contrastante ed irregolare situazione dei luoghi all’epoca in cui quelle prescrizioni vennero impartite.
b) Il secondo motivo di ricorso introduce censure in punto di fatto della sentenza impugnata, a fronte dell’accertamento di cui il giudice del merito ha dato conto con motivazione adeguata e razionalmente riferita anche alle deposizioni testimoniati raccolte. Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale detta decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
c) La terza censura è manifestamente infondata, perché correttamente l’unicità del disegno criminoso, vertendosi in ipotesi contravvenzionali, non è stata affermata in carenza della dimostrazione che le singole violazioni fossero state tutte previste e deliberate sin dall’origine nette loro linee essenziali e riconducibili ad un unico momento volitivo, che non può essere presunto per la sola circostanza dell’identità dei beni aggrediti con le condotte illecite.
Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria detta stessa consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro mille/00 in favore della cassa delle ammende.
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