Corte di Cassazione sentenza n. 15888 del 20 settembre 2012
RAPPORTO DI LAVORO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – IMPUGNAZIONE PROPOSTA DA UN RAPPRESENTANTE DEL LAVORATORE – CONOSCENZA DELL’ATTO DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO ENTRO IL TERMINE DI DECADENZA
massima
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L’atto di impugnazione del licenziamento ha natura di negozio giuridico unilaterale recettizio, ex art. 1335 c.c., e come tale deve giungere a conoscenza del destinatario per produrre i suoi effetti; in particolare, deve pervenire all’indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall’art. 6 della L. 604/1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare; ne consegue che il deposito dell’istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l’impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione, non è sufficiente ad impedire la decadenza, ma è necessario a tal fine che la comunicazione della convocazione pervenga al datore di lavoro prima del termine di sessanta giorni previsto dalla legge, ovvero che il lavoratore provveda autonomamente a notificargli tale richiesta, senza attendere la comunicazione dell’ufficio, onde evitare il rischio del maturarsi della decadenza.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata depositata il 19/3/07 la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale, ha dichiarato inefficace il licenziamento collettivo intimato dalla Cooperativa A.M., Spettacolo e Turismo S. L. B., addetta come barista in un bar gestito dalla C. presso la AUSI, con altri 5 colleghi anch’essi licenziati, ed ha condannato la datrice di lavoro al risarcimento del danno quantificato in 15 mensilità dell’ultima retribuzione.
La Corte territoriale ha ritenuto, infatti, fondata la contestazione formulata dalla lavoratrice di inosservanza della procedura di mobilità di cui all’art. 4 della legge 23 luglio 1991 n. 223. Ha rilevato che la Cooperativa si era limitata, peraltro solo in primo grado, a dedurre che era stata attivata la procedura ed effettuate le comunicazioni prescritte per legge e che, tuttavia, non era stato raggiunto un accordo con i sindacati. Secondo la Corte d’Appello la C., in spregio alle disposizioni contenute nei commi 6, 7, 8, 9 e 11 dell’art. 4 della legge n. 223/1991, aveva ritenuto l’accordo con i sindacati elemento del tutto ultroneo. La Corte ha rilevato che la mancata ed esaustiva applicazione dell’iter previsto dalla legge determinava l’inefficacia del licenziamento collettivo basato su criteri generici, discrezionali e non verificabili in assenza di un mancato accordo con i sindacati al quale era doveroso pervenire, secondo le disposizioni di legge, al fine di garantire i lavoratori. La Corte territoriale ha osservato, altresì, che il numero di ore straordinario che l’azienda aveva proseguito a far lavorare ad alcuni dipendenti rendeva verosimile che l’individuazione dei lavoratori da porre in mobilità fosse stata sottratta a qualsiasi controllo. In ultimo, la Corte d’Appello ha respinto l’eccezione di decadenza dall’impugnativa del licenziamento effettuata con lettera datata 12/12/2000 sottoscritta dal solo legale della B.. Ha, infatti, ritenuto che fosse sufficiente un mandato anche solo verbale purché desumibile per acta e, comunque, evincibile dal giudice in sede contenziosa. Nella specie la volontà della lavoratrice risultava inequivoca potendo essere desunta dalla procura ad impugnare successivamente conferita allo stesso legale che aveva sottoscritto la precedente lettera. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso la Cooperativa formulando 7 motivi di impugnazione. La resistente, intimata, non si è costituita. La Cooperativa ha depositato memoria ed un precedente di questa Corte relativo ad altra lavoratrice anch’essa licenziata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la C. censura la sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 5, comma 3, L. n. 223/1991, dell’art. 1324 c.c., dell’art. 1392 c.c. e dell’art. 1399 c.c. (art. 360 n. 3 cpc).
Rileva che la Corte d’Appello aveva ritenuto che il licenziamento comunicato con lettera del 16/11/2000, fosse stato validamente impugnato con lettera del 12/12/2000 sottoscritta dal solo legale della lavoratrice. Deduce che, invece, al legale era stata conferita valida procura con data certa solo in data 7/2/01 (procura stragiudiziale per il tentativo di conciliazione davanti alla commissione con oggetto impugnativa licenziamento) ben oltre il termine di decadenza; che altra procura datata 7/12/00 era priva di data certa e tardivamente depositata. La ricorrente lamenta che la Corte territoriale si era discostata dall’orientamento consolidato della giurisprudenza della Suprema Corte secondo il quale l’impugnativa del licenziamento costituisce atto giuridico (non negoziale) unilaterale tra vivi a carattere patrimoniale al quali si applicano le norme dei contratti in quanto compatibili; che quindi era ammissibile l’impugnativa mediante un rappresentante munito di procura rilasciata con atto scritto sempre che la procura o la ratifica fossero comunicati al datore di lavoro prima dello spirare del termine di decadenza di 60 giorni.
Deduce, inoltre, che la necessità che la procura o la ratifica del procuratore siano comunicati prima dello spirare dei 60 giorni è connessa a quanto previsto dall’art. 1399 c.c. che sancisce l’efficacia della ratifica con salvezza dei diritti dei terzi ed in rapporto all’impugnativa del licenziamento il datore di lavoro era terzo. Il motivo è fondato.
Costituisce giurisprudenza consolidata che l’impugnativa del licenziamento può essere fatta anche da un rappresentante del lavoratore investito del relativo potere mediante procura rilasciata in forma scritta sempre che la procura o la ratifica dell’operato del rappresentante avvenga per allo scritto portato a conoscenza del datore di lavoro entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento (v. Cass n. 8262 dell’1/9/97; Cass n. 11178 del 7/10/1999: n. 8412 del 20/6/2000; n. 12507 del 21/9/2000; n. 11116 del 15/5/2006; n. 26699 del 18/12/07 – relativa ad altra lavoratrice licenziata insieme alla B.-, n. 11280 del 16/5/07).
Deve sottolinearsi, infatti, che l’impugnazione del licenziamento proposta in sede stragiudiziale pur non avendo carattere negoziale, è tuttavia atto unilaterale tra vivi a contenuto patrimoniale e ad essa, pertanto, a norma dell’art. 1324 cod. civ., si applicano le disposizioni che regolano i contratti ivi compresa la norma di cui all’art. 1392 c.c. secondo la quale si estende alla procura la forma prescritta per il contratto che il rappresentante deve concludere, essendo tale norma – che non presuppone la natura bilaterale o plurilaterale dell’atto – perfettamente compatibile con gli atti unilaterali. E invece incompatibile con gli atti unilaterali che devono essere compiuti entro un termine perentorio (e con gli atti interruttivi della prescrizione) la retroattività della ratifica sancita dall’art. 1392 c.c., posto che le esigenze di certezza sottese alla fissazione dei termini di prescrizione e decadenza non sono conciliabili con l’instaurazione di una situazione di pendenza suscettibile di protrarsi in maniera indeterminata, ben oltre la loro scadenza, e la cui durata rimarrebbe nell’esclusiva disponibilità del “dominus” (cfr Cass. n. 8262/97). Sulla base di tali considerazioni non può ritenersi valida l’impugnazione del licenziamento proveniente dal difensore del lavoratore privo di preventiva procura scritta, né può riconoscersi effetto retroattivo alla successiva ratifica, che pertanto può raggiungere i suoi effetti solo se comunicata entro il termine di decadenza di cui all’art. 6 legge n. 604 del 1966. Nella specie il licenziamento è stato comunicato alla lavoratrice con lettera del 16/11/2000 ed e stato impugnato con lettera sottoscritta dall’avv. M. in data 12/12/2000.
Secondo la Corte d’appello ,ai fini della valida impugnativa del licenziamento, doveva ritenersi sufficiente un mandato anche solo verbale ed, inoltre, la volontà inequivocabile di conferire il mandato al legale trovava conferma nella circostanza che allo stesso legale era stata conferita la procura per l’impugnativa del licenziamento davanti alla commissione di conciliazione. In sostanza la Corte territoriale ritiene sussistere una ratifica attraverso la successiva procura del 7/2/01 rilasciata dalla B. al legale, ma omette di valutare che tale procura è pervenuta a conoscenza della datrice di lavoro ben oltre il termine di decadenza fissato dall’art. 6 legge n. 604/1966.
L’infondatezza della tesi sostenuta dalla Corte territoriale è stata già rilevata da questa Corte con sentenza n. 26699/2007 relativa ad altra lavoratrice licenziata dalla C. unitamente alla B.
Con i successivi motivi la ricorrente censura, sotto vari profili, la sentenza impugnata con riferimento alla pronuncia di inefficacia del licenziamento collettivo per inosservanza della procedura di mobilità di cui alla L. n. 223/1991. Tutti tali motivi restano assorbiti dall’accoglimento del primo motivo relativo all’intervenuta decadenza dall’impugnativa.
La sentenza della Corte d’Appello di Bologna deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto e Recidendo nel merito ex art. 384 cpc non occorrendo ulteriori accertamenti, deve essere respinta la domanda della ricorrente volta ad ottenere l’accertamento dell’irregolarità della procedura di mobilità, la dichiarazione di inefficacia del licenziamento e la conseguente pronuncia, di risarcimento del danno.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di causa in ragione della diversa valuta/ione dei giudici di merito.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese dell’intero processo.
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