CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 luglio 2013, n. 16738
Lavoro – Datore di lavoro – Ex lavoratore – Corresponsione mensilità – Dichiarazioni dipendente – Decreto ingiuntivo
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 1°.7.09 la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa in data 11.2.05 dal Tribunale capitolino, rigettava l’opposizione proposta da G.A. contro il decreto ingiuntivo notificatogli dal suo ex dipendente P.V.N. per il pagamento delle 14e mensilità non corrispostegli negli anni 1986/95.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’A. affidandosi a due motivi.
Il N. resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1- Con il primo motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza ha attribuito alla deposizione del teste D. un significato del tutto inconciliabile con quanto da lui riferito circa il pagamento, in sua presenza, delle 14e mensilità, avendo il teste chiarito di aver sempre assistito -insieme con P.A. e, talvolta, con G.A. – al pagamento di qualunque emolumento ai dipendenti, nonché di avervi provveduto personalmente dopo la morte di P.A..
Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha attribuito alla deposizione del teste D. un significato del tutto inconciliabile con il suo contenuto, avendo il teste dichiarato di non aver controllato se i dipendenti firmassero per quietanza le buste paga, il che contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello – non collideva affatto con quanto riferito da G.A. in sede di libero interrogatorio, allorquando aveva asserito che le retribuzioni erano corrisposte da suo padre e che non sempre le buste paga venivano sottoscritte prima di essere archiviate.
2-1 due motivi – da esaminarsi congiuntamente perché connessi, avendo entrambi ad oggetto la valutazione d’una medesima testimonianza – sono infondati.
Premesso che con essi si deduce, in sostanza, un travisamento della prova, va rilevato che l’impugnata sentenza ha escluso che esistesse sufficiente prova dell’avvenuto pagamento delle 14e mensilità, a tanto non bastando l’unilaterale dichiarazione resa dall’A. in sede di redazione dei mod. 101 e la deposizione del teste D., ravvisando nelle dichiarazioni di quest’ultimo un contrasto con le affermazioni rese in sede di libero interrogatorio da G.A., secondo cui le retribuzioni venivano materialmente consegnate ai dipendenti dal padre P..
Il ricorrente nega tale contrasto perché il teste avrebbe, nella propria deposizione, distinto i due periodi, nel senso che P.A. avrebbe curato la consegna delle retribuzioni nel periodo 1986/95, mentre solo dopo tale arco temporale vi avrebbe personalmente provveduto il D..
La censura si rivela ininfluente vuoi perché oggetto di causa è un periodo (1986/95) anteriore a quello in cui il D. (secondo quel che si sostiene in ricorso) avrebbe provveduto personalmente alla consegna delle retribuzioni (periodo che in ricorso – v. pag. 13 – viene collocato dopo il 1995), vuoi perché l’impugnata sentenza, in difetto di quietanze sottoscritte dal N., non ha ritenuto sufficiente la testimonianza del D. anche perché contraddetta dalle dichiarazioni di altri colleghi dell’opposto, che hanno negato il pagamento delle 14e mensilità.
Per il resto, il ricorso si dilunga in difformi valutazioni delle risultanze del processo, che l’impugnata sentenza ha esaminato in maniera completa e con motivazione immune di vizi logico-giuridici.
È appena il caso di ricordare che per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema – da cui non si ravvisa motivo alcuno di discostarsi – il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di un fatto decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico – formale la valutazione operata dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 11.6.98 n. 5802 e innumerevoli successive pronunce conformi).
3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione dell’Avv. R.F.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 50,00 per esborsi e in euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, spese da distrarsi in favore dell’avv. R.F., antistatario.
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