CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 gennaio 2014, n. 1839
Tributi – Accertamento – Accertamento sintetico – Percentuali di ricarico modeste – Presunzione – Rilevanza della condotta antieconomica
Ritenuto in fatto
1. A seguito di processo verbale di constatazione emesso dalla Guardia di Finanza in data 16.7.99, l’Ufficio notificava a F.A.M., titolare dell’omonima ditta individuale, un avviso di rettifica ai fini IVA per l’anno di imposta 1997, con il quale l’Amministrazione finanziaria contestava alla contribuente l’omessa contabilizzazione di ricavi, per £. 77.364.000, ed il conseguente mancato versamento della relativa IVA, pari ad € 6.312,58.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Napoli, che accoglieva il ricorso. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate alla CTR della Campania veniva, altresì, rigettato con sentenza n. 195/42/05, depositata il 25.11.05, con la quale il giudice di seconde cure riteneva illegittimo l’accertamento induttivo effettuato dall’Ufficio, in presenza della riscontrata regolarità della documentazione contabile, nonché eccessiva la percentuale di ricarico applicata.
3. Per la cassazione della sentenza n. 195/42/05 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.
Considerato in diritto
1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente- l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione degli artt. 2729 c.c. e 54 d.P.R. 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché la contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
1.1. Avrebbe invero, errato la CTR – a parere della ricorrente – nel ritenere illegittimo il ricorso da parte dell’Amministrazione finanziaria all’accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 d.P.R. 633/72, sebbene in presenza di elementi presuntivi di sicura rilevanza probatoria, desunti dalla sostanziale antieconomicità del comportamento della titolare della ditta F., che aveva dichiarato una percentuale di ricarico, del 9,78%, del tutto irragionevole in relazione al settore di appartenenza della medesima (vendita di abbigliamento al dettaglio) .
1.2. L’impugnata sentenza sarebbe, dipoi, affetta da un evidente vizio motivazionale, avendo, per un verso, affermato che “la bassa percentuale di ricarico dichiarata costituisce sicuro indizio di evasione fiscale”, per altro verso, attribuito – del tutto contraddittoriamente – rilievo decisivo, ai fini della decisione della controversia, alla “riscontrata regolarità della documentazione contabile”. E ciò, sebbene le risultanze del procedimento di rideterminazione del volume di affari della contribuente, fondato sulla media aritmetica semplice, non fossero state specificamente contestate dalla stessa CTR.
2. Le censure suesposte sono fondate.
2.1. Questa Corte ha, difatti, più volte affermato – sia in materia di imposte dirette che di IVA – che, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia aziendale, incombe su quest’ultimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni. In difetto, sarà pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600/73 e 54 del d.P.R. n. 633/72, anche mediante il ricorso ai parametri presuntivi di cui all’art. 3 L.549/95 (Cass. 6918/13; 11599/07).
Ed invero, il potere accertativo dell’Ufficio, ai sensi delle disposizioni succitate, una volta che l’Amministrazione finanziaria abbia applicato i parametri presuntivi, personalizzati in relazione alla specifica situazione del contribuente, ed abbia soppesato e disatteso le contestazioni proposte da quest’ultimo in sede amministrativa, non può ritenersi condizionato da alcun altro incombente. E neppure tale potere di accertamento potrebbe considerarsi in alcun modo impedito dalla regolarità della contabilità tenuta dal contribuente, che non può costituire – a fronte di una condotta antieconomica del medesimo sintomatica dell’evasione di imposta – neppure una valida prova contraria in presenza degli elementi presuntivi desumibili dai parametri suindicati (cfr., ex plurimis, Cass. 7871/12; 6929/13; 3197/13).
2.2. Ebbene, tanto premesso in via di principio, ritiene la Corte che, nel caso di specie, l’Ufficio abbia correttamente effettuato – su circa il 90% della merce esistente in magazzino, come si evince dalla stessa impugnata sentenza – una comparazione tra i prezzi dei capi esposti in vendita e le relative fatture di acquisto e, tenendo conto del ricarico assai modesto (9,78%) esposto dalla contribuente in dichiarazione, abbia – dipoi – corretta- mente operato, in assenza di elementi di segno contrario forniti dalla F., un ricarico nella misura del 40%, secondo la media aritmetica semplice; criterio, questo, peraltro neppure espressamente censurato dalla CTR. A fronte di tali elementi, il giudice di appello si è, invero, limitato – peraltro in contrasto con l’indicata misura del monte merci esaminate dall’Ufficio (90%)- ad una generica allegazione circa il fatto che l’accertamento si sarebbe fondato “su dati parziali”, senza, tuttavia, dedurre espressamente, motivando al riguardo, che il campione di merce fosse inadeguato per qualità e quantità (Cass. 7653/12).
2.3. Ma non basta. La sentenza impugnata appare, per vero, affetta anche dal censurato vizio motivazionale, laddove, dopo avere chiaramente affermato che “la bassa percentuale di ricarico dichiarata” costituisce “un sicuro indizio di evasione fiscale”, ha dipoi, del tutto contraddittoriamente, fondato la decisione essenzialmente sulla ritenuta “regolarità della documentazione contabile”; dato, questo, tra l’altro, di per sé non significativo sul piano probatorio – come dianzi detto – a fronte di una condotta della contribuente costituente sicuro indizio di evasione.
2.4. Per tutti i motivi esposti, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate non può che essere accolto.
3. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; condanna l’intimata alle spese del presente giudizio che liquida in € 1.500,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.
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