CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 24355 depositata il 10 agosto 2023
Tributi – Avviso di accertamento – Maggior reddito – IRPEF – IRAP – IVA – Percentuali di ricarico – Accertamento analitico-induttivo – Contabilità formalmente tenuta – Antieconomicità di un’operazione – Accoglimento
Rilevato che
– l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, propone ricorso, affidato a un motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di G.P. avverso la sentenza n. 2176/01/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente, titolare di ditta esercente attività di commercializzazione all’ingrosso di prodotti cartotecnici e, avverso avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F., ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1, lett. D) e del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 54 aveva rideterminato un maggior reddito ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 1998, derivante dall’applicazione di un ricarico medio ponderato pari al 36% per cento, superiore a quello dichiarato del 22,42% essendo emerso un costo del venduto di gran lunga superiore ai ricavi fatturati con una evidente gestione antieconomica dell’attività di impresa;
– in punto di diritto, la CTR, per quanto di interesse, ha affermato che i risultati derivanti dalle percentuali di ricarico non potevano essere considerati prove certe dell’esistenza di elementi attivi non dichiarati, costituendo soltanto degli indizi che necessitavano di essere supportati da ulteriori elementi probatori onde assumere i caratteri di gravità, precisione e concordanza; nel caso di specie, non si riscontravano elementi che potevano essere considerati indizi di evasione tali da supportare il ricarico operato dall’Ufficio;
– il contribuente è rimasto intimato.
Considerato che
– con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1, lett. D) e del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 54 in combinato con l’art. 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto illegittimo l’accertamento analitico-induttivo in questione in quanto i risultati derivanti dalle percentuali di ricarico costituivano soltanto degli indizi non supportati da ulteriori elementi probatori onde assumere i caratteri della gravità, precisione e concordanza, sebbene, come si evinceva dal p.v.c. della GdF, il costo del venduto pari a L. 546.554.240 (determinato sommando il valore delle merci giacenti all’inizio del 1998 a quello degli acquisti di merce come da fatture e sottratto il valore delle merci giacenti alla data dell’accesso del 23.6.98) superasse di gran lunga i ricavi dalle vendite pari a L. 351.250,507 e a L. 258.272.432, al netto della percentuale media di ricarico del 36% applicata dalla ditta stessa per gli anni di imposta 1996-1997, con evidente gestione aziendale antieconomica che si concretizzava in vendite sottocosto;
– il motivo è fondato;
– la giurisprudenza costante di questa Corte ha chiarito che, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, i ricavi possano essere ritenuti falsi anche in base alla loro sproporzione, per difetto, rispetto ai costi e che, in tale contesto, sia possibile un accertamento analitico-induttivo, il quale tenga conto delle poste passive indicate dal contribuente, per ricostruire i ricavi effettivi (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 20422 del 21/10/2005, Rv. 585383-01, secondo cui l’accertamento analitico-induttivo, è sempre legittimo quando l’esposizione dei ricavi sia talmente ridotta rispetto ai costi da indurre a ritenere antieconomica la gestione). In particolare è stato da tempo chiarito che “l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata” (ex multis: Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014); egualmente, in materia di IVA, è stato soggiunto che “l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (cfr., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638202-01; eadem, Sez. 5. Ordinanza n. 25217 del 11/101/2018; n. 32624 del 2019);
– si è ribadito che, a prescindere dal metodo di accertamento adottato (analitico-induttivo o induttivo), l‘apparente antieconomicità di un’operazione costituisce elemento presuntivo, della capacità contributiva non dichiarata, che libera gli accertatori da altri incombenti probatori, e determina l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale è tenuto a dimostrare la regolarità dell’operazione, anche in relazione alla sua apparente antieconomicità (conf., con riferimento all’accertamento analitico-induttivo: Cass. n. 27804 del 2018; Cass. n. 34709 del 2019; Cass., sez. 5, n. 39814 del 2021; Cass. sez. 5, n. 501 del 2023);
– peraltro va ribadito l’orientamento tradizionale della Sezione secondo cui: “In tema di accertamento analitico induttivo del d.p.r. n. 600 del 1973, ex art. 39 comma 1, lett. d) le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziati, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse.” (Cass., sez. 5, sentenza n. 27330 del 29/12/2016, Rv. 642387 – 01). Vi è dunque una presunzione di continuità, sicché è parte contribuente che deve provare la ragione e misura della diversità tra anno ed anno (Cass. sez. 5, 11717 del 2022);
– nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, atteso che – a fronte dell’emersa percentuale di ricarico negativa, per l’anno di imposta 1998, in quanto il costo del venduto pari a L. 546.554.240 era risultato superiore di gran lunga ai ricavi fatturati pari L. 258.272.432, al netto della percentuale di ricarico del 36% determinata dai verbalizzanti sulla base della percentuale applicata dalla ditta stessa per gli anni di imposta 1996 e 1997 (v. stralcio del p.v.c. della G.d.F. riportato in ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza) – ha affermato che “i risultati derivanti dalle percentuali di ricarico non potevano essere considerati prove certe dell’esistenza di elementi attivi non dichiarati, ma costituivano solo indizi che dovevano essere supportati da ulteriori elementi probatori onde assumere i caratteri di gravità, precisione e concordanza”; con ciò senza considerare che l’apparente antieconomicità di un’operazione costituisce elemento presuntivo della capacità contributiva non dichiarata che libera gli accertatori da altri incombenti probatori, e determina l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente;
– in conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione.
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