Corte di Cassazione, sentenza n. 23587 depositata il 2 agosto 2023

omessa motivazione – transfer pricing

FATTI DI CAUSA

In data 14 marzo 2011 l’Agenzia delle Entrate notificò alla O.S. s.r.l. (di seguito “O.S.”) il processo verbale di constatazione contenente i seguenti rilievi ai fini IRES e IRAP in relazione ai periodi di imposta 2007, 2008 e 2009:

  1. rideterminazione, ai fini IRES, ai sensi dell’art. 110, comma 7, t.u.i.r. degli interessi attivi percepiti da O.S. in relazione al contratto denominato “Cash management service for Group Treasury” (di seguito “Contratto di Cash Pooling”) sottoscritto in data 20 marzo 2001 tra O.S. e la società United Technologies Intercompany Lending Ireland Limited (di seguito “UTILI”) avente sede in Irlanda (di seguito “Rilievo Cash Pooling”). In particolare, l’Ufficio aveva riqualificato il Contratto di Cash Pooling alla stregua di un contratto di finanziamento e aveva rideterminato il tasso degli interessi attivi percepiti da O.S. in misura oscillante tra il 5,1 e il 6,5% (in luogo del tasso applicato dalla Società e oscillante tra il 3,5 e il 4,8%,);
  2. rideterminazione, ai fini IRES e IRAP, ai sensi dell’art. 110, comma 7, t.u.i.r., della royalty corrisposta da O.S. alla società americana O.S. Elevator Company in relazione al “Contratto di licenza relativo a marchi e denominazioni sociali” e al “Contratto di assistenza tecnica e licenza d’uso di dati tecnici, know-how e brevetti” sottoscritti in data 1 ° gennaio 2004 (di seguito “Rilievo Royalty”). In particolare, l’Ufficio aveva ritenuto non congrua la royalty pattuita nei predetti contratti pari al 3,5% del fatturato rideterminandola in misura pari al 2% e disconoscendone la deducibilità in misura pari alla differenza tra i suddetti tassi.

Sulla base dei rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione l’Ufficio emise nei confronti di O.S. e UTHI s.r.l. con socio unico (di seguito “UTHI”) i seguenti atti impositivi:

  1. avviso di accertamento n. TSB030200205/2011 notificato a O.S. in relazione al periodo di imposta 2007 con il quale, sulla base del Rilievo Cash Pooling e del Rilievo Royalty, è stata accertata maggiore IRES e maggiore IRAP, irrogando le relative sanzioni;
  2. avviso di accertamento n. TSB0E0200246/2013 notificato a O.S. ed a UTHI (in qualità di società consolidante) in relazione al periodo di imposta 2008 con il quale è stata accertata, sulla base di entrambi i predetti rilievi, maggiore IRES, irrogando le relative sanzioni;
  3. avviso di accertamento n. TSB030200247/2013 notificato a O.S. per il medesimo periodo di imposta con il quale è stata accertata, sulla base del solo Rilievo Royalty, maggiore IRAP, irrogando le relative sanzioni.

Contro gli avvisi di accertamento O.S. e UTHI proponevano distinti ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino. La CTP, riuniti i ricorsi, annullava il Rilievo Cash Pooling contenuto nell’avviso del 2007 e nell’avviso IRES del 2008, confermando la correttezza del Rilievo Royalty contenuto nell’avviso del 2007 e negli avvisi del 2008.

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, in accoglimento dell’appello incidentale dell’Ufficio e respingendo l’appello principale delle società contribuenti, riformava la decisione di primo grado affermando la legittimità del Rilievo Cash Pooling e confermando la correttezza del Rilievo Royalty, ritenendo così legittimi gli avvisi di accertamento impugnati.

Avverso la sentenza della CTR le società contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, con un motivo.

Le ricorrenti hanno depositato controricorso al ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In relazione al Rilievo Cash Pooling, le ricorrenti principali formulano i seguenti mezzi di impugnazione.

Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. Sostengono le società contribuenti che la motivazione della sentenza impugnata è illogica e contraddittoria in quanto le conclusioni cui perviene la CTR sono del tutto incoerenti rispetto alle premesse del decisum.

Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè l’esistenza di rimesse reciproche intervenute tra O.S. e UTILI con riferimento al contratto di Cash Pooling; tale circostanza – se esaminata – non avrebbe consentito di affermare l’esistenza di un contratto di finanziamento

Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1813 cod. civ., nella parte in cui la CTR ha dichiarato l’esistenza di un contratto di finanziamento nonostante l’assenza dell’obbligo di restituzione delle rimesse attive movimentate tra O.S. e UTILI.

Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1813 cod. civ., nella parte in cui la CTR ha assimilato un c.d. zero balance cash pooling (quale contratto di Cash Pooling) ad un finanziamento anziché ad un contratto di conto corrente.

Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 110, comma 7, e 9, comma 3, t.u.i.r. (normativa in materia di prezzi di trasferimento). Sostengono le ricorrenti che i giudici di appello avevano errato nell’applicare i tassi di interesse utilizzati dalle banche in caso di finanziamento a soggetti terzi; ciò in quanto O.S. ha un profilo funzionale totalmente differente da quello di un operatore finanziario e non sussistendo, nel caso di specie, i rischi di cui gli operatori finanziari tengono conto per determinare i tassi di interesse.

2. In relazione al Rilievo Royalty, le ricorrenti principali formulano i seguenti mezzi di impugnazione.

Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione agli studi economici in materia di prezzi di trasferimento prodotti dalle ricorrenti nonché in relazione all’indipendenza dei soggetti comparabili utilizzati nei predetti studi economici.

Con il settimo motivo le ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. per omessa o apparente motivazione. Sostengono che i giudici di appello hanno omesso di spiegare per quali ragioni alcuni soggetti comparabili utilizzati ai fini CUP Interno (e non contestati dall’Ufficio) non possano essere considerati idonei per valutare la congruità della royalty corrisposta da O.S. nonché perché il CUP Esterno non possa costituire un metodo idoneo per dimostrare il valore normale della predetta royalty.

Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 110, comma 7, e 9, comma 3, t.u.i.r. (normativa in materia di prezzi di trasferimento) per: (a) assenza dei presupposti applicativi della predetta normativa; (b) erroneità del metodo c.d. safe harbour approuch applicato dall’Ufficio al fine di determinare la congruità della royalty; (c) erroneità dell’utilizzo del Transactional Net Margin Method applicato dall’Ufficio per confermare il Rilevo Royalty.

3. In relazione ad entrambi i rilievi, le ricorrenti principali formulano i seguenti mezzi di impugnazione.

Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia in merito alla disapplicazione delle sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento relativo ad IRES e IRAP 2007.

Con il decimo motivo, in via subordinata, si richiede la rideterminazione delle sanzioni irrogate con i tre avvisi di accertamento.

4. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in combinato disposto con gli artt. 52, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1973 e 33, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973

5. In relazione ai primi cinque motivi del ricorso principale, giova premettere che il contratto di cash pooling consiste in un contratto di conto corrente intersocietario in virtù del quale una società (pooler), solitamente la capogruppo, si assume l’onere di gestire un conto corrente accentrato intestato a proprio nome (pool account) in cui confluiscono, in tempi prestabiliti, i saldi, sia positivi sia negativi, dei conti correnti delle società del gruppo aderenti. L’adesione al conto corrente intersocietario di norma prevede l’impegno delle società aderenti a considerare indisponibili i crediti maturandi fino al termine del contratto, che regola modalità e termini di trasferimento dei saldi periferici al pool account e la successiva restituzione della liquidità in capo alle singole società. Si tratta, quindi, della tenuta della cassa comune tra due o più società che, di là dalle modalità di gestione, adempie la funzione di escludere o di limitare l’accesso al credito bancario, finanziando l’impresa partecipante alla cassa comune con gli attivi di cassa dell’altra o delle altre imprese, in rispondenza ai principi contabili nazionali (Cass. n. 15408 del 2022).

L’istituto ha trovato riconoscimento anche nei principi contabili nazionali (OIC14) ed è ricondotto, dalla dottrina maggioritaria, alla figura del contratto atipico, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., a causa mista, differenziandosi, attraverso l’analisi delle prassi aziendali, il c.d. “notional cash pooling” (generante interessi attivi a carico della capogruppo/ tesoriere e a favore delle partecipate/gestite) dal c.d.” zero balance cash pooling“(il quale azzera le partite di dare e avere e genera, in alcune ipotesi al massimo un aggio a favore della capogruppo e a carico delle partecipate per il servizio di tesoreria svolto) (cfr. Cass. n. 20332 del 2019).

Nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate ha rideterminato il tasso degli interessi attivi percepiti dal O.S. in relazione al contratto intercorso tra la medesima e UTILI (contratto di cash pooling) avente ad oggetto la costituzione di un rapporto di conto corrente volto a gestire unitariamente la tesoreria di gruppo. UTILI, in qualità di pooler ovvero tesoriere del gruppo, aveva stipulato con un istituto di credito un apposito contratto di conto corrente bancario a proprio nome, ma nell’interesse delle società del gruppo. Contestualmente O.S. aveva conferito mandato a tale istituto di credito di provvedere alle varie incombenze al fine di dare piena esecuzione al contratto di cash pooling. Nell’ambito di tale contratto, tutte le società partecipanti si sono obbligate al trasferimento giornaliero del proprio saldo di conto corrente bancario (attivo o passivo) alla società pooler, accreditando o addebitando  tali   saldi   sul   conto   pool.   In   conseguenza   di tale trasferimento si determina l’azzeramento dei singoli saldi dei conti correnti propri di ogni società contraente (“zero balance cash pooling”).

Posto che l’Amministrazione finanziaria non contesta che si verta in fattispecie relativa a “zero balance cash pooling” (circostanza che trova peraltro conferma nei documenti allegati al ricorso), va rilevato che la stessa documentazione di prassi dell’Agenzia delle entrate porta ad escludere che, nell’ipotesi in esame, la causa negoziale possa essere assimilata al mutuo. Segnatamente, nella circolare 21/E del 3 giugno 2015, si legge (p. 32) che “con riferimento alle somme movimentate infragruppo in base a contratti di cash pooling nella forma del c.d. zero balance system, si ritiene che non possa configurarsi un’operazione di finanziamento, ai sensi dell’articolo 10 del Decreto ACE. Ciò in quanto, le caratteristiche del contratto – che prevede l’azzeramento giornaliero dei saldi attivi e passivi delle società del gruppo e il loro trasferimento automatico sul conto accentrato della capogruppo, senza obbligo di restituzione delle somme così trasferite e con maturazione degli interessi attivi o passivi esclusivamente su tale conto – non consentono l’effettiva possibilità di disporre delle somme suddette al fine di compiere operazioni potenzialmente elusive”. Tali conclusioni trovano conferma nella risposta ad interpello n. 396 del 29 luglio 2022 (p. 5) ove è specificato che “i contratti di cash pooling nella forma del c.d. zero balance stipulati fra società del gruppo sono caratterizzati da reciproci accrediti e addebiti di somme di denaro che traggono la propria origine dalla girocontazione giornaliera del saldo bancario della società controllata/consociata alla società capogruppo. Per effetto di tale contratto, il saldo del conto corrente bancario intrattenuto dalla società controllata/consociata sarà sempre pari a zero, in quanto lo stesso viene sempre trasferito alla capogruppo. L’assenza dell’obbligo di restituzione delle rimesse attive, la reciprocità delle stesse nonché l’inesigibilità e indisponibilità del saldo del conto corrente fino alla chiusura dello stesso concorrono a qualificare l’accordo negoziale secondo caratteristiche non riconducibili ad un prestito di denaro nel rapporto fra le società del gruppo”.

Ciò posto, la motivazione della sentenza impugnata si pone al di sotto del minimo costituzionale nella parte in cui la CTR ha qualificato il rapporto di cash pooling come finanziamento sulla base della mera affermazione secondo cui “non si rileva nel caso l’obbligo alla restituzione reciproca entro il termine di chiusura del conto”. In tal modo, la commissione regionale ha individuato una generica funzione di contratto di finanziamento nel cash pooling senza distinguere tra “notional cash pooling” e “zero balance cash pooling“, dovendosi invece escludere, alla stregua della stessa documentazione di prassi dell’Amministrazione finanziaria che, nel secondo caso (“zero balance”), possa configurarsi un contratto di mutuo.

La motivazione della decisione gravata non rende quindi percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U. n. 22232 del 2016), avendo il giudice di merito omesso di indicare in modo congruo gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass n. 9097 del 2017).

Va dunque accolto il primo motivo del ricorso principale, con conseguente assorbimento del secondo, terzo, quarto e quinto motivo.

6. Venendo all’esame del sesto motivo del ricorso principale, le società contribuenti lamentano l’omesso esame degli studi economici prodotti in giudizio nei quali erano analizzate le operazioni infragruppo intercorse tra O.S. e le controllate estere. Segnatamente, gli studi economici avevano individuato quale metodologia più appropriata il c.d. “Comparable Uncontrolled Price” (CUP) sia interno che esterno, come del resto ritenuto dalle Linee Guida dell’OCSE in materia di “transfer pricing”, individuando come congrua una royalty pari al 3,5%. Rilevano inoltre le ricorrenti che se la CTR avesse esaminato le prove (affidavit e certificati azionari) volte a dimostrare che O.S. non possedeva partecipazioni di controllo diretto o indiretto nelle società indicate dall’Ufficio avrebbe constatato l’affidabilità del CUP interno contenuto negli studi di settore e la congruità della royalty del 3,5%.

Il motivo è fondato.

Giova premettere che, in tema di determinazione del reddito di impresa, la disciplina di cui all’art. 110, comma 7, t.u.i.r., finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing“, cioè dello spostamento dell’imponibile fiscale in seguito ad operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti, non richiede di provare, da parte dell’amministrazione, la funzione elusiva, bensì la sola esistenza di “transazioni” tra imprese collegate a un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre grava sul contribuente, in virtù del principio di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c. e in tema di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali “transazioni” sono intervenute per valori di mercato da considerare normali ai sensi dell’art. 9, comma 3, del medesimo decreto, tali essendo i prezzi di beni e servizi praticati in condizioni di libera concorrenza, al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e luogo in cui i beni e servizi sono stati acquistati o prestati e, in mancanza, nel tempo e luogo più prossimi e con riferimento, in quanto possibile, a listini e tariffe d’uso, non escludendosi dunque l’utilizzabilità di altri mezzi di prova (Cass. n. 13571 del 2021).

L’art. 110, comma 7, t.u.i.r. è stato modificato dall’art. 59, comma 1, del d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (entrato in vigore il 4 giugno 2017) convertito, con modificazioni, dalla l. 21 giugno 2017, n. 96), stabilendo che «[i] componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31- quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida per l’applicazione del presente comma».

La disciplina primaria è stata quindi integrata dal d.m. 14 maggio 2018, che ha dettato le linee guida per l’applicazione delle nuove disposizioni di cui all’art. 110, comma 7, TUIR. L’art. 4 del succitato decreto ministeriale, in particolare, delinea e definisce cinque metodi per la valorizzazione di un’operazione controllata in base al principio di libera  concorrenza,  premettendo  che  detta  valorizzazione  è determinata applicando il metodo più appropriato alle circostanze del caso. Tra detti metodi figura il metodo del confronto di prezzo (CUP), basato sul confronto tra il prezzo praticato nella cessione di beni o nelle prestazioni di servizi resi in un’operazione controllata con il prezzo praticato in operazioni non controllate comparabili.

Sebbene la modifica legislativa sia stata finalizzata all’esigenza di adeguamento dell’ordinamento giuridico nazionale ai criteri d’individuazione dei prezzi di trasferimento tra imprese multinazionali delineati dall’OCSE, già in precedenza la prospettiva interpretativa si era evoluta in linea con il principio di libera concorrenza quale enunciato nell’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE, che prevede la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo che siano state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato, dovendosi rilevare come già le Linee Guida OCSE del 1995 (OECD, Guidelines, 1995) prevedessero che «[l]a selezione di un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento si pone sempre l’obiettivo di trovare il metodo più appropriato ad un particolare caso. A questo scopo, nel processo di selezione andrebbero presi in considerazione: i rispettivi vantaggi e svantaggi dei metodi riconosciuti dall’OCSE; la coerenza del metodo considerato con la natura della transazione controllata, determinata in particolar modo attraverso l’analisi funzionale; la disponibilità di informazioni affidabili (in particolar modo sugli elementi comparabili indipendenti) necessaria all’applicazione del metodo selezionato e/o degli altri metodi; il grado di comparabilità tra transazioni controllate e transazioni tra imprese indipendenti, compresa l’affidabilità degli aggiustamenti di comparabilità che siano necessari per eliminare le differenze significative tra di loro. Nessun metodo è utilizzabile in tutte le eventualità e non è necessario dimostrare la non applicabilità di un dato metodo alle circostanze del caso concreto».

Ciò posto, va rilevato come la CTR abbia del tutto omesso di esaminare gli studi economici prodotti dalle contribuenti e, quindi, di verificare in concreto quale fosse, tra i vari metodi applicabili, quello maggiormente congruo per la corretta determinazione della royalty nel caso di specie.

L’accoglimento del sesto motivo comporta l’assorbimento del settimo e dell’ottavo motivo.

7. Restano altresì assorbiti il nono e il decimo motivo del ricorso principale, formulati in relazione ad entrambi i rilievi contenuti negli atti impugnati.

8. Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.

Con l’appello incidentale l’Ufficio, oltre ad impugnare la decisione di primo grado in punto di accoglimento sul Rilievo Cash Pooling, aveva dedotto l’inammissibilità e inutilizzabilità dei documenti prodotti da O.S.. I giudici di appello hanno accolto l’appello incidentale confermando in toto la legittimità degli avvisi di accertamento, senza pronunciarsi sulla questione concernente la contestata produzione documentale.

Trova pertanto, nella specie, applicazione il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione e potendo le stesse, in caso di accoglimento del ricorso principale, essere riproposte davanti al giudice di rinvio (cfr. Cass. n. 19503 del 2018, Cass. n. 22095 del 2017, Cass. n. 3796 del 2008).

9. In conclusione, devono essere accolti il primo e il sesto motivo del ricorso principale e dichiarati assorbiti gli altri; il ricorso incidentale va dichiarato La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio per un nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Risultando soccombente in relazione al ricorso incidentale una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il sesto motivo del ricorso principale, dichiarati assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.