CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 27728 depositata il 2 ottobre 2023
Lavoro – Assunzioni a tempo parziale – Diritto trasformazione a tempo pieno – Risarcimento danno – Lavoratrici madre – Stabilizzazione interinali – Diritto precedenza – Contrattazione collettiva – Rigetto
Rilevato che
1. la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda con la quale B.R. e A.B., assunte da T.I. s.p.a. con contratto a tempo parziale (con orario corrispondente al 50% dell’orario di lavoro normale) avevano chiesto accertarsi il loro diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo parziale a rapporto a tempo pieno o a tempo parziale (con orario pari al 75% dell’orario normale di lavoro) e la condanna della società datrice di lavoro al risarcimento del danno;
2. il giudice di secondo grado ha ritenuto che erano rimasti indimostrati i presupposti per il riconoscimento del diritto alla trasformazione a tempo pieno fondato sul cd. progetto fiume della società (alla stregua del quale erano state accolte analoghe richieste di trasformazione del rapporto fatte valere da lavoratrici madri, come le odierne ricorrenti); analogamente, non aveva trovato riscontro la pretesa fondata sull’assunto della violazione del diritto di precedenza alla trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno, sancito dalla contrattazione collettiva in ipotesi di assunzione a tempo pieno di nuovi lavoratori;
3. per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso B.R. e A.B.; T.I. s.p.a. ha resistito con controricorso illustrato con memoria;
Considerato che
1. con l’unico motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione del principio di prossimità della prova, dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 24 Cost. nonché degli artt. 1218 e 2697 cod. civ. anche in relazione all’art. 18, comma 9, c.c.n.l. di categoria (settore telecomunicazioni); la sentenza impugnata è censurata per avere escluso la violazione del diritto di precedenza alla trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo parziale a rapporto a tempo pieno (o parziale al 75%) quale sancito dall’art. 18 c.c.n.l. applicabile; in particolare si contesta il criterio di ripartizione dell’onere della prova alla base del rigetto dell’originaria domanda;
2. il motivo è infondato;
2.1. la sentenza impugnata, premesso che le lavoratrici avevano in prime cure allegato che la società datrice di lavoro aveva “stabilizzato” a tempo pieno oltre 600 lavoratori precari in ambito “customer care” (il medesimo nel quale operavano le odierne ricorrenti) e che la circostanza risultava dall’accordo sindacale del 19 settembre 2008 prodotto in atti, ha rilevato che tale accordo in realtà nulla prevedeva a riguardo ed osservato che né da esso né dalla istruttoria espletata era evincibile la prova di assunzioni ex novo a tempo pieno presso il settore di pertinenza (customer care) delle originarie ricorrenti essendo emersa solo la stabilizzazione degli interinali o precari ma non che vi fossero state assunzioni a tempo pieno, circostanza quest’ultima sempre negata dalla società datrice; il giudice di seconde cure ha inoltre sottolineato la genericità delle allegazioni in ordine alla avvenuta costituzione di rapporti di lavoro a tempo pieno formulate nel ricorso introduttivo non essendo stato indicato alcun nominativo di dipendente assunto full time in epoca successiva all’opzione in tal senso avanzata dalle odierne ricorrenti;
2.3. le censure articolate con il motivo in esame non inficiano le ragioni che sorreggono il rigetto della originaria pretesa. Occorre muovere dall’art. 18, comma 9, del contratto collettivo applicabile (versato in atti) invocato dalle odierne ricorrenti a fondamento del loro diritto alla trasformazione in rapporto a tempo pieno dell’originario rapporto di lavoro costituito a tempo parziale, il quale così recita: “In caso di assunzione a tempo pieno il personale a tempo parziale in attività presso unità produttive situate nello stesso comprensorio adibiti alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l’assunzione ha un diritto di precedenza “;
2.4. dalla piana lettura della norma collettiva emerge che il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo parziale a rapporto a tempo pieno è collegato al realizzarsi di determinati presupposti rappresentati dall’assunzione a tempo pieno di nuovi lavoratori nel medesimo ambito di quello nel quale operano i lavoratori che intendono avvalersi di tale diritto; non è revocabile in dubbio che alla stregua della previsione collettiva le circostanze ora menzionate si configurino quali elementi costitutivi della pretesa azionata con la conseguenza che della relativa dimostrazione erano onerate le odierne ricorrenti; ciò in coerenza con le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi, che devono essere provati dal titolare del diritto, e fatti impeditivi o estintivi la cui dimostrazione è a carico dell’eccipiente (Cass. n. 26769/2018, Cass. n. 13395/2018), implicate dall’art. 2697 cod. civ. ;
2.5. il giudice di appello non ha quindi posto in essere alcuna sovversione dell’ordinario criterio di distribuzione dell’onere della prova come sopra ricostruito in quanto correttamente ha fatto ricadere sulle odierne ricorrenti le conseguenze della mancata dimostrazione del realizzarsi del presupposto costitutivo del diritto alla trasformazione a tempo pieno (o a tempo parziale con orario al 75% di quello ordinario) rappresentato dall’effettuazione da parte di T.I. s.p.a. di assunzioni a tempo pieno nel periodo successivo all’esercizio dell’opzione da parte delle due lavoratrici; tale accertamento di fatto non è in alcun modo incrinato dalle deduzioni svolte in ricorso le quali risultano inammissibilmente intese a un riesame nel merito delle emergenze istruttorie, come non consentito al giudice di legittimità; l’affermazione in sentenza (v. sentenza, pag. 5, secondo capoverso) dell’avvenuta stabilizzazione di lavoratori interinali o precari da parte di T.I. s.p.a. non appare di per sé sola sufficiente a dimostrare il ricorrere delle condizioni per l’insorgenza del diritto alla trasformazione in capo alle odierne ricorrenti atteso che nello stesso contesto argomentativo il giudice di appello dà atto che, comunque, era rimasto indimostrato che dette stabilizzazioni fossero avvenute con assunzioni a tempo pieno, circostanza quest’ultima sempre negata dalla società;
2.6. alla luce delle considerazioni che precedono deve escludersi che vi sia spazio per l’applicazione dell’invocato principio di vicinanza della prova in quanto, come chiarito da questa Corte, “Il principio di vicinanza della prova non deroga alla regola di cui all’art. 2697 c.c. (che impone all’attore di provare i fatti costitutivi del proprio diritto e al convenuto la prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto vantato dalla controparte) ma opera allorquando le disposizioni attributive delle situazioni attive non offrono indicazioni univoche per distinguere le suddette due categorie di fatti, fungendo da criterio ermeneutico alla cui stregua i primi vanno identificati in quelli più prossimi all’attore e dunque nella sua disponibilità, mentre gli altri in quelli meno prossimi e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto, di modo che la vicinanza riguarda la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto, e non già la possibilità concreta di acquisire la relativa prova” (Cass. n. 12910/2022);
2.7. nello specifico, come detto, la formulazione della norma collettiva non consente incertezza interpretativa alcuna circa la natura costitutiva che nel contesto della fattispecie legale assume la circostanza del verificarsi di assunzioni a tempo pieno da parte della datrice di lavoro e tanto esclude ogni residuo spazio applicativo del criterio di vicinanza della prova nell’ambito del quale collocare, come prospettato dalle odierni ricorrenti, l’onere della prova negativa della dedotta circostanza a carico della società;
3. al rigetto del ricorso segue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;
4. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
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