CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 settembre 2013, n. 20418

Lavoro subordinato – Industria metalmeccanica privata – Retribuzione – Cigs – Maggiorazioni – Diritto ai compensi di straordinario

Svolgimento del processo

L.R., premesso di aver lavorato per la società S.M.C. con inquadramento nell’ottava categoria di cui al c.c.n.I. per l’industria metalmeccanica privata e di aver svolto mansioni di responsabile della linea Clienti Territoriali per alcune regioni del Centro Italia, poi, dal 1994, mansioni di ispettore delle vendite, ed infine, dal marzo 1998, mansioni di ‘project manager’ per la “commessa FS spa”; di essere stato collocato in CIGS con lettera del 27 agosto 2001; chiedeva al Tribunale di Roma: dichiararsi il diritto a percepire l’indennità di reperibilità per il periodo successivo al marzo 1998, nonché alla superiore qualifica di quadro, con la condanna al pagamento delle differenze retributive; la condanna al pagamento delle somme specificate a titolo di indennità sostitutiva di incentivi nonché di lavoro straordinario; la condanna al risarcimento del danno biologico e morale per illegittima collocazione in CIGS; la condanna a rettificare il verbale di conciliazione sottoscritto il 31 maggio 2002 per la indicazione dell’importo da versare a titolo di incentivo all’esodo e di integrazione TFR; la condanna a rettificare i dati indicati nel modello Ds 22 presentato all’INPS, relativi alla retribuzione oraria e al CUD.

La S.M.C. s.p.a. si costituiva resistendo alla domanda; la S. s.p.a. – cessionaria di ramo di azienda dalla prima società in epoca successiva al rapporto di lavoro – deduceva il proprio difetto di legittimazione passiva.

Il Tribunale rigettava integralmente il ricorso, compensando le spese di lite.

Avverso tale sentenza proponeva appello il R.; resistevano entrambe le società.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 12 ottobre 2009, rigettava il gravame.

Per la cassazione propone ricorso il R., affidato a sette motivi.

Si costituiva la sola S. s.p.a. con controricorso, mentre la S.M.C. s.p.a. è rimasta intimata.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’accordo collettivo nazionale di lavoro del 13 giugno 1997 tra la società S. T. s.p.a. ed i sindacati, in merito al riconoscimento dell’indennità di reperibilità. La censura è inammissibile, oltre che per richiedere a questa S.C. un apprezzamento dei fatti ed una loro diversa valutazione, per la mancata produzione del citato accordo nazionale di lavoro (ex art. 369 c.p.c.), il cui contenuto non viene neppure riprodotto o specificato in ricorso, in contrasto col principio di autosufficienza, ex art. 366 c.p.c. (Cass. sez.un. 3 novembre 2011 n. 22726; Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione in merito all’effettivo inquadramento nella categoria quadri, oltre che violazione e falsa applicazione del c.c.n.I. 9 luglio 1994 per i dipendenti di aziende metalmeccaniche aderenti alla (ex) Intersind.

Anche tale motivo è inammissibile per non avere il ricorrente prodotto per esteso (Cass. n. 23972 del 2011; Cass. n. 15495 del 2009) il c.c.n.I. invocato, il cui contenuto non viene neppure riprodotto in ricorso, essendo piuttosto riportata solo la versione attorea della declaratoria dell’ottava categoria, in contrasto col principio di autosufficienza, ex art. 366 c.p.c. A ciò aggiungasi che anche nell’ambito di tale censura il ricorrente devolve a questa S.C. una serie di apprezzamenti di circostanze di fatto (dichiarazioni rese dinanzi al Tribunale – sempre prive della produzione dei relativi verbali; contenuto di documenti, ad esempio le procure speciali menzionate a pag. 28 del ricorso, parimenti non prodotti o specificamente riprodotti in ricorso;

comparazione con gli inquadramenti e mansioni svolte da altri colleghi, etc.).

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione in merito al diniego del rivendicato diritto alle differenze dell’indennità sostitutiva degli incentivi. Lamenta che la Corte capitolina ritenne erroneamente che il premio annuale sulle vendite costituiva un emolumento connesso strettamente a particolari modalità di svolgimento della prestazione di coordinatore di agente di vendita, sicché, cessato tale incarico, veniva meno anche il presupposto del l’erogazione del premio.

Il motivo, sotto questo profilo, è in parte inammissibile e per il resto infondato.

Inammissibile in quanto non specificato adeguatamente l’istituto contrattuale in questione, né la sua fonte, impedendo così a questa S.C. di valutarne la fondatezza.

Infondato in quanto, in assenza di specifiche censure in diritto, il principio enunciato dalla Corte di merito risulta corretto e più volte affermato da questo giudice di legittimità (cfr. per tutte, Cass. n. 20310 del 2008).

Deduce inoltre il ricorrente che la Corte di merito errò nel valutare l’offerta, da parte della datrice di lavoro, dell’indennità sostitutiva, che la società calcolò comunque erroneamente.

Anche tale motivo è inammissibile per sottoporre direttamente al giudice di legittimità, la valutazione dei criteri di calcolo dell’indennità in parola, in modo peraltro lacunoso, anziché specifico ed autosufficiente, come imposto dall’art. 366 c.p.c.

4. Con il quarto motivo il R. denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione in merito al diniego della pretesa relativa al compenso maggiorato per il lavoro straordinario prestato.

Lamenta che i giudici di appello esclusero il suo diritto ai compensi di straordinario sulla sola base della circostanza che l’art. 7 del c.c.n.I. di categoria del 1994 prevedeva tali maggiorazioni solo per il personale impiegatizio e non per quello direttivo in cui esso ricorrente era inquadrato. Lamenta un vizio logico della motivazione della sentenza impugnata, che da un lato escluse il suo diritto alla categoria quadri, e dall’altra escluse il suo diritto alle maggiorazioni di straordinario. Lamenta che in ogni caso, in base al c.c.n.I. di categoria, il compenso per lavoro straordinario doveva spettare anche ai dirigenti, mentre il successivo c.c.n.I. del 1999 era chiaro nell’attribuire anche agli impiegati di settima categoria (ove il ricorrente era all’epoca inquadrato) il diritto al compenso per lavoro straordinario.

Il motivo (premesso che il compenso di straordinario non spetta al personale direttivo, cui non si applicano le limitazioni dell’orario di lavoro previste per il restante personale, art. 1 R.D.L. n. 692\23), è inammissibile per non avere il ricorrente prodotto per esteso i c.c.n.I. invocati, il cui contenuto non viene neppure riprodotto in ricorso, in contrasto col principio di autosufficienza, ex art. 366 c.p.c. A ciò aggiungasi che anche nell’ambito di tale censura il ricorrente devolve a questa S.C. una serie di apprezzamenti di circostanze di fatto e documenti (presunti prospetti di ore di straordinario in tesi provenienti dalla società), parimenti non prodotti o riprodotti in ricorso.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione “avuto riguardo alla doverosa rettifica dell’intervenuto accordo di conciliazione sottoscritto tra le parti. Violazione falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti, 1337 del c.c.”.

Lamenta il R. che la somma convenuta a titolo transattivo era errata per difetto “a causa della confusione e dell’impellenza di addivenire celermente ad una completa transazione” (pag. 37 attuale ricorso), come risultava dai vari prospetti di calcolo delle parti.

Anche tale motivo è evidentemente inammissibile, per difetto di autosufficienza connesso alla mancata produzione o riproduzione in ricorso dei documenti invocati.

6. Con il sesto motivo il R. denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione, laddove la Corte di merito, “limitandosi a confermare le sommarie motivazioni rese dal giudice di primo grado, finisce per negare la rettifica dei dati indicati nel DS22 e nel CUD 2002”.

Lamenta che la S. consegnò all’INPS due diversi modelli DS 22, indicando in modo inesatto e contraddittorio la retribuzione oraria percepita, così come la retribuzione annua nel modello CUD 2002.

Anche tale motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente né prodotto, né riprodotto in ricorso, né adeguatamente specificato il contenuto dei documenti in questione (artt. 369 e 366 c.p.c.), né, infine, adeguatamente chiarito l’errore motivo della Corte di merito.

7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia una “omessa motivazione in merito al richiesto risarcimento per l’intervenuto danno alla salute in capo al ricorrente; difetto di pronuncia su di uno specifico capo di appello”.

Lamenta il R. che la Corte di merito omise di pronunciarsi in ordine alla domanda di risarcimento dei danni alla salute derivanti dall’illegittima collocazione in c.i.g.s. nel settembre 2001, così come valutò erroneamente il contenuto della conciliazione giudiziale del 31 maggio 2002, da cui emergeva che il ricorrente non aveva mai rinunciato o transatto la questione della illegittima collocazione in c.i.g.s. con i conseguenti danni psicofisici e morali.

Anche tale motivo risulta in parte inammissibile e per il resto infondato.

Inammissibile per le medesime ragioni esposte nei punti che precedono circa il difetto di autosufficienza del motivo, non avendo il ricorrente né prodotto, né riprodotto in ricorso, né adeguatamente specificato il contenuto del documento in questione (artt. 369 e 366 c.p.c.), né, infine, adeguatamente chiarito l’errore motivo della Corte di merito.

Infondato in quanto non risulta una omessa pronuncia del giudice di appello al riguardo, che ha anzi evidenziato che con la conciliazione in questione, il lavoratore aveva rinunciato al ricorso ed alla stessa azione inerente il risarcimento dei danni per la collocazione in c.i.g.s. (pag. 7 sentenza).

La mancata produzione della relativa documentazione, rende per il resto impossibile a questa S.C. di valutarne la fondatezza.

8. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.50,00 per esborsi, €.3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.