Corte di Cassazione sentenza n. 20642 del 28 maggio 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – INOSSERVANZA DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO DELL’OBBLIGO DI SICUREZZA – RESPONSABILITA’ PENALE DEL DATORE DI LAVORO – REATO DI OMICIDIO COLPOSO AGGRAVATO
massima
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Vi è la responsabilità di un datore di lavoro per il reato di omicidio colposo di un lavoratore dipendente aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica.
In caso di infortunio mortale in danno di un lavoratore dipendente, risponde del delitto di omicidio colposo – Cass. pen., Sez. IV, 01/12/2009, n. 4917 – il datore di lavoro per omessa valutazione dei rischi relativi a tale lavorazione, senza che il datore di lavoro possa invocare a propria discolpa l’omessa segnalazione dei rischi relativi alla predetta lavorazione da parte del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
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Fatto
(OMISSIS) ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, pur parzialmente riformando in melius quella di primo grado concessione dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, e riformulazione del giudizio di comparazione, con il riconoscimento del giudizio di prevalenza delle attenuanti, lo ha peraltro riconosciuto colpevole del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica per il decesso del lavoratore dipendente (OMISSIS), contestatogli, nella qualità di datore di lavoro, in cooperazione con il caposquadra/preposto (OMISSIS) qui non ricorrente, avendo “patteggiato” la pena.
L’addebito veniva contestato e ritenuto ravvisando l’inosservanza da parte del (OMISSIS), nella qualità di datore di lavoro, dell’obbligo cautelare di fornire al lavoratore, intento ad eseguire uno scavo, le necessarie misure di sicurezza casseri o micropalizzatura necessari per evitare rischi.
Con il ricorso si sostiene che la sentenza di appello, nel confermare la condanna, avrebbe ricostruito l’addebito in termini diversi da quelli oggetto della contestazione e della decisione di primo grado, sì da incorrere nel vizio del difetto di correlazione tra accusa e sentenza.
Diritto
La lettura delle decisioni consente di escludere l’ipotizzato vizio, onde il ricorso è da ritenere manifestamente infondato.
In realtà, la motivazione del giudice di secondo grado non si basa affatto sulla valorizzazione di un elemento di colpa mai prima contestato, giacchè, anzi, la Corte di merito si limita a meglio puntualizzare, in linea con la contestazione, l’addebito di colpa, sostanziatosi nel non aver provveduto ad assicurare il necessario strumentario di sicurezza.
Del resto, basta ricordare che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sezione 4, 22 settembre 2011, G.). Trattasi di principio perfettamente calzante ove si consideri che sul tema dell’apprestamento delle misure cautelari si è incentrato l’accertamento processuale che ha portato poi alla condanna.
In questa prospettiva, dovendosi anche ricordare, a smentire ulteriormente la fondatezza dell’assunto difensivo, che, in tema di correlazione tra contestazione e sentenza di condanna, la contestazione del fatto non deve essere ricercata soltanto nel capo di imputazione, ma deve essere vista con riferimento ad ogni altra integrazione dell’addebito che venga fatta nel corso del giudizio e sulla quale l’imputato sia stato posto in grado di opporre le proprie deduzioni (Sezione 4, 5 novembre 2009, Cacioppo ed altro).
Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
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