Corte di Cassazione sentenza n. 22216 del 7 dicembre 2012
LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO – RIDUZIONE DELL’ORGANICO – LAVORATORE CHE SVOLGE MANSIONI MISTE – LEGITTIMITA’ DEL LICENZIAMENTO
massima
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Nel caso di licenziamento individuale per riduzione di personale grava sull’imprenditore l’onere della prova tanto dell’effettività delle ragioni poste a fondamento del licenziamento, quanto della impossibilità dell’impiego del dipendente licenziato nell’ambito dell’organizzazione aziendale. In particolare, l’onere probatorio relativo a tale ultimo elemento, concernendo un fatto negativo, va assolto mediante la dimostrazione di correlativi fatti positivi, come il fatto che i residui posti di lavoro relativi a mansioni equivalenti fossero, al tempo del recesso, stabilmente occupati, o il fatto che dopo il licenziamento – e per un congruo periodo – non sia stata effettuata alcuna assunzione nella stessa qualifica. In conclusione, deve affermarsi l’illegittimità, con conseguente responsabilità datoriale, di un recesso privo dei suddetti requisiti.
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Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 17/1/2008 la Corte d’Appello di Salerno ha confermalo la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda di C.M.R. volta ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatole da M.V., titolare della farmacia sita in Eboli, con riassunzione nel posto di lavoro o in mancanza con risarcimento del danno pari a 10 mensilità dell’ultima retribuzione. La Corte ha, altresì, confermato la condanna del V. a corrispondere alla lavoratrice € 2.054,73, oltre accessori, per lavoro straordinario.
In relazione al licenziamento, giustificato dal V. dalla necessità di riduzione dell’organico con la soppressione di uno dei due posti di fattorino, dei quali uno occupato dalla ricorrente resosi superfluo, la Corte ha rilevato che la tesi della ricorrente secondo la quale le sue mansioni prevalenti erano quelle di commessa con la conseguenza che la sua posizione lavorativa non era interessata dalla soppressione, non aveva trovato riscontro e che era risultato accertato in maniera inequivocabile che era stata effettuata un’effettiva riorganizzazione attraverso la soppressione di un posto di fattorino nel quale confluivano varie incombenze, tra cui anche quelle tipiche di commessa svolte in caso di particolare affluenza di pubblico, poi ridistribuite tra il restante personale.
Per quanto atteneva al lavoro straordinario la Corte ha escluso che fosse stata raggiunta la prova dello svolgimento di 194 ore lavorative mensili ed ha confermato la decisione del Tribunale che ha riconosciuto solo un limitato numero di ore eccedenti.
Avverso la sentenza propone ricorso in Cassazione M.R.C. formulando due motivi distinti ciascuno in sub motivi.
Si costituisce con controricorso il V.
Motivi della decisione
La ricorrente denuncia vizi ex art. 360 n 3 cpc: in particolare a) violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2709 c.c. e art 4 del CCNL per i dipendenti di farmacie private rilevando che essa aveva svolto sempre mansioni di commessa e di addetta alla piccola contabilità e pertanto correttamente inquadrata nel IV livello CCNL ; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. n 604/66, art 41 Cost. art. 1176 c.c. relativamente alla scelta imprenditoriale del dipendente da licenziare.
Rileva che la scelta andava fatta in base alle mansioni in concreto svolte; che di fatto essa aveva svolto mansioni di commessa e non di fattorino, per cui la scelta doveva cadere sull’altra commessa D.D. assunta successivamente che svolgeva le sua stesse mansioni; che, del resto, i fattorini erano inquadrati nel V livello mentre ella era inquadrata nel I livello; che non era emersa alcuna prova della necessità di ridurre i posti di commessa; c) violazione e falsa applicazione degli art. 2108 e 2697 c.c. art. 116 cpc, art. 22 CCNL e art. 36 Cost.
Contesta le conclusioni della Corte circa l’orario di lavoro osservato stante l’esito dell’istruttoria; e censura la sentenza che ha omesso di motivare circa la richiesta istruttoria di rinnovo della CTU: d) lamenta l’avvenuta compensazione delle spese di causa . Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 360 n. 5 cpc.
Rileva che la motivazione è insufficiente, avendo trascuralo l’esame di prove, circa l’individuazione delle mansioni svolte dalla C., essendo emerso che la ricorrente svolgeva mansioni di commessa e di piccola contabilità in conformità al CCNL, che inquadra nel IV livello i lavoratori che svolgono mansioni di commessa e di contabile d’ordine.
Contesta inoltre l’esito della CTU rilevando che il consulente era stato incaricato di svolgere un doppio conteggio, ma quello effettuato in base alle affermazioni della ricorrente se ne era discostato utilizzando un orario di lavoro interiore e sul punto la Corte ha omesso di pronunciarsi.
Le censure, esaminate congiuntamente per la loro connessione, sono infondate.
Deve, in primo luogo, rilevarsi che in violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. la ricorrente ha formulato, con riferimento ai vizi di cui all’art. 360 n 3 c.p.c. quesiti inammissibili ed in riferimento al vizio di cui all’art. 360 n 5 cpc ha omesso di specificare le lacune o le contraddizioni in cui è incorsa la Corte d’Appello nella valutazione del materiale probatorio ai fini dell’accertamento della correttezza logico giuridica delle argomentazioni svolte dal primo giudice.
E’ noto che “in presenza dei motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ.. all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza. Ove, invece, venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione. (cfr Cass n 4556/2009)
Nella fattispecie in esame i vizi di violazione di legge si risolvono, in realtà, in denuncia di vizi di motivazione di cui al n 5 cpc .come agevolmente è rilevabile dai quesiti i quali presuppongono che dalle risultanze istruttorie sia emerso quali siano state le mansioni effettivamente svolte dalla ricorrente, ovvero la valutazione circa l’avvenuto assolvimento dell’onere probatorio da parte del datore di lavoro in ordine alla legittimità del licenziamento, o, infine, la valutazione delle prove circa l’orario di lavoro in concreto osservato dalla lavoratrice.
Quanto al vizio di omessa o insufficiente motivazione costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte che “il disposto dell’art. 360, primo comma, n. 5). cod. proc. civ. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottala (cfr Cass. n 9234/2006 ).
Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminale siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendo venga a trovarsi priva di base. (cfr. Cass n 9368/06, Cass 21249/06, Cass n 4304/2005).
Nella fattispecie in esame la ricorrente propone una sua diversa lettura delle prove svolte nel giudizio di merito senza neppure riportare integralmente le dichiarazioni dei testi al fine di consentire alla Corte di valutarne la decisività. Sotto tale profilo deve osservarsi che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.. qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità de! giudizio di cassazione.
La Corte territoriale ha, invece rilevato con motivazione esauriente e priva di contraddizioni o difetti logici, oltre che errori di diritto, che risultava accertata un’effettiva riorganizzazione attraverso la soppressione di un posto di fattorino e che era decisivo accertare le mansioni di fatto espletate dalla lavoratrice. Circa tale ultimo punto ha osservato che dall’istruttoria (le dichiarazioni della stessa C. e dei testi analiticamente richiamati e le cui dichiarazioni sono state esaminate) il personale con qualifica di fattorino, tra cui la ricorrente, veniva utilizzato in varie incombenze ed anche quella di addetti al banco nei momenti di maggiore afflusso con esclusione, pertanto, di una prevalenza delle mansioni di commessa in capo alla ricorrente.
Analoghe osservazioni devono essere svolte con riferimento alle censure mosse dalla C. circa la misura del lavoro straordinario riconosciuto dalla Corte di Appello, con motivazione in fatto esente da censure, attraverso la valutazione dei risoltali della prova testimoniale all’esito del quale ha escluso che avesse trovato alcun serio riscontro la dedotta prestazione di 194 ore, mensili.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza. Delle spese vengono liquidate in applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140 che ha determinalo i parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilale dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’art 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012. n. 27.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare €. 40.00 per esborsi ed €. 2.500.00 per compensi, oltre accessori di legge.
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