Corte di Cassazione sentenza n. 22220 del 7 dicembre 2012 

LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO COLLETTIVO – PER RIDUZIONE DEL PERSONALE – DISCIPLINA PREVISTA DALLA LEGGE N. 223 DEL 1991 – CONTROLLO DELL’INIZIATIVA IMPRENDITORIALE CONCERNENTE IL RIDIMENSIONAMENTO DELL’IMPRESA – DEVOLUZIONE ALLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI – RIDIMENSIONAMENTO DEGLI SPAZI DI CONTROLLO DEMANDATI AL GIUDICE IN SEDE CONTENZIOSA – CONSEGUENZE

massima

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In materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la legge 23 luglio 1991, n. 223, nel prevedere agli artt. 4 e 5, la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (ivi compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento ed i singoli provvedimenti di recesso), con la conseguenza che non possono trovare ingresso, in sede giudiziaria, tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva.

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 9/10 – 3/12/2007 la Corte d’appello di Bari ha respinto l’impugnazione proposta da C.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Lucerà che le aveva respinto la domanda volta all’annullamento del licenziamento intimatole con effetto dall’1/11/2002 dalla I. s.r.l. per riduzione del personale.

Nel confermare la sentenza appellata la Corte territoriale ha spiegato che la procedura di licenziamento per riduzione del personale in esubero, che aveva visto il coinvolgimento dell’appellante, era stata eseguita correttamente dalla società, la quale, una volta scaduto il termine del 5/9/02 fissato con l’accordo sindacale del 26/7/02 per l’individuazione dei dipendenti che avessero optato per l’esodo volontario, ed una volta accertato che solo cinque lavoratori avevano aderito a quest’ultima forma di risoluzione del rapporto, aveva comunicato all’organizzazione sindacale FIM-CISL, nel solco del programma negoziale intrapreso, che aveva intenzione di procedere agli altri licenziamenti concordati alla stregua dei criteri legali di cui all’art. 5 della legge n. 223/1991, senza ricevere alcuna obiezione o controproposta da parte del sindacato e pervenendo, alla fine, a licenziare complessivamente nove dipendenti, cioè un numero inferiore a quello concordato di dodici lavoratori.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la C., la quale affida l’impugnazione a due motivi di censura. Rimane solo intimata la società I. s.r.l.

Motivi della decisione

Col primo motivo la ricorrente, dolendosi, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 223/1991, deduce l’illegittimità della procedura di mobilità seguita dalla I. s.r.l. dopo aver rilevato che, una volta conclusosi l’accordo tra le parti sociali sul criterio da adottare per l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, vale a dire quello dell’esodo volontario di un prefissato numero di dipendenti, ed una volta rivelatosi insufficiente a tale scopo il criterio così concordato, la società non avrebbe potuto ricorrere automaticamente agli altri criteri legali di cui all’art. 5 della citata legge. La difesa della lavoratrice evidenzia, altresì, che a fronte degli obblighi di informazione e consultazione previsti dall’art. 4 della legge n. 223/91 non potevano ritenersi sufficienti le semplici comunicazioni inviate ai competenti uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali interessate in ordine ai licenziamenti adottati, quand’anche nell’osservanza dei criteri legali di cui all’art. 5 della predetta legge.

Col secondo motivo ci si duole, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia laddove è affermato in sentenza che i provvedimenti espulsivi adottati e comunicati dalla società si ponevano nel solco di un programma negoziale, mentre ciò non traspariva dall’accordo sindacale del 26.7.2002 e nonostante che non fosse stato intrapreso un nuovo avvio di procedura a seguito dell’esito infruttuoso del ricorso all’unico criterio concordato dell’esodo incentivato.

Il ricorso è infondato.

Osserva, invero, la Corte che le garanzie procedimentali di cui agli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 23 luglio 1991 sono previste sostanzialmente nell’interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale, con la conseguenza che il controllo giurisdizionale non può che vertere sulla verifica del rispetto di queste ultime finalità.

Al riguardo si è, infatti, avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 5089 del 3/3/2009) che “in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la legge 23 luglio 1991, n. 223, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione (ivi compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso), con la conseguenza che non possono trovare ingresso, in sede giudiziaria, tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva.”

Orbene, la Corte di merito si è mossa nel solco di tale consolidato orientamento non avendo affatto trascurato l’accertamento del dato della trasparenza e della correttezza dell’operato della società, la quale, una volta constatato che il numero dei lavoratori che avevano accettato l’esodo era inferiore a quello preventivato in sede di accordo sindacale ed una volta richiamato l’accordo del 26/7/02, che imponeva una tale verifica alla data del 5/9/02, comunicò all’organizzazione sindacale di voler adottare per gli altri dipendenti da licenziare i criteri legali di cui all’art. 5 della legge n. 223/91, attendendo l’infruttuoso trascorrere del termine di cui al sesto comma dell’art. 4 della stessa legge prima di procedere al licenziamento, senza aver ricevuto, nel frattempo, alcuna controproposta od obiezione del sindacato.

In definitiva il controllo sulla cosiddetta procedimentalizzazione del licenziamento collettivo è stato adeguatamente svolto dai giudici di merito con motivazione congrua che sfugge ai rilievi di legittimità in quanto esente da vizi di natura logico-giuridica.

Infatti, la Corte d’appello ha opportunamente evidenziato che in sede di accordo sindacale del 26/7/2002 le parti sociali avevano previsto che si sarebbero incontrate in sede aziendale entro il 5/9/2002, proprio per una verifica circa l’attuazione del risultato dell’esodo su base volontaria, non potendo sin da allora prevederne la effettiva realizzazione, in quanto non era dato ancora sapere se vi sarebbe stato un numero di adesioni pari a quello concordato per l’esodo volontario.

Conseguentemente, la Corte si è preoccupata di verificare il comportamento tenuto dalla parte datoriale dopo quella scadenza prefissata, pervenendo, in tal modo, all’accertamento dell’avvenuta spedizione, da parte della società, di una missiva all’organizzazione sindacale FIM-CISL per concordare con quest’ultima la data della formalizzazione dell’intesa relativa ai cinque lavoratori che avevano, nel frattempo, consentito all’esodo volontario, rispetto ai dodici inizialmente previsti, e per annunciare che nel caso in cui altre adesioni non fossero intervenute avrebbe provveduto ad individuare gli altri dipendenti da licenziare sulla base dei criteri legali di cui all’art. 5 della legge n. 223/1991.

Tale decisione, ha rilevato la Corte territoriale, si collocava nel solco del programma negoziale sotteso all’accordo del 26/7/2002, del quale costituiva un naturale sviluppo, posto che alla data del 5/9/2002 non era stato raggiunto il numero preventivato delle adesioni all’esodo volontario incentivato e considerato che l’intesa di una verifica a quest’ultima data non poteva avere altro significato che quello di portare a compimento la procedura della mobilità. D’altra parte, osserva la Corte, non pervenne alla società alcuna obiezione o controproposta del sindacato sulla quale poter discutere ed il licenziamento in esame fu comunicato con missiva del 21/10/2002 (ricevuta il 22/10/02 e con effetto dall’1/11/02), cioè ad oltre un mese di distanza dall’esaurimento della procedura.

In effetti, non può non rilevarsi che la procedura di consultazione sindacale di cui al quinto comma dell’art. 4 della legge n. 223/91 deve essere esaurita, ai sensi del successivo sesto comma, entro il termine di quarantacinque giorni dalla data del ricevimento della comunicazione dell’impresa, che nella fattispecie fu eseguita il 6/9/2002, per cui alla data di comunicazione del licenziamento del 21/10/02, pervenuta alla lavoratrice il 22/10/2002, il suddetto termine legale era già spirato, senza che il sindacato nulla avesse obiettato in merito alla proposta aziendale di ricorso ai criteri legali di messa in mobilità dei lavoratori ai sensi dell’art. 5 della legge n. 223/91.

A quest’ultimo riguardo è il caso di osservare che nemmeno nel presente giudizio di legittimità la lavoratrice contesta direttamente l’adozione in sé dei criteri legali che hanno consentito alla società di individuarla tra coloro che dovevano essere posti in mobilità, quanto, piuttosto, la decisione della controparte di non aver iniziato nuovamente la procedura all’esito dell’accertato raggiungimento di un numero di lavoratori consenzienti all’esodo inferiore a quello previsto.

A tal proposito si osserva, tuttavia, che la Corte di merito ha giustamente messo in risalto il fatto che l’organizzazione sindacale, con la quale l’intesa era quella di una verifica della situazione alla scadenza del termine fissato del 5/9/02, fu messa nelle condizioni di poter concretamente interloquire con la parte datoriale, una volta che questa le aveva comunicato, in prosieguo di accordo, di voler adottare i criteri legali di cui al citato art. 5 della legge n. 223/91 per raggiungere il numero complessivamente concordato dei lavoratori da porre in mobilità, per cui la mancata formulazione di qualsiasi obiezione o controproposta, da interpretare come tacito assenso, non poteva di certo contribuire a far ritenere che la datrice di lavoro avesse tenuto un comportamento scorretto dal punto di vista procedimentale, tale da eludere maliziosamente il controllo del sindacato e da infrangere le garanzie connesse alla gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale. Anzi, l’oggettività dei criteri legali adottati per la scelta dei lavoratori da porre in mobilità e la circostanza per la quale alla fine furono licenziati meno dipendenti (cinque più quattro, per un totale di nove) di quanti avrebbero dovuto essere allontanati (dodici) in base all’accordo del 26 luglio 2002 deponevano, secondo il giusto ragionamento della Corte d’appello, nel senso di una valutazione del comportamento procedi menta le datoriale in termini di correttezza e di trasparenza.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Nessuna statuizione va adottata in ordine alle spese del presente giudizio dal momento che la società I. s.r.l. è rimasta solo intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma il 24 ottobre 2012