CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 ottobre 2013, n. 22519
Tributi – Prova testimoniale – Divieto – Limiti
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi a sette motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettandone l’appello, aveva confermato la sentenza di primo grado di accoglimento dei ricorsi proposti dalla Cooperativa Giornalisti T. s.r.l. avverso gli avvisi di accertamento per Irpeg ed Ilor relativi all’anno di imposta 1993. Con detti avvisi -scaturiti in esito ad indagini svolte dalla Guardia di Finanza a carico di cooperative giornalistiche facenti parte del Gruppo B.-l’Ufficio delle Imposte di Roma aveva rettificato la dichiarazione annuale della società, contestandole di avere indebitamente usufruito di costi indeducibili in quanto connessi ad operazioni inesistenti.
I Giudici di appello ritennero che le dichiarazioni di natura tecnica rilasciate da terzi soggetti, concorrenti della cooperativa, utilizzabili solo come elementi indiziari, non erano stati supportati da adeguati riscontri oggettivi.
Aggiunsero che, il contribuente aveva documentato il rapporto intrattenuto con la P.E. s.r.l.”.
La Cooperativa Giornalistica T. a r.l. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli art. 39 comma 1 lett.d e 40 d.p.r. n.600/73, dell’art.2697, 2727 e 2729 c.c..
Secondo la ricorrente la Commissione Tributaria Regionale, nell’affermare che l’Ufficio si era limitato a fare riferimento al verbale redatto dalla Guardia di Finanza e che nell’appello non aveva portato alcun elemento di novità atto a confutare le argomentazioni riportate nella sentenza impugnata, aveva violato le norme indicate ponendosi in contrasto con l’orientamento di questa Corte secondo cui gli accertamenti possono essere fondati su elementi presuntivi ricavati in sede di verifica fiscale. Era, pertanto, erronea la sentenza impugnata nella parte in cui negava rilevanza alle prove presuntive offerte pretendendo generici elementi nuovi.
2. Con il secondo ed il terzo motivo, entrambi relativi ad omessa pronuncia su un fatto decisivo per la controversia ai sensi dell’art.360, 1 comma, n. 5 c.p.c., l’Agenzia ricorrente lamenta come la Commissione regionale laziale abbia omesso ogni pronuncia su fatti emergenti dal processo verbale di constatazione (quali il mancato rinvenimento presso la Cooperativa controricorrente delle fatture relative alle operazioni di cui ai costi dedotti e l’esito delle indagini svolte tra operatori del mercato dalle quali era emerso che la società emittente non era in possesso né dei macchinari né delle attrezzature né del personale specializzato necessari per fornire le prestazioni oggetto di fattura).
3. I motivi, che per la loro connessione, possono essere trattati congiuntamente sono fondati.
Costituisce principio costantemente affermato da questa Corte quello per cui “in tema di contenzioso tributario le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato riscontro nelle risultanze dell’ accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Né è con ciò violato il principio della parità delle armi di cui all’art.111 Cost. atteso che -in forza di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n.18 del 2000- anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale con il medesimo valore probatorio” (Cass.n.16032/2005; id.n.2805/2009).
La Commissione Tributaria laziale, pur richiamandosi a detti principi, ne fa però scorretta applicazione. Ed invero, il Giudice di appella nel limitarsi ad affermare che le dichiarazioni dei terzi hanno mero valore indiziario e che i riscontri oggettivi agli stessi, nella fattispecie, non erano stati resi noti, ha del tutto omesso di valutare elementi oggettivi (quali l’omesso rinvenimento nel corso dell’operazione di verifica delle fatture relative ai costi ritenuti non deducibili e la circostanza che la società fornitrice non fosse in possesso dei macchinari e/o attrezzature nonché del personale specializzato necessari) puntualmente indicati dalla ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, che, per la loro decisività, ove esaminati, avrebbero potuto condurre ad una diversa soluzione in punto di sufficienza ai fini della sussistenza delle presunzioni.
3. Il quarto motivo con il quale, in relazione all’art.360 n.4 c.p.c, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. è infondato. Per costante orientamento di questa Corte ricorre il vizio di omessa motivazione, in relazione all’art.132 n.4 c.p.c., allorquando il Giudice ometta di indicare i motivi di diritto sui quali è fondata la decisione e, nella specie, la sentenza impugnata, seppure richiamando inizialmente la sentenza di primo grado per condividerla, è, comunque, motivata con l’esplicitazione delle ragioni poste dai Giudici di appello a fondamento del proprio convincimento.
4. Il quinto ed il sesto motivo, concernenti il medesimo capo di sentenza, censurato ai sensi dell’art.360 n. 3 e n.5 c.p.c. sono fondati. In particolare, con detti mezzi la ricorrente lamenta che il Giudica di appello avesse affermato che la società contribuente aveva provato il rapporto intercorso con la I.E. s.r.l. (società emittente le fatture) senza esplicitare il percorso logico seguito e, soprattutto, senza indicare sulla base di quale documentazione offerta dalla contribuente, fosse giunta a tale accertamento, con ciò violando anche l’art.2697 c.c.. Ricorre, infatti, il vizio denunciato essendosi la sentenza impugnata limitata ad affermare apoditticamente, senza altra motivazione né specificazione dei documenti esaminati, che il rapporto era stato documentato.
5. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile.
Con detto mezzo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art.360 n.5 c.p.c., omessa motivazione sul fatto decisivo per la controversia consistente nell’esistenza di altre sentenze, passate in cosa giudicata per mancato ricorso in Cassazione, le quali avevano riconosciuto l’inesistenza delle operazioni fornite sia dalla P.E. s.r.l. che dalla E.C..
Il mezzo, infatti, pecca di autosufficienza non riportando, neppure per stralcio, l’atto difensivo nel quale l’Agenzia delle Entrate avrebbe rassegnato tale eccezione in grado di appello.
In conclusione, rigettati il quarto ed il settimo motivo ed in accoglimento degli altri, il ricorso va accolto.
La sentenza impugnata va cassata e disposto il rinvio a diversa sezione della Commissione tributaria della Regione Lazio la quale provvedere a colmare i vizi motivazionali sopra illustrati alla luce degli esposti principi nonché a regolamentare le spese processuali di questo grado.
P.Q.M.
Rigettati il quarto ed il settimo motivo di ricorso ed accolti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria regionale del Lazio.
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