Corte di Cassazione sentenza n. 22651 del 11 dicembre 2012
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO – QUALIFICHE – CARRIERA – PROMOZIONI – DIRITTO SOGGETTIVO DEL LAVORATORE – CONFIGURABILITÀ – CONDIZIONI – PREVISIONE CONTRATTUALE – GIUDIZIO ESCLUSIVO DEL DATORE DI LAVORO – CONTROLLO GIUDIZIALE – AMMISSIBILITÀ – LIMITI – FATTISPECIE RELATIVA A LAVORATORI DI AZIENDE DI CREDITO
massima
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Il diritto soggettivo del lavoratore ad essere promosso ad una categoria (o grado o classe) superiore si configura allorquando la disciplina del rapporto di lavoro garantisca l’avanzamento come effetto immediato e diretto di determinati presupposti di fatto, di cui sia accertata l’esistenza, prescindendo da ogni indagine valutativa del datore di lavoro. Pertanto, nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva in tema di promozioni (nella specie, artt. 105 e 107 C.C.N.L. del 1990, confermati dagli artt. 113 e 115 del C.C.N.L. 1994 per i dipendenti delle aziende di credito) rimetta il giudizio di merito, sulle attitudini e sulle capacità professionali, esclusivamente al datore di lavoro, il giudice, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost., non può sostituirsi ad esso, potendo sindacarne l’operato solo se la mancata promozione sia espressione di deliberata violazione delle regole di buona fede e correttezza che devono presiedere allo svolgimento del rapporto di lavoro.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con tre distinti ricorsi al Tribunale, giudice del lavoro, di Palermo, G.M.M., dipendente della Banca C.I. S.p.A., premesso di essere stato promosso al grado di capoufficio dall’1/6/1991, chiedeva, sul presupposto dell’avvenuto disimpegno delle mansioni di gestione del credito in collaborazione con i funzionari settoristi dal 1989 al 1993, dichiararsi il proprio diritto alla promozione nella categoria Quadri (IV Area professionale), con decorrenza dal mese di giugno 1993, e ciò in applicazione della progressione automatica prevista dall’art. 11 del CIA del 29/1/1992; inoltre, chiedeva il riconoscimento del carattere dequalificante delle mansioni di addetto al nucleo ed. “Remote Banking” della Filiale di Palermo, assegnategli dal mese di novembre 1993 ed il conseguente risarcimento del danno; chiedeva, poi, l’accertamento dell’avvenuta compromissione della sua progressione in carriera in conseguenza di comportamenti datoriali contrari ai principi di buona fede e correttezza, posti in essere dalla Banca sin dal 1983 e consistenti nella sua distrazione dai servizi di Direttore della Filiale di Palermo, nell’adibizione al servizio di leasing e factoring nel periodo 1991/1994, nella retrocessione al servizio di “Remote Banking” nel febbraio del 1995, nella circostanza che moltissimi suoi colleghi, pur con età, anzianità di servizio e anzianità nel grado e titoli di studio inferiori, erano stati promossi funzionari e dirigenti; conseguentemente chiedeva il risarcimento del danno per perdita di chances; infine, deduceva la natura dequalificante delle mansioni assegnategli nel 2002 sintomo di comportamento persecutorio; anche per tale inadempimento datoriale chiedeva il risarcimento del danno per la lesione del suo patrimonio professionale e per il pregiudizio delle condizioni psico-fisiche derivatone. Costituitasi nei tre separati giudizi la Banca C.I. S.p.A. contestava quanto ex adverso dedotto. Riunite le cause e riassunte le stesse nei confronti della Banca I. S.p.A., il Tribunale respingeva tutte le domande ritenendo non provato l’esercizio da parte del M.M. delle rivendicate mansioni superiori, rilevando che dalla compiuta istruzione fosse emersa la sua reiterata indisponibilità alle nuove collocazioni lavorative ed un comportamento di sistematico rifiuto e di deresponsabilizzazione che gli avevano impedito di sfruttare appieno le nuove opportunità lavorative. Riteneva, infine, generica la domanda intesa ad ottenere il risarcimento per perdita di chances. Detta pronuncia veniva confermata dalla Corte di appello di Palermo. In particolare la Corte territoriale escludeva che il M.M. avesse fornito la prova dello svolgimento di mansioni inquadrabili tra quelle previste dall’art. 11 del CIA del 29/1/1992 e, quindi, il suo diritto all’inquadramento al livello di Quadro Direttivo rivendicato in base all’applicazione di detta norma contrattuale. Riteneva, poi, che la natura dequalificante delle mansioni assegnate all’appellante negli anni 1991/1993, rispetto a quelle dallo stesso in precedenza svolte, non potesse desumersi dal fatto che per tali mansioni non era stato previsto dalla contrattazione collettiva aziendale analogo meccanismo di promozione automatica collegato al mero decorso del tempo. Confermava, inoltre, l’accertata indisponibilità del M.M. a svolgere molte delle mansioni offertegli nel periodo in contestazione e riteneva infondata la prospettazione di un mobbing in danno dell’appellante a partire dal 1999, evidenziando che proprio le mansioni ritenute dallo stesso dequalificanti gli avevano consentito di conseguire, dopo due anni, l’inquadramento tra i Quadri Direttivi. Ribadiva la mancanza di specificazione degli elementi di fatto a sostegno della domanda di riconoscimento di una lesione per perdita di chances di promozione.
Per la cassazione di tale sentenza G.M.M. propone ricorso affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso l’intimata Banca I. S.p.A. (oggi I.S.).
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in merito al possesso dei requisiti specificati dall’art. 11 C.I.A. del 29 gennaio 1992; violazione e falsa applicazione dell’art. 11 C.I.A.; violazione e falsa applicazione dell’art. 421 cod. proc. civ. in ordine ai poteri istruttori del Giudice di rito speciale”. Deduce che la Corte territoriale non ha prestato sufficiente attenzione alle prove orali e documentali raccolte, sulla base delle quali si sarebbe, invece, dovuto concludere che era stata raggiunta la prova della sua partecipazione alla “gestione del credito” o lo svolgimento da parte sua delle mansioni di coadiutore del settorista previste dall’art. 11 del CIA; si duole anche del fatto che i giudici di merito non abbiano disposto l’acquisizione di informazioni sindacali, nell’esercizio dei propri poteri ufficiosi ex art. 412 cod. proc. civ.. Formula, infine, i seguenti quesiti: a) accerti la Corte se è affetta da contraddittorietà ed insufficiente motivazione e da violazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. e 11 CIA del 1992 la sentenza che valuti l’attività di preparazione delle pratiche leasing e factoring, svolta da un capoufficio per conto di un funzionario responsabile, diversamente dalla gestione del credito e dunque diversamente da quella espressamente prevista dal II comma dell’art. 11 citato; b) accerti la Corte se è affetta da contraddittorietà ed insufficiente motivazione e da violazione degli art. 115, 116 e 421 cod. proc. civ. la sentenza che non motivi l’acquisizione delle informazioni sindacali in merito all’inquadramento delle mansioni svolte da un capoufficio nell’ambito di una struttura di gestione del credito di nuova formazione; c) accerti la Corte se per effetto del riconoscimento del superiore inquadramento di capoufficio-quadro siano dovute le differenze retributive e contributive tutte dal dì della maturazione del diritto (1993) sino all’effettivo soddisfo con oltre la rivalutazione monetaria anno per anno e gli interessi dalla singole scadenze da quantificarsi a mezzo C.T.U.”
2. Con secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia: “Contraddittorietà ed insufficienza della motivazione in ordine alla presunta equivalenza delle mansioni attribuite al ricorrente dal novembre 1993 in poi, e dunque su un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione dell’art. 11 CIA per erroneo richiamo del C.C.N.L. del 19 dicembre 1994 in luogo di quello vigente all’epoca dei fatti di causa del 23 dicembre 1990 anche in relazione all’art. 2077 cod. civ.”. Formula, al riguardo, il seguente quesito: “Dica la Corte se rappresenti violazione di legge l’applicazione ai fatti di causa relativi agli anni 1991-1993 (inteso quale tempo entro cui era maturato il diritto al riconoscimento della figura professionale di quadro) di un contratto collettivo nazionale successivo ai fatti medesimi. E se costituisca insufficiente motivazione la mancata adozione di qualsivoglia ragione di fatto e di diritto che giustifichi la non considerazione delle dichiarazioni rilasciate dalle organizzazioni sindacali.”.
3. Con terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia: “Violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa in relazione alla negazione del diritto alla prova – art. 24 Cost. – nonché insufficiente e contraddittoria motivazione in merito al mancato accoglimento dell’istanza di esibizione e dunque su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione e falsa applicazione dell’art. 210 cod. proc. civ.”. Formula, al riguardo, il seguente quesito: “Accerti la Corte se, allorquando la prova richiesta sia indispensabile ai fini del decidere, il mancato esercizio del potere di ufficio di ordinare, ai sensi degli artt. 210 e 421 cod. proc. civ., alla parte l’esibizione di documenti sufficientemente individuati, si traduce in una illegittima compressione del diritto di difesa e, dunque, in una violazione dell’art. 24 della Cost.”.
4. Con quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia: “Violazione del combinato disposto degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. nonché omessa e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione e falsa applicazione del principio dell’onere della prova previsto dall’art. 2697 cod. civ. e violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione alla mancata assunzione della C.T.U.”. Formula, al riguardo, il seguente quesito: “Accerti la Corte se sussista violazione delle norme indicate allorquando in assenza di qualsivoglia dimostrazione da parte del datore di lavoro della trasparenza e criteri posti a base dei provvedimenti promotivi il Giudice di merito non riconosca il diritto al risarcimento del danno da parte del lavoratore non promosso da quantificarsi mediante C.T.U. contabile sulla scorta della allegazione di una relazione di parte”.
5. Con quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2103, 1374, 1175 e 1375 cod. civ. nonché omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio con particolare riferimento alla accertata (in sede cautelare) ricorrenza del mobbing. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.”. Chiede, pertanto alla Corte di accertare se costituisca violazione e falsa applicazione delle norme indicate qualora: a) il Giudice di merito ometta di specificare per quale ragione non ha tenuto conto di (e nemmeno però ha revocato) un provvedimento cautelare volto a far cessare un comportamento mobbizzante da parte del datore di lavoro già emesso dal Tribunale; b) risulti da una relazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica specializzata il danno biologico ed esistenziale da mobbing; c) non riconosca il diritto al risarcimento del danno biologico ed esistenziale al soggetto leso dal comportamento esautorativo della datrice di lavoro nella misura da quantificarsi a mezzo di C.T.U. contabile sulla sorta delle indicazioni svolte nella relazione tecnica di parte”.
6. Con sesto motivo di ricorso il ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dei principi di cui all’art. 91 cod. proc. civ. in ordine alla regolamentazione delle spese di lite tanto nel procedimento di primo grado che quello di impugnazione”. Formula, al riguardo, il seguente quesito: “Accerti la Corte se la corretta applicazione del principio di soccombenza nelle spese comporti la condanna della parte le cui deduzioni e difese siano state disattese”.
7. Il primo ed il secondo motivo di ricorso (da trattarsi congiuntamente in ragione delle intrinseche connessioni) presentano profili di inammissibilità e sono comunque infondati.
Sono inammissibili nella parte in cui è denunciata una violazione di legge, sia perché prospettano la censura relativamente ad un atto (contratto integrativo aziendale) la cui interpretazione è rimessa alla valutazione del Giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente e congruamente motivata, sia perché non si concludono con un idoneo quesito di diritto, atteso che le richieste avanzate alla Corte, come sopra riportate, non presuppongono un errore nella individuazione della norma regolatrice della fattispecie bensì l’erroneo riconoscimento nella situazione di fatto, in concreto accertata, della ricorrenza di elementi costitutivi di una determinata fattispecie.
Le censure di cui al secondo motivo di ricorso implicano, inoltre, la verifica del testo dei contratti collettivi del 19 dicembre 1994 e di quello del 23 dicembre 1990.
Le norme contrattuali interessate sono, tuttavia, solo sommariamente indicate, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Il testo delle norme collettive non è, neppure, allegato al ricorso, in violazione dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. che sanziona con l’improcedibilità l’omessa produzione assieme al ricorso de “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Da ultimo, le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 20075 del 23 settembre 2010, hanno statuito espressamente che la norma citata, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (nel testo sostituito dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale.
I motivi non possono essere ritenuti fondati neppure nella parte in cui denunciano vizi di motivazione.
Intanto va rilevato che gli stessi sono carenti sotto il profilo dell’autosufficienza laddove si citano atti (non solo l’indicato contratto integrativo aziendale, ma anche circolari e note di servizio) ma non ne trascrive la parte essenziale.
Eguale carenza si riscontra nel riferimento alle risultanze delle prove orali, senza che vi sia traccia delle affermazioni dei testi.
In ogni caso va ricordato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte: a) in linea generale, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (si vedano, tra le tante: Cass. n. 9043 del 20 aprile 2011; id. n. 313 del 13 gennaio 2011; n. 37 del 3 gennaio 2011; n. 20731 del 3 ottobre 2007; n. 18214 del 21 agosto 2006; n. 3436 del 16 febbraio 2006; n. 8718 del 27 aprile 2005); b) in particolare, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (così Cass. n. 17915 del 30 luglio 2010); c) infatti, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nella valutazione delle risultanze probatorie è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 comma 1, n. 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (in tal senso Cass. n. 14267 del 20 giugno 2006; id. n. 2707 del 12 febbraio 2004; n. 12912 del 13 luglio 2004; n. 26965 del 20 dicembre 2007; n. 20112 del 18 settembre 2009).
Nella specie, le valutazioni delle risultanze probatorie operate dalla Corte di appello sono congruamente motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. Nel fondare il convincimento che le mansioni di addetto alla promozione di operazioni di leasing e factoring svolte dal M.M. all’inizio degli anni ’90 in favore della C.L. e della C.F. non consistessero, come il ricorrente assumeva, nella collaborazione con funzionari settoristi della Banca nella gestione dei crediti (con la conseguenza che il relativo periodo di svolgimento non potesse essere positivamente valutato ai fini della maturazione del diritto all’inquadramento nella qualifica di Quadro Direttivo) il giudice di merito ha fatto riferimento a plurime e concordanti testimonianze ritenute così precise e circostanziate da non risultare smentire dalle generiche affermazioni rese da altri testimoni.
Si aggiunga che la Corte territoriale ha ritenuto che l’attività lavorativa demandata all’appellante di addetto all’Ufficio Contenzioso della Filiale di Palermo ed al nucleo Remote Banking, rientrasse pienamente nell’area di inquadramento e nel profilo dallo stesso rivestito.
8. Non migliore sorte meritano il terzo e quarto motivo di ricorso (da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione) che risultano inammissibili e sono comunque infondati. Ad un giudizio di inammissibilità si perviene prestando adesione all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il rigetto da parte del giudice di merito dell’istanza di disporre l’ordine di esibizione al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte (nella specie, quanto al terzo motivo, l’esibizione dei fascicoli personali di alcuni dipendenti della Banca che rileva anche nel quarto motivo) non è sindacabile in cassazione. In ogni caso si perviene ad un giudizio di infondatezza aderendo al differente orientamento secondo il quale la discrezionalità del potere officioso del giudice di ordinare alla parte o ad un terzo, ai sensi degli artt. 210 e 421 cod. proc. civ., l’esibizione di un documento sufficientemente individuato, non potendo sopperire all’inerzia delle parti nel dedurre i mezzi istruttori, rimane subordinata alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118 e 210 cod. proc. civ. e 94 disp. att. cod. proc. civ. e deve essere supportata da un’idonea motivazione, rilevandosi dalla sentenza impugnata ampia e congrua motivazione delle ragioni per le quali si è ritenuto di non dar corso alle richieste istruttorie.
Va, peraltro, anche richiamato un principio consolidato, cui questa Corte presta convinta adesione, secondo il quale: “Il diritto soggettivo del lavoratore ad essere promosso ad una categoria (o grado o classe) superiore si configura allorquando la disciplina del rapporto di lavoro garantisca l’avanzamento come effetto immediato e diretto di determinati presupposti di fatto, di cui sia accertata l’esistenza, prescindendo da ogni indagine valutativa del datore di lavoro. Pertanto, nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva in tema di promozioni (nella specie, artt. 105 e 107 C.C.N.L. del 1990, confermati dagli artt. 113 e 115 del C.C.N.L. 1994 per i dipendenti delle aziende di credito) rimetta il giudizio, sulle attitudini e sulle capacità professionali, esclusivamente al datore di lavoro, il giudice, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost., non può sostituirsi a lui, potendo sindacarne l’operato solo se la mancata promozione sia espressione di deliberata violazione delle regole di buona fede e correttezza che devono presiedere allo svolgimento del rapporto di lavoro” – cfr. in tal senso Cass. n. 8350 del 26 maggio 2003 ed in senso conforme Cass. n. 5477 dei 5 aprile 2012 -.
9. Il quinto motivo di ricorso è infondato. Non può, infatti, far derivare il ricorrente un esonero dagli oneri di allegazione e prova dall’esito a sé favorevole di un procedimento cautelare conclusosi, come si assume, con l’ordine di “immediata cessazione del comportamento esautorativo”.
Oltre a doversi rilevare che di tale provvedimento, in violazione del principio di autosufficienza, non è trascritto il contenuto, non è indicato sulla base di quali risultanze istruttorie sia stato reso né se di tali risultanze istruttorie sia stato chiesto al giudice della cognizione piena di tener conto, non può non evidenziarsi che i provvedimenti temporanei ed urgenti di natura cautelare assunti ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ. caratterizzano ed esauriscono la fase cautelare del procedimento cui dà luogo il ricorso del lavoratore, mentre del tutto distinto ed autonomo rimane, rispetto ad essa, il successivo giudizio di merito a cognizione piena diretto ad accertare l’esistenza del diritto per la cui tutela era stato chiesto quel provvedimento. In tale giudizio di merito, dunque, con i consueti oneri di allegazione e prova, andava dimostrato non solo il “comportamento esautorativo” e, dunque, l’inadempimento datoriale, ma anche il conseguente danno. La mancata dimostrazione del primo rende del tutto irrilevante la questione della ammissibilità del ricorso al procedimento presuntivo per la prova del danno.
10. In conclusione, il ricorso (assorbito essendo l’esame dell’ultimo motivo) deve essere rigettato.
11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, dovendo farsi applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140. Al riguardo va precisato che l’art. 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27, dispone: “1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. 2. Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, (omissis) 3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. Con Decreto 20 luglio 2012, n. 140, è stato, quindi, emanato il Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi del citato articolo 9. Il Regolamento trova applicazione in difetto di accordo tra le parti in ordine al compenso (art. 1 d.m. 140/2012 in riferimento all’art. 9, comma 4, d.l. n. 1/2012, conv. L. 24 marzo 2012 n. 27). L’art. 41 di tale Decreto n. 140/2012, aprendo il Capo VII relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012.
Il riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto nell’art. 41 citato (“le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”) depone per la soluzione interpretativa che porta a ritenere applicabile la nuova disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza dell’abrogato sistema tariffario forense.
Nel nuovo sistema, che non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, ma esige che la valutazione dell’opera del professionista avvenga per fasi processuali (artt. 4 e 11) e secondo parametri specifici (art. 11 e tabella A-Avvocati), l’apprezzamento dell’attività difensiva, alla stregua dei criteri di cui al secondo e terzo comma dell’art. 4, non è più correlato al momento in cui l’opera è prestata, ma al momento in cui questa viene valutata dal giudice.
Qualsiasi diversa soluzione interpretativa che consentisse l’applicazione del sistema tariffario alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del d.m. in esame contrasterebbe non solo con la disposizione regolamentare di cui all’art. 41 citato, ma anche con il dettato normativo di cui al comma terzo dell’art. 9, d.l. n. 1/2012, conv. l. 24 marzo 2012 n. 27, che ha – con chiarezza – escluso l’ultrattività del sistema tariffario oltre la data di entrata in vigore del decreto ministeriale, avvenuta anteriormente alla scadenza del termine (di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) fissato per la transitoria applicazione del sistema tariffario abrogato.
Avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali indicati nel menzionato art. 4 del D.M. e non ravvisandosi elementi che giustifichino un discostamento dal valore medio di riferimento indicato per ciascuna della tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A i compensi sono liquidati nella misura omnicomprensiva di euro 3.000,00, oltre euro 40,00 per esborsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, il favore di controparte, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 40,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2012.
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