CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 novembre 2013, n. 25469
Tributi – Frode carosello – Prove – Percentuali di ricarico antieconomiche – Sussiste
Svolgimento del processo
Con avvisi di accertamento emessi dalla Direzione provinciale di Forlì-Cesena dell’Agenzia delle Entrate venivano recuperate le maggiori imposte dovute per gli anni 2003 e 2004 da A. s.r.l. a titolo IVA, IRPEG ed IRAP, in dipendenza di operazioni “soggettivamente” inesistenti – aventi ad oggetto l’acquisto di autoveicoli provenienti da altri Stati membri- condotte dalla contribuente con la società interposta S. s.r.l. ed altre società cd. “cartiere” (I.A. di P.A.; CAR 3000 di M.P.; ditta Z.G.; I. di F.F.).
I ricorsi proposti dalla contribuente venivano accolti con sentenze n. 53/2008 e n. 54/2008 della CTP di Forlì, confermate, previa riunione dei giudizi di impugnazione proposti dall’Ufficio finanziario, con sentenza 28.6.2011 n. 45 della Commissione tributaria della regione Emilia-Romagna che rigettava gli appelli dell’Ufficio, da un lato, affermando la insussistenza di ulteriori prove necessarie ad integrare l’elemento indiziario della vendita sottocosto ex se inidoneo a dimostrare la frode in presenza di regolare contabilità della società contribuente; dall’altro dichiarando inammissibile per difetto del requisito di specificità il motivo di gravame concernente l’asserita inesistenza “soggettiva” delle operazioni.
Avverso la sentenza ha proposto rituale ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo quattro motivi, ai quali ha resistito con controricorso la società contribuente che ha depositato anche memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la Agenzia fiscale censura la sentenza di appello in relazione alla violazione dell’art. 53 Dlgs n. 546/1992 con riferimento alla statuizione di inammissibilità del motivo di gravame con il quale erano stata dedotta la inesistenza soggettiva delle operazioni di compravendita degli autoveicoli.
1.1 La CTR ha fondato la pronuncia di inammissibilità sulla asserita incomprensibilità del motivo di gravame con il quale veniva dedotto che le operazioni di compravendita delle auto erano state realizzate tra soggetti diversi da quelli indicati nelle fatture, ritenendo inoltre che l’Ufficio appellante avesse anche omesso di indicare la prova documentale dell’assunto e di specificare le diverse operazioni fatturate.
1.2 II motivo è fondato.
1.3 Dalla lettura degli atti di appello, integralmente trascritti alle pag. 11-24, risulta infatti che l’Ufficio aveva fondato le pretese impositive sulla “simulazione soggettiva” dei rapporti intercorsi tra A. e le società cedenti desunti da un complesso di elementi indiziari, evidenziati nei PPVVC redatti in data 25.10.2005 e 3.8.2006, quali in particolare l’applicazione da parte di A. s.r.l. nelle rivendite dei veicoli ai propri clienti di percentuali di ricarico antieconomiche e non remunerative dell’attività d’impresa – la anomala modalità di pagamento del corrispettivo alla ditta fornitrice (interposta) seguita da A. s.r.l. in diverse operazioni, mediante versamento anticipato dell’importo (modalità non conforme alla prassi commerciale che poteva spiegarsi soltanto con la necessità di costituire a favore della ditta fornitrice la liquidità necessaria per effettuare la ordinazione dell’acquisto intracomunitario) – la fornitura “sottocosto” – rispetto alle quotazioni medie di mercato rilevate dalla stampa specializzata – di veicoli ad A. s.r.l. da parte S. s.r.l., risultando i prezzi di compravendita – sebbene comprensivi anche delle spese di trasporto – addirittura inferiori a quelli corrisposti, alla importazione, dalla ditta fornitrice agli operatori comunitari; analoghi elementi indiziari erano stati raccolti per la fonitre di autoveicoli effettuate da Z.G. (nei confronti del quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna aveva iniziato, per i fatti di causa, procedimento penale ed era stata successivamente disposta misura restrittiva della libertà personale); stessi indizi erano emersi in ordine all’unica operazione di compravendita condotta da A. s.r.l. con la ditta I. I.E. di F.F. – attraverso la quale continuava ad operare lo Z. dopo che si era diffusa la notizia che erano in corso indagini penali, avendo la ditta fornitrice corrisposto all’importazione un prezzo maggiore di quello a cui il veicolo era stato poi rivenduto il peculiare “modus operandi” della ditta CAR 3000, riscontrato nei controlli eseguiti dai verbalizzanti, caratterizzato dal brevissimo ciclo operativo (la società ha iniziato e cessato l’attività nello stesso anno 2003) e dal sistematico omesso versamento dell’IVA dovuta in occasione delle predette operazioni di compravendita.
1.4 Orbene i Giudici di merito hanno ritenuto di isolare un autonomo motivo di gravame (emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti) rispetto evidentemente agli altri motivi, dichiarandolo inammissibile, autonomo motivo che tuttavia è dato affatto individuare dalla esposizione degli atti di appello, interamente incentrata sulla dimostrazione dello schema fraudolento posto in essere dalle diverse società che intervenivano nella catena delle compravendite dei beni originate dagli acquisti intracomunitari; schema fraudolento che, per l’appunto, veniva attuato attraverso il meccanismo della interposizione fittizia dei fornitori nazionali.
1.5 La distinzione tra i motivi di gravame operata dalla CTR non trova dunque riscontro obiettivo negli atti processuali, e risulta anche scarsamente comprensibile alla stregua della stessa motivazione della decisione di appello in cui, dapprima si distinguono e poi si confondono i piani della frode fiscale e della fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti. Ed infatti mentre nella prima parte della motivazione si esaminano gli elementi – ritenuti insufficienti – dai quali derivare la prova della partecipazione della contribuente al meccanismo frodatorio realizzato dalla società cedente (venendo esclusa la prova del “pactum sceleris” per il fatto che i beni venivano ceduti a prezzi inferiori rispetti a quelli normalmente praticati nel settore, in quanto la cedente applicava un minor ricarico, di cui fruiva la cessionaria, pari all’IVA non versata allo Stato), tenendo distinta la ipotesi, confinata in un motivo di gravame dichiarato inammissibile per genericità, della interposizione fittizia (ipotesi secondo cui la cessionaria realizzava effettivamente la operazione di acquisto con altro soggetto-interponente, mentre l’intervento della società interposta era utilizzato al solo fine di detrarre l’IVA sulla fattura passiva), nella seconda parte della motivazione i Giudici sembrano, invece, voler considerare collegati i due piani (la falsità soggettiva delle operazioni sarebbe lo strumento per attuare la frode) laddove affermano, con giudizio attinente al merito – e pertanto evidentemente incompatibile con la precedente dichiarazione di inammissibilità del motivo di gravame – che essendo del tutto assenti le prove della inesistenza soggettiva delle operazioni doveva ritenersi assorbita la questione relativa all’accertamento della consapevolezza della frode da parte della società contribuente.
1.6 La dichiarazione di inammissibilità del motivo di gravame, risulterebbe, peraltro, egualmente inficiata da nullità – anche nella diversa ipotesi qui disattesa – in quanto, come è stato esattamente evidenziato dalla parte ricorrente, l’atto di appello bene può limitarsi a riferire argomentazioni già svolte ed a richiamare documenti già indicati negli atti difensivi del primo grado, assolvendo l’appellante anche in tal modo al requisito di specificità di cui all’art. 53 Dlgs n. 546/1992 (cfr. Corte cass. Set. 5, Sentenza n. 14031 del 16/06/2006 Sez. 5, Sentenza n. 4784 del 28/02/2011 – secondo cui è sufficiente anche reiterare le stesse argomentazioni indicate nella motivazione dell’avviso di accertamento; Sez. 5, Sentenza n. 3064 del 29/02/2012) ove tali argomenti – come nella specie – appaiano idonei a criticare la soluzione adottata dai Giudici di prime cure che avevano annullato gli avvisi di accertamento sul presupposto della insufficienza probatoria degli elementi indiziari sopraindicati a fronte di una contabilità della società contribuente formalmente corretta.
2. Gli altri motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente in quanto legati tra loro da nessi di subordinazione logica.
2.1 Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 19 co 1 e 54 co 2 Dpr n. 633/1972, dell’art. 2729 c.c., dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia in data 12.1.2006 ed in data 6.7.2006) ed il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21 e 54 Dpr n. 633/1972, nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c.) sono infondati, mentre è fondato il quarto motivo con il quale l’Agenzia fiscale censura la sentenza impugnata per vizio di insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.
2.2 La CTR alla stregua dell’espresso giudizio di insufficienza probatoria dell’indizio costituito dall’acquisto “sottocosto” ritenuto inidoneo ex se a dimostrare la interposizione fittizia delle ditte fornitrici e la compartecipazione di A. s.r.l. al reato di frode, ha ritenuto superflua la ulteriore verifica della “consapevolezza” del sistema di frode da parte di A. s.r.l..
2.3 Tanto è sufficiente ad escludere sia la violazione delle norme tributarie in materia IVA che disciplinano il diritto alla detrazione d’imposta – come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità – e dei criteri individuati dalla Corte di giustizia a tutela del soggetto che in buona fede abbia contrattato con società cartiere o filtro senza rendersi conto che la operazione si inseriva in un più ampio meccanismo di frode fiscale, sia la violazione delle norme che regolano il riparto dell’onere probatorio nella specifica materia: i Giudici territoriali, infatti, con giudizio che attiene al merito, hanno ritenuto destituito di efficacia il predetto rilievo indiziario, in tal modo sostenendo che l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito neppure quegli “attendibili indizi” necessari per fondare l’assunto della fittizietà relativa ex latere alienantis della operazione e per giustificare l’onere della prova contraria a carico della società contribuente, con il che rimaneva esaurito ogni ulteriore accertamento istruttorio, atteso che se le operazioni erano da ritenersi realmente intercorse tra A. s.r.l. e società fornitrici, veniva meno lo stesso presupposto della simulazione relativa che costitutiva il mezzo per la realizzazione della frode “carosello”, con conseguente estraneità della ditta cessionaria, – in difetto di circostanze tali da ingenerare sospetto sulla regolarità fiscale della operazione e da richiedere quindi una verifica della ignoranza incolpevole – alla violazione dell’obbligo di versamento dell’IVA da parte della cedente.
2.4 Il rigetto dei motivi secondo e terzo, tuttavia, non esonera dal richiamo ai principi di diritto enunciati da questa Corte in materia di onere della prova e di tutela del diritto alla detrazione IVA dell’opertaore di buone fede in quanto direttamente rilevanti sull’esame del quarto motivo.
2.5 Occorre premettere che il diritto alla detrazione ex art. 19 Dpr n. 633/1972 non può prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in specie dalla fattura che in tema di IVA è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, come si evince chiaramente dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che ne disciplina il contenuto, prescrivendo tra l’altro l’indicazione dell’oggetto e del corrispettivo di ogni operazione commerciale.
Pertanto, nella ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti (in tale nozione dovendo essere ricondotte non soltanto le ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata, ma anche ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture che ha regolarmente versato il corrispettivo, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto documentato dalla fattura siano falsi: cfr. Corte cass. V sez. tu 6378 del 22/03/2006; id. V sez. n. 29467 del 17/12/2008; id. V sez. n. 2672 del 16/05/2012; id. V sez. n. 23074 del 14/12/2012), non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’amministrazione, che adduce la falsità del documento, provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere (cfr. Corte cass. V sez. 12.12.2005 n. 27341; id. V sez. n. 12802 del 10/06/2011). Tale prova è raggiunta se l’amministrazione fornisca validi elementi – alla stregua dell’art. 54 comma 2 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, ovvero che – ai sensi dell’art. 54 comma 3 del medesimo decreto – dimostrino “in modo certo e diretto” la “inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione” (prova che può essere data anche attraverso “I verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”). In tal caso passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Corte cass. V sez. 19.10.2007 n. 21953; id. V sez. 11.6.2008 n. 15395; id. V sez. 7.2.2008 n. 2847).
Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi fomiti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697 comma 2 c.c. (cfr. Corte cass. V sez. 23.4.2010 n. 9784; id. V sez. n. 4306 del 23/02/2010).
2.6 Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, riconducibile alle cd. “frodi carosello” (caratterizzate dal fatto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione IVA proviene in realtà da soggetto diverso da quello interposto o cd. “fantasma” che ha emesso la fattura incassando l’IVA ed omettendo poi di versarla all’Erario), la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che, una volta fornita dalla Amministrazione finanziaria la prova della interposizione fittizia della società “cartiera o fantasma” nella operazione commerciale effettivamente posta in essere dal cessionario/committente con un diverso soggetto – cedente/prestatore – che non figura nella fatturazione (l’Amministrazione finanziaria “è tenuta a dimostrare, in primo luogo, gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di “cartiera”, la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e in secondo luogo, la connivenza nella frode da parte del cessionario, non necessariamente, però, con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente cfr. Corte cass. V sez. n. 10414 del 12/05/2011; id. V sez. n. 23560 del 20/12/2012), spetta al contribuente (cessionario/committente) che ha portato in detrazione l’IVA fornire la prova contraria che l’apparente cedente/prestatore non è un mero soggetto (fittiziamente) interposto e che la operazione è stata “realmente” conclusa con esso, non essendo tuttavia sufficiente a tale scopo la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo, “trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode” (cfr. Corte cass. V sez. 24.7.2009 n. 17377; id. 20.1.2010 n. 867; id. 11.3.2010 n. 5912; id. V sez. n. 12802 del 10/06/2011. Giurisprudenza costante: Corte cass. 3.12.2001 n. 15228, id. 6.2.2003 n. 1779, id. 23.12.2005 n. 28695, id. 23.3.2007 n. 7146).
2.7 Tali principi debbono essere coordinati con l’affermazione del Giudice comunitario secondo cui l’operatore in buona fede, non è tenuto a subire le conseguenze dei fatti illeciti realizzati da altri, laddove non abbia in alcun modo partecipato alla frode del soggetto interposto e dei fornitori o degli altri soggetti che intervengono nella catena delle cessioni a monte od a valle della operazione conclusa con il soggetto interposto.
2.8 Deve essere richiamata in proposito la giurisprudenza comunitaria formatasi sulla nozione di “buona fede” del soggetto passivo – da intendersi quale ignoranza incolpevole in ordine agli accordi fraudolenti volti alla evasione dell’IVA intercorsi tra il soggetto cedente/commissionario che ha emesso la fattura ed i soggetti intervenuti nelle operazioni precedenti o successive – sulla quale è imperniato il principio fondamentale del sistema comune dell’IVA che riconosce il diritto alla detrazione IVA a tutti quei soggetti passivi che effettuino operazioni di cessione di beni e di prestazioni di servizi nell’esercizio di una attività economica (cfr. da ultimo Corte giustizia 6.9.2012 causa C-324/11, Gabor Toth, punti 23-28; id. 21.6.2012 cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft, e David), e che si sostanzia nel principio secondo cui “gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte della frode…devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di perdere il proprio diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte” (cfr. Corte giustizia 11.5.2006, in causa C-384/04, Federation of Technological Industries; id. sentenza 6.7.2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittei e Raccolta Recycling sprl, punto 51).
Come chiaramente è stato precisato dal Giudice di Lussemburgo, spetta alla Amministrazione finanziaria che contesti la inesistenza – anche soggettiva – delle operazioni fatturate, dimostrare (anche in via presuntiva) che il soggetto passivo “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in una frode IVA”, tanto potendo fare, sia dando la prova che tale soggetto era direttamente coinvolto nel fatto illecito (rimanendo in tal caso escluso il diritto alla detrazione, in base al principio di diritto comunitario secondo cui “gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente” dei diritti loro riconosciuti dall’ordinamento comunitario: Corte giustizia 6.7.2006, Kittei e Raccolta, cit. punto 53 e 54), sia fornendo anche la prova indiretta della consapevolezza della frode, mediante indicazione di quegli elementi oggettivi che, avuto riguardo alle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore “eiusdem generis ac professionis” a sospettare della irregolarità della operazione (dovendo in tal caso considerarsi il soggetto passivo che “sapeva o avrebbe dovuto sapere” come “partecipante a tale frode, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni”: id. 6.7.2006, Kittei e Recolta, punto 56 e 57. Cfr. Corte cass. V sez. 20.12.2012 n. 23560 che, dando atto dei principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria, ha affermato, con riferimento alla ipotesi di indebita detrazione IVA relativa a fatture emesse per operazioni “soggettivamente” inesistenti, che spetta alla Amministrazione finanziaria fornire la prova, anche indiziaria, che il contribuente “sapesse o dovesse sapere” con l’uso della appropriata diligenza della evasione d’imposta o della frode perpetrata da altri soggetti). In tal caso si riversa sul contribuente l’onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il cedente ed i precedenti fornitori, oppure, nonostante l’impiego della dovuta diligenza richiesta dalle specifiche modalità in cui si è svolta l’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (cfr. Corte cass. V sez. n. 23074 del 14/12/2012; id. V sez. n. 6229 del 13/03/2013 secondo cui “in ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escluderne l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con l’effetto che, in tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata”).
2.9 Orbene i Giudici di merito hanno rigettato gli appelli dell’Ufficio finanziario ritenendo che “il basso prezzo praticato non può costituire prova idonea a dimostrare che gli acquisti dei soggetti interposti non fossero reali, e che tale indizio ex se non fosse sufficiente a destituire di attendibilità la contabilità formalmente regolare della società contribuente.
Il giudizio di rilevazione e ponderazione degli elementi probatori acquisiti al processo compiuto dalla CTR appare manifestamente lacunoso, laddove, da un lato, omette del tutto di considerare che la vendita sottocosto non era l’unico indizio offerto dall’Ufficio, ma dai PPVVCC emergevano numerosi altri elementi (come specificato al parager. 1.3 della presente motivazione), ingiustificatamente trascurati e che imponevano, invece, ai Giudici di merito di compiere una corretta ed esaustiva valutazione degli stessi, sia verificandone singolarmente la obiettiva rilevanza rispetto ai fatti costitutivi della pretesa tributaria, sia esaminando il complessivo quadro indiziario risultante dalla combinazione degli stessi, valutando in particolare se Io stesso potesse ritenersi dotato dei requisiti di “precisione” e “gravità” (concludenza), ed in quanto composto da plurimi indizi, anche dell’ulteriore requisito di compatibilità reciproca (“concordanza”) che deve necessariamente sussistere tra le singole circostanze fattuali (in quanto non solo non escludentisi ma tutte convergenti verso il medesimo risultato), ovvero, diversamente, evidenziando la incapacità logico-deduttiva di tali indizi in quanto inidonei a realizzare la relazione di inferenza tra il fatto noto e quello oggetto di prova, in considerazione del contrario dato esperienziale, ovvero a causa della eccezionalità e non regolarità, secondo l’ “id quod plerumque accidit”, della sequenza, logicamente possibile, fatto noto-fatto ignorato, o ancora difettando la univocità di tipo logico-probabilistico del nesso di derivazione dal fatto noto del fatto ignorato essendo ipotizzabili “inferenze probabilistiche plurime [ndr. logicamente inconciliabili]” (cfr. Corte cass. V sez. 2.3.2012 n. 3281).
3. Le lacune evidenziate nella rilevazione e nel susseguente giudizio di ponderazione del materiale probatorio inficiano, pertanto, la valutazione di inconsistenza indiziaria limitata dalla CTR alla isolata circostanza della “vendita sottocosto”, dovendo in conseguenza la sentenza impugnata essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Emilia-Romagna affinché provveda ad emendare i vizi logici riscontrati liquidando all’esito anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Emilia-Romagna che liquiderà all’esito anche le spese del presente giudizio.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 giugno 2021, n. 15860 - In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere…
- Le cessioni sottocosto costituisco elemento sintomatico di una possibile frode erariale
- CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 5396 depositata il 29 febbraio 2024 - In tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo e non è suscettibile, in…
- Corte di Giustizia UE, sez. V, sentenza 24 novembre 2022, C-596/21 - Gli articoli 167 e 168 della direttiva 2006/112, letti alla luce del principio del divieto di frode, devono essere interpretati nel senso che al secondo acquirente di beni può essere…
- DECRETO LEGISLATIVO 25 maggio 2021, n. 83 - Recepimento degli articoli 2 e 3 della direttiva (UE) 2017/2455 del Consiglio del 5 dicembre 2017 che modifica la direttiva 2006/112/CE e la direttiva 2009/132/CE per quanto riguarda taluni obblighi in…
- Vendite al dettaglio da parte degli istituti vendite giudiziarie ed obbligo di certificazione dei corrispettivi - Risposta 15 novembre 2019, n. 489 dell'Agenzia delle Entrate
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…