CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 novembre 2013, n. 25478

Tributi – Accertamento – Accertamento analitico induttivo – Verifiche – Segnalazioni – Accertamento parziale – Ammissibilità

Svolgimento del processo

Con sentenza 11.11.2005 n. 313 la Commissione tributaria della regione Campania, accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio di Avellino dell’Agenzia delle Entrate e dichiarava legittimo l’avviso di rettifica parziale della dichiarazione IVA relativa all’anno 1997, emesso nei confronti di De C. V. titolare dell’omonima ditta individuale (somministrazione bevande al pubblico), ed avente ad oggetto la rideterminazione con metodo analitico-induttivo del fatturato imponibile e la conseguente liquidazione della maggiore imposta dovuta.

I Giudici di appello ritenevano che il contribuente non avesse fornito adeguati elementi volti a contrastare l’accertamento fiscale fondato sul giudizio di inattendibilità delle scritture contabili determinato dall’abnorme ed inverosimile risultato reddituale esposto nella dichiarazione, inferiore al salario di un lavoratore subordinato, dovendo considerarsi altresì coerente la riscostruzione della base imponibile operata mediante ricorso a dati statistici e di esperienza concernenti verifiche condotte su esercizi commerciali analoghi (gr. 6-7 di consumo di caffè per singola somministrazione; ricarico sul costo del venduto degli altri prodotti commercializzati pari al 93%).

Avverso la sentenza di appello, non notificata, la ditta contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro mezzi, con atto ritualmente notificato alla Agenzia delle Entrate in data 21.12.2006.

La Agenzia intimata non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso, con i quali la ditta contribuente censura la sentenza di appello per vizi relativi ad “errores in judicando” (violazione: dell’art. 54co 5 Dpr n. 633/72 – primo motivo–, dell’art. 54 commi 1,2,3 e 5 Dpr n. 633/72 -secondo motivo dell’art. 56 Dpr n. 633/72 -terzo motivofalsa applicazione dell’art. 39 Dpr n. 600/73 – quarto motivo ), replicando i motivi secondo, terzo e quarto anche con la censura di vizio logico della motivazione, possono essere esaminati congiuntamente in quanto tutti concernenti i presupposti ed limiti normativi in relazione ai quali l’Amministrazione finanziaria può esercitare il potere di “accertamento parziale” in materia di IVA.

2. Premesso che i motivi primo, secondo e terzo debbono ritenersi inammissibili in quanto, come è dato desumere dalla esposizione degli argomenti in fatto e diritto a sostegno degli stessi, la parte ricorrente evidenzia vizi ed incongruità concernenti esclusivamente l’atto impositivo (criticando gli indici di redditività adottati dall’Ufficio finanziario ed i criteri di misurazione delle quantità di materia prima impiegata nella somministrazione del prodotto venduto, deducendo la carenza di motivazione dell’avviso di rettifica e la nullità dell’atto per mancata allegazione di prospetti, allegando violazioni attinenti al contraddittorio nel procedimento amministrativo di verifica), omettendo del tutto di individuare le argomentazioni in fatto e diritto, oggetto di specifica censura, poste a fondamento del decisum dalla sentenza impugnata, ed omettendo anche di individuare il corretto parametro normativo alla stregua del quale richiedere il sindacato di legittimità della Corte (il terzo motivo di ricorso -concernente la nullità dell’avviso di rettifica per difetto del requisito di validità della motivazione ex art. 56 co 5 Dpr n. 633/72- era stato “riproposto” in grado di appello con autonomo motivo di appello incidentale sul quale la CTR ha omesso del tutto di pronunciare, con la conseguenza che la ditta ricorrente avrebbe dovuto impugnare la sentenza, in relazione all’art. 360 co l n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c.), occorre ulteriormente rimarcare la manifesta carenza di autosufficienza del ricorso interamente fondato sul presupposto indimostrato (non essendo stato trascritto, né riportato in riassunto, il contenuto dell’atto impositivo, all’esame del quale la Corte non ha accesso in considerazione dei limiti propri del sindacato di legittimità avuto riguardo ai vizi) che l’avviso di rettifica impugnato sia stato emesso dall’Ufficio finanziario ai sensi del predetto art. 54 comma 5 Dpr n. 633/72 e debba dunque qualificarsi come accertamento di tipo parziale anziché – come invece sembrerebbe desumersi dalla sentenza di appello – di tipo globale, condotto con metodo induttivo-puro od analitico-induttivo ai sensi dell’art. 55 Dpr n. 633/72.

3. In ogni caso ritiene il Collegio che tutti i motivi di ricorso debbono comunque ritenersi anche infondati.

4. Le attribuzioni dei poteri di indagine istruttoria degli Uffici finanziari in materia di controllo “delle dichiarazioni presentate e dei versamenti eseguiti dai contribuenti” debbono infatti essere rinvenuti nelle disposizioni degli artt. 51 e 52 Dpr n. 633/1972 che prevedono poteri di accesso, ispezione, verifica, richiesta ed acquisizione di informazioni e documenti, da esercitare ad iniziativa di ufficio e secondo gli eventuali criteri organizzativi e selettivi fissati dalla Amminsitrazione centrale. La Guardia di Finanza, ai sensi dell’art. 63 del Dpr n. 633/72, collabora con i predetti uffici a tali attività di “acquisizione e reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento della imposta e per la repressione delle violazioni”.

5. Diversamente da quanto ipotizza la parte ricorrente, pertanto, l’acquisizione degli indicati elementi utili ai fini del l’accertamento non è affatto vincolata a fonti informative privilegiate o tassative (come intenderebbe affermare la parte ricorrente, laddove sostiene che la mancanza di una “segnalazione” trasmessa dal Centro Informativo delle Entrate determinerebbe la improcedibilità dell’accertamento privando l’Ufficio del relativo potere), essendo appena il caso di rilevare come la previsione dell’art. 54 comma 5 Dpr 633/72 -nel testo vigente ratione temporis- che consente agli Uffici finanziari di procedere all’accertamento parziale in caso di segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale o dalle Direzioni regionali o da qualsiasi altro ufficio pubblico, va intesa non come limite al potere di iniziativa dei controlli fiscali (regolato come si è visto dagli artt. 51 e 52 Dpr n. 633/72) ma anzi come ampliamento di quel potere, il cui esercizio può essere attivato immediatamente (indipendentemente e senza pregiudizio della ordinaria azione accertatrice) in conseguenza di sollecitazioni provenienti dagli uffici di qualsiasi altra Agenzia fiscale e finanche da organi ed uffici estranei alla organizzazione dell’Amministrazione finanziaria.

L’interpretazione fornita da questa Corte, dell’art. 54 co 5 Dpr n. 633/72, ha posto in evidenza la diretta corrispondenza di tale accertamento (parziale) con quello ordinario (globale) di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo 54 (per il quale non vi è dubbio che il procedimento di verifica possa attingere anche ad elementi ed informative acquisiti presso uffici ed enti pubblici -ed anche privati-), in quanto “la nozione di accertamento parziale non indica che l’oggetto sia limitato a singoli elementi, né che esso sia caratterizzato da provvisorietà rispetto a quello ordinario, ma soltanto, che in base alla formula normativa usata, l’imposizione è fondata su segnalazioni provenienti da determinate fonti di conoscenza (soggetti esterni all’Ufficio finanziario procedente) nonché implicitamente in grado, in forza di un c.d. automatismo argomentativo, di fornire, in base ad una verifica elementare, gli elementi di contenuto dell’atto” (cfr. Corte cass. V sez. 4.8.2010 n. 18065) ed “Il fatto che la ‘‘verifica” sia stata espressamente inclusa tra i relativi presupposti solo con la modifica della predetta disposizione da parte dell’art. 1, comma 406, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non esclude che, anche in precedenza, l’accertamento parziale potesse basarsi su una verifica generale, non richiedendosi all’uopo necessariamente una segnalazione del centro informativo delle tasse e delle imposte indirette sugli affari, della Guardia di finanza e di pubbliche amministrazioni o enti pubblici, in quanto la segnalazione costituisce solo l’atto di comunicazione che consente l’accertamento, distinto dall’attività istruttoria, anche se di modestissima entità, da esso necessariamente presupposta” (cfr. Corte cass. V sez. 5.2.2009 n. 2761; id. V sez. 22.1.2010 n. 1150. Vedi anche Corte cass. V sez. 12.3.2008 n. 6574 e 15.9.2009 n. 19822 secondo cui l’accertamento parziale può essere compiuto rilevando la infedeltà della dichiarazione ‘‘‘‘anche direttamente dal suo contenuto, secondo il criterio generale dell’art. 54″ non occorrendo che vengano acquisiti elementi trasmessi da altre autorità).

6. Quanto alla asserita violazione dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 54 Dpr n. 633/72 che disciplinano l’accertamento in rettifica a seguito di controllo della dichiarazione IVA e dell’espletamento delle altre attività istruttorie previste dagli artt. 51 e 52 del medesimo decreto (da cui emerga la inaffidabilità dei dati riportati nelle scritture contabili), la censura si palesa manifestamente apodittica laddove la parte ricorrente:

a) a fronte del dato riportato in sentenza secondo cui i ricavi esposti nella dichiarazione risultavano addirittura inferiori al reddito da lavoro subordinato corrisposto al personale; impiegato nel settore, si limita genericamente a contestare la emersione dalle scritture contabile della impresa di omissioni o false indicazioni;

b) denuncia il carattere meramente congetturale del criterio di determinazione dei ricavi utilizzato dall’Ufficio, senza tuttavia fornire gli elementi indispensabili a criticare il metodo comparativo – desunto dai dati rilevati dalle verifiche condotte su analoghi esercizi commerciali – adottato dall’Ufficio nella individuazione della percentuale di ricarico e della quantità di materia prima occorrente per la preparazione del prodotto venduto (la censura si risolve pertanto in una mera contrapposizione dei dati asseriti corretti dalla ditta ai dati ritenuti corretti dalla CTR, senza che venga sviluppato alcun argomento critico idoneo ad inficiare la valutazione di congruità compiuta dai Giudici di merito: sotto il profilo del vizio logico di motivazione, la censura si palesa quindi priva del requisito di ammissibilità, difettando del tutto la indicazione delle prove decisive ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c. che i Giudici di merito avrebbero omesso di valutare od inesattamente ponderato);

c) si limita ad allegare genericamente che i dati concernenti i ricavi cui è pervenuto l’Ufficio risultano viziati da errori materiali nella quantità c nei valori, senza tuttavia identificare tali vizi.

7. Anche la censura concernente la nullità dell’avviso di rettifica per mancanza di idonea motivazione ai sensi dell’art. 56 Dpr n. 633/72 risulta priva di pregio.

La ditta ricorrente ha infatti allegato la invalidità dell’avviso di rettifica in quanto asseritamente privo di motivazione, omettendo tuttavia di trascrivere il contenuto dell’atto impositivo ed impedendo pertanto a questa Corte di verificare la effettiva carenza dell’indicato requisito di validità, tanto più che se detto requisito ha lo scopo di portare a conoscenza del contribuente i presupposti di fatto e di diritto della pretesa tributaria al fine di apprestare una adeguata difesa, tale scopo sembra essere stato raggiunto essendo stata in grado la ditta contribuente di impugnare l’avviso formulando i motivi dedotti con il ricorso introduttivo e di contestare i criteri di determinazione dell’imponibile adottati dall’Ufficio finanziario.

8. Palesemente infondata è poi la censura con la quale viene dedotta la “nullità” della sentenza di appello nella parte in cui avrebbe giustificato la inattendibilità delle scritture contabili e l’impiego di presunzioni nella rettifica della dichiarazione, con erroneo riferimento all’art. 39 (del Dpr n. 600/73) che disciplina le imposte sui redditi.

E’ appena il caso di rilevare in proposito che l’errato riferimento normativo non pregiudica in alcun modo la “ratio decidendi” saldamente fondata sulla legittimità dell’accertamento che, anche in presenza di scritture contabili formalmente regolari, ritenga inaffidabili i dati esposti in base a prove presuntive dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. (ipotesi specificamente prevista dall’art. 54 comma 2, ultima parte, Dpr n. 633/72). La Amministrazione finanziaria che intenda contestare i dati indicati dal contribuente nella dichiarazione può, infatti, assolvere all’onere probatorio tanto con la prova logica -o indiretta- quanto con la prova storica -o diretta-, nel primo caso dovendo essere individuato il “minimum” della sufficienza probatoria del fatto indiziante allegato a supporto della contestazione della documentazione contabile (ed a fondamento della pretesa tributaria) nei caratteri richiesti dalla “praesumptio hominis” (artt. 2727 e 2729col c.c.). In proposito occorre rilevare che, se la regolare tenuta delle scritture e dei documenti contabili i cui dati vengono utilizzati dal contribuente ed esposti nella dichiarazione fiscale, non onera il contribuente anche alla ulteriore indicazione degli elementi probatori attestanti la effettiva corrispondenza alla realtà dei dati indicati in fattura, trascritti nei registri obbligatori e riportati nella dichiarazione annuale, ciò non impedisce alla Amministrazione finanziaria -che pretenda una maggiore imposta o che ritenga indebita la eccedenza detraibile o rimborsabile- di contestare tali dati fornendo la relativa prova anche mediante semplici presunzioni, come emerge in modo inequivoco dal testo delle disposizioni normative per cui “l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici…” (art. 39 co l lett. d) Dpr n. 600/73) e “le false ed inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte…anche sulla base di presunzioni semplici…'” (art. 54co2 Dpr n. 633/72).

9. Quanto poi alla dedotta erroneità della inclusione nel volume di affari, ai fini del calcolo della maggiore imposta, anche dei proventi afferenti alla rivendita di riviste e giornali per i quali l’imposta viene assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74 lett. c) Dpr n. 633/72 , non è dato comprendere se concerna motivo di ricorso autonomo, dovendo comunque, anche se considerato tale, essere dichiarato inammissibile in quanto prospetta una questione del tutto nuova che non risulta aver costituito oggetto di giudizio nei precedenti gradi di merito.

10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, non occorrendo disporre sulle spese di lite in difetto di difese svolte dalla Agenzia fiscale intimata.

 

P.Q.M.

 

– Rigetta il ricorso proposto dalla ditta contribuente.