CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2013, n. 26741
Tributi – Accertamento – Controllo dei conti bancari – Movimentazioni – Presunzione di ricavi – Consulenza tecnica d’ufficio – Valenza limitata
Svolgimento del processo
N.M. impugnò l’avviso di accertamento con il quale il locale Ufficio delle Entrate aveva rideterminato, ai fini IRPEF ed ILOR, il reddito di impresa per l’anno 1996 e, ciò, a seguito di diversi processi verbali di constatazione della Polizia Tributaria la quale, in presenza di contabilità non regolarmente tenuta, aveva assunto, a base delle rettifiche, costi indeducibili per carenza di documentazione e movimenti bancari di un conto corrente intestato al M. nonché di due libretti a risparmio, ritenendo che tutte le operazioni registrate fossero relative a ricavi non dichiarati.
L’adita Commissione Tributaria Provinciale, sulla base delle risultanze di una esperita consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva il ricorso con decisione che, appellata dall’Agenzia delle Entrate, veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna con la sentenza indicata in epigrafe.
I Giudici di appello, rilevato preliminarmente che sulla statuizione relativa ai costi indeducibili si era formato il giudicato implicito, ritenevano che le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio (secondo cui almeno il 70,98% delle somme versate nei libretti bancari nel corso dell’anno 1996 era quasi certamente relativo a movimenti annotati in contabilità e, quindi, a ricavi dichiarati mentre per il restante 29,02% esistevano indizi ed elementi tecnici tesi ad avvalorare la tesi del ricorrente) avevano apportato in causa elementi indiziari, di pari valore probatorio di quelli presuntivi addotti dall’Ufficio, che escludevano la definitiva operatività di quest’ultimi.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, l’Agenzia delle Entrate.
N.M. non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso – rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 56 d.lgs. 31.12.1992 n.546, in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c.)- si deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Commissione Tributaria emiliana nel ritenere che sui costi non ammessi in detrazione ed ai redditi da capitale si fosse formato il giudicato implicito non essendo stata la statuizione, emessa sul punto dalla Commissione Tributaria Provinciale, fatta oggetto di specifica impugnativa da parte dell’Ufficio.
Secondo la prospettazione difensiva, invece, la sentenza di primo grado aveva del tutto tralasciato, nel fatto e nel merito, tutti i rilievi diversi da quelli aventi ad oggetto l’esito delle indagini bancarie mentre in appello l’Ufficio aveva ribadito la legittimità del proprio operato richiamandosi ad entrambi i processi verbali di constatazione e, quindi, anche al rilievo per i costi indeducibili e la ripresa a tassazione del reddito da capitale.
1.1. Il motivo è fondato. Al riguardo, questa Corte ha già avuto modo di affermare, in fattispecie analoga alla presente (Cass.n.3330/2008; id. n.16049/2005; id n. 12700/2001), il principio, condiviso dal Collegio, per cui nel processo tributario, in ragione della sua natura di processo di impugnazione di atti autoritativi dell’Amministrazione finanziaria, le ragioni poste a base dell’atto impugnato (che contiene l’enunciazione di dette ragioni, oltre che dei relativi presupposti di fatto, stabilendo, nel contempo, i limiti dell’oggetto del giudizio) si intendono acquisite agli atti del processo, con la conseguenza che l’Amministrazione, qualora in primo grado le questioni di merito poste a fondamento dell’atto impugnato non siano state esaminate in quanto ritenute assorbite dall’accoglimento di altre questioni preliminari proposte dal contribuente, non ha l’onere di riproporle nell’atto di appello, potendo esse ritenersi sottratte al dibattito processuale soltanto a seguito di precisa volontà manifestata dall’Amministrazione stessa.
Nella specie, peraltro, con l’atto di appello l’Amministrazione finanziaria aveva ribadito la legittimità del proprio operato e chiesto espressamente, in riforma della sentenza di primo grado, la conferma dell’atto impugnato.
Pertanto, in applicazione del principio sopra esposto, il processo d’appello doveva necessariamente comprendere le questioni di merito poste a base dell’accertamento e, a fronte della domanda articolata in appello, certamente non poteva ritenersi, come invece erroneamente statuito dalla Commissione regionale, che sui rilievi aventi ad oggetto i costi non ammessi in detrazione ed i redditi di capitale si fosse formato il giudicato.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, sempre ai sensi dell’art. 360 n.4 c.p.c., la violazione dell’art. 32 e dell’art. 58 comma 2 d.lgs. n. 54 6/1992. In particolare, viene censurato il passo della sentenza con il quale è stata ritenuta inammissibile la produzione da parte dell’Agenzia delle Entrate per il mancato rispetto del termine fissato dall’art. 32 citato. Secondo la prospettazione difensiva il deposito di documenti era consentito anche nel caso, verificatosi nella specie, di rinvio dell’udienza di discussione.
2.1. Il motivo è infondato. All’uopo è sufficiente ribadire il principio espresso da questa Corte (Sentenza n.2787/2006; n.23580/2009) secondo cui “In tema di contenzioso tributario, l’art. 58 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 cod. proc. civ.,ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato d.lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32, comma primo, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma primo. Tale termine, anche in assenza di espressa previsione legislativa, deve ritenersi di natura perentoria, e quindi sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio): con la conseguenza che resta inibito al giudice di appello fondare la propria decisione sul documento tardivamente prodotto anche nel caso di rinvio meramente “interlocutorio” dell’udienza su richiesta del difensore, o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva, essendo la sanatoria a seguito di acquiescenza consentita con riferimento alla forma degli atti processuali e non anche relativamente all’osservanza dei termini perentori (art. 153 cod. proc. civ.)”.
3. Con il terzo motivo, articolato anch’esso ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., si deduce la violazione dell’art. 7 d.lgs. n. 546/92. In particolare, si censura la Commissione emiliana per avere ritenuto il proprio difetto di potere nell’acquisire elementi conoscitivi utili al fine di esaminare nel merito la controversia (richiamo del Consulente tecnico d’ufficio nominato in primo grado ovvero rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio).
3.1. Il motivo è fondato alla luce del chiaro disposto di cui al secondo comma dell’art. 7 citato il quale attribuisce alle Commissioni tributarie il potere di disporre consulenza tecnica d’ufficio. Non appare, infatti, revocabile in dubbio che in tale potere officioso, debba necessariamente ricomprendersi – non essendo la consulenza tecnica d’ufficio un mezzo di prova soggetto al potere dispositivo delle parti – la facoltà del Giudice, ove ritenuto necessario, di richiamare il consulente a chiarimenti ovvero di rinnovare la consulenza peritale.
4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 32 del d.p.r. n. 600/73 e con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 n.5 c.p.c., insufficiente motivazione.
4.1. I motivi sono fondati. La sentenza impugnata, infatti – con motivazione insufficiente per non avere esplicitato le ragioni per cui le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, sia pure parziali ed incomplete, travolgessero integralmente i rilievi contenuti negli avvisi di accertamento – ha, anche, malamente applicato la norma indicata in rubrica a mente della quale “i singoli dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili. Detta norma, come costantemente affermato da questa Corte, attribuisce alle risultanze delle indagini bancarie un valore probatorio da ricondurre alle presunzioni legali fatta salva la prova contraria che incombe sul contribuente.
E, nella specie, le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio la quale ha ritenuto giustificate solo alcune delle movimentazioni bancarie non appaiono idonee – a maggior ragione a fronte della irregolare tenuta delle scritture contabili (come accertato dalla stessa Commissione tributaria regionale) – ad inficiare la fondatezza dell’intero accertamento essendo onere del contribuente dare puntuale e precisa giustificazione di ogni singolo movimento bancario e rientrando nei poteri del giudice tributario quello di rideterminare l’imponibile.
Tale tipo di accertamento è stato del tutto omesso dal Giudice di appello.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, rigettato solo il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata disponendosi il rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna la quale, alla luce dei principi sopra enunciati, provvederà, oltre che a regolare le spese processuali, all’esame delle questioni pretermesse ed ad un nuovo accertamento in fatto.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna.
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