CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 dicembre 2013, n. 27438
Lavoro – Fondi previdenziali – Capitalizzazione individuale – Calcoli
Ragioni della decisione
I ricorrenti per cassazione sono pensionati INPS, quali ex-dipendenti o superstiti di ex dipendenti dell’INA, iscritti al regime di previdenza integrativa aziendale regolato dall’accordo sindacale 18 ottobre 1973 e cessati dal servizio nel periodo 1994-1997.
Convennero in giudizio l’INA, formulando le seguenti domande: dichiarare con decorrenza dal 1 gennaio 1998 la nullità dell’accordo sindacale istitutivo del regime previdenziale aziendale integrativo delle pensioni INPS; il riconoscimento del diritto al riscatto ai sensi dell’art. 11 d. lgs. n. 124 del 1993 della posizione assicurativa maturata nel regime previdenziale integrativo; il riconoscimento del diritto alla restituzione dei contributi versati (sia quota a carico dei lavoratori che quota a carico dell’INA) e, in aggiunta, al 7% del valore della posizione previdenziale complessiva. La ragione di tale richiesta era costituita dal fatto che per effetto dell’art. 59, quarto comma, della legge 449 del 1997, dal 1° gennaio 1998, al loro trattamento pensionistico trovava applicazione non più il regime di perequazione automatica alla dinamica della retribuzione dei pari grado in servizio, ma il regime perequativo previsto per le pensioni INPS, con la conseguenza che la pensione a carico dell’INA rimaneva azzerata essendo stato superato l’importo della pensione INPS.
II Tribunale di Roma ha dichiarato la cessazione della materia del contendere per conciliazione giudiziale con riferimento ad una serie di dipendenti compresi I.G. e E.C. ed ha respinto il ricorso degli altri ritenendo che la rinuncia agli atti del giudizio sottoscritta dal difensore avv.sa S. costituisse rinuncia alla domanda.
La Corte d’appello ha respinto l’appello, modificando però in parte la motivazione della decisione.
Ha infatti ritenuto fondata la censura contenuta nel primo motivo di appello e ritenuto non corretta la tesi condivisa dal Tribunale per cui la rinunzia agli atti del giudizio depositata in data 11 ottobre 2000 nel giudizio 221154/2000 dall’avvocatessa S., precedente procuratore delle parti attoree, era idonea a determinare la rinuncia alla domanda preclusiva di ogni successiva attività giurisdizionale. Tuttavia, ha comunque ritenuto che il rigetto della domanda fosse fondato, in quanto la stessa doveva essere respinta per insussistenza del diritto dei ricorrenti al riscatto della posizione assicurativa individuale e alla restituzione dell’intera posizione individuale. Contro tale decisione ricorrono per cassazione 19 pensionati, articolando quattro motivi.
L’INA si è difesa con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, per un unico motivo, concernente la tesi della Corte d’appello in ordine alla non idoneità della rinunzia dell’avvocatessa S. a determinare la rinuncia dei ricorrenti alla domanda.
Con il primo motivo si denunzia “carenza e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c. e violazione degli artt. 287 e 288 c.p.c., in relazione ai quali si chiede di affermare che “l’inclusione contenuta in sentenza, di una delle parti tra i soggetti che sono addivenuti a transazione, con conseguente pronuncia di cessazione della materia del contendere, costituisce mero errore materiale, emendabile con la procedura prevista per la correzione degli errori materiali, qualora dalla sentenza stessa e dagli atti di causa sia individuabile inequivocabilmente l’errore in cui è incorso il giudice, derivando tale vizio da divergenza evidente e facilmente identificabile tra l’intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione”. Il motivo non è fondato perché la decisione con la quale il giudice dichiara la cessazione della materia del contendere di una o più parti che non rientravano tra coloro che avevano conciliato la controversia non può dirsi oggetto di errore materiale suscettibile di correzione ai sensi dell’art. 287 c.p.c. Tale norma infatti sancisce che le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso “in omissioni o in errori materiali o di calcolo”. In questo caso non sussiste una omissione, non vi è un errore materiale, né tanto meno di calcolo. Vi è, stando alla stessa prospettazione della parte, un errore giuridico, per rimediare al quale il codice di procedura civile prevede l’ordinario rimedio dell’appello. La sentenza non è stata appellata sul punto e quindi è passata in giudicato.
Con il secondo motivo si denunzia “carenza e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c. e violazione degli artt. 100, 342 e 434 c.p.c., in relazione ai quali si chiede di affermare “l’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi di impugnazione implica la possibilità per il giudice del gravame di estendere le sue statuizioni ai punti della sentenza di primo grado non direttamente investiti dal gravame, quando essi siano compresi per implicito nel <thema decidendum>”. La cessazione della materia del contendere è esclusa dal comportamento processuale della parte che abbia proposto ricorso in appello e che nelle difese successive abbia insistito per l’accoglimento del ricorso”.
Anche questo motivo è infondato. Le difese successive non hanno rilievo, ciò che rileva è il contenuto dell’atto di appello. Tale contenuto deve essere articolato in “motivi specifici” secondo quanto disposto dall’art. 342 c.p.c. Se quindi si intende censurare la sentenza assumendo che il giudice ha errato nel considerare cessata la materia del contendere con riferimento ad una delle parti del giudizio, detta parte deve impugnare la sentenza indicando questo specifico motivo. Un’impugnazione per altre ragioni non può avere rilievo, come ha correttamente evidenziato la Corte d’appello a cui peraltro spetta l’interpretazione del contenuto dell’atto.
Con il terzo motivo si denunzia si denunzia “carenza e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c. e violazione degli artt. 10, 11 e 18 del d. lgs. 124 del 1993 e degli artt. 2117 e 2123 c.c. per aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto che i ricorrenti non avessero diritto al riscatto previsto dall’art. 10 cit. che invece si applica anche rispetto ai fondi preesistenti a ripartizione, non rientrando tra gli istituti inapplicabili a tali fondi ai sensi dell’art. 18.
La questione su cui verte il motivo è stata già più volte affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto che le tre opzioni stabilite dall’art. 10 dl.vo n. 124/93 (trasferimento del capitale accumulato ad altro fondo “chiuso”, trasferimento ad un fondo “aperto”, riscatto) in favore degli iscritti che avessero cessato il rapporto senza maturazione del diritto a pensione in epoca successiva all’entrata in vigore della legge stessa, si applicano all’intera posizione individuale (comprendente tutti gli accantonamenti previsti dall’art. 8 di detto decreto, sia del lavoratore, sia del datore di lavoro, effettuati anche nel periodo antecedente all’entrata in vigore del dl.vo n. 124/93) per i “fondi a capitalizzazione” preesistenti, anche nel caso in cui gli statuti dei fondi avessero previsto modalità di rimborso dei capitali accantonati difformi dalla norma legale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 17657/2002; 13111/2007).
Con altro arresto è stata ritenuta l’applicabilità delle opzioni di cui al suddetto art. 10 dl.vo n. 124/93 anche nel caso che i fondi preesistenti fossero alimentati da versamenti a carico della parte datoriale e che le loro dotazioni non fossero state suddivise in conti individuali (cfr, Cass., n. 26804/2007).
La giurisprudenza successiva si è però discostata da tale orientamento:
– dapprima rilevando (cfr, Cass., nn. 5094/2008; 6042/2008) che l’affievolimento del vincolo solidaristico e la cura dell’interesse individuale, obiettivi della riforma, esigevano – specificamente nei fondi a ripartizione – la gradualità dell’efficacia e, in particolare, la necessità dell’adeguamento, cosicché doveva ritenersi che la formula dell’esclusione, con cui il legislatore aveva indicato le disposizioni applicabili anche ai fondi preesistenti (art. 18 dl.vo n. 124/93), riguardasse i fondi a capitalizzazione e, conseguentemente, che nell’ambito dei fondi a ripartizione preesistenti al 15 novembre 1992 e destinatari del decreto ministeriale previsto dall’art. 18, comma 8 bis, dl.vo n. 124/93, il trasferimento della posizione individuale dell’iscritto che avesse cessato il rapporto senza aver maturato il diritto a pensione, non poteva ritenersi disciplinato dall’art. 10, comma 3 bis, di tale decreto legislativo, bensì dalle norme fissate dalle parti costituenti ed entro i limiti previsti dall’art. 20, comma 2, dl.vo n. 252/05;
– quindi ritenendo (cfr, Cass., n. 4369/2010) che, laddove il fondo non prevedesse posizioni individuali soggette a capitalizzazione, doveva escludersi l’immediata applicabilità della regola del riscatto di cui all’art. 10 dl.vo n. 124/93, sia per il riferimento legislativo testuale alla “posizione individuale”, sia perché la lettura del ridetto art. 10 indurrebbe a ritenere che i suoi vari commi contengano disposizioni dettate espressamente per i “nuovi” fondi pensione, obbligatoriamente informati al principio della capitalizzazione individuale, mentre alle singole realtà preesistenti viene demandato il compito di organizzarsi secondo tale principio, anche attraverso adeguamenti statutari, tenendo conto delle proprie caratteristiche strutturali.
Nello stesso senso si è pronunciata altresì Cass., n. 18266/2013, che, tuttavia, non ha preso in considerazione la diversa produzione giurisprudenziale (cfr, in particolare, Cass., n. 7161/2013), che ha affermato il principio secondo cui, in tema di fondi previdenziali integrativi, devono considerarsi ammessi il riscatto o, in alternativa, la portabilità della posizione previdenziale, ai sensi dell’art. 10 d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (applicabile “ratione temporis”), da un fondo cd. “a prestazione definita” – preesistente alla riforma della previdenza complementare introdotta con il d.lgs. 124 del 1993 e che si avvale, ai fini della determinazione delle risorse necessarie, del meccanismo della ripartizione – ad un fondo a capitalizzazione individuale, posto che anche nell’ambito dei fondi a ripartizione è enucleabile e quantificabile una posizione individuale, secondo le metodologie di calcolo elaborate dalla statistica e dalla matematica attuariale.
1.2 A fondamento di tale arresto è stato rilevato che l’art. 10 dl.vo 124/93 (“Ove vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare, lo statuto del fondo pensione deve consentire le seguenti opzioni stabilendone misure, modalità e termini di esercizio: a) il trasferimento presso altro fondo pensione complementare, cui il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività; b) il trasferimento ad uno dei fondi dì cui all’art. 9; c) il riscatto della posizione individuale. Gli aderenti ai fondi pensione di cui all’art. 9 possono trasferire la posizione individuale corrispondente a quella indicata alla lettera a) del comma 1 presso il fondo cui il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività. Gli adempimenti a carico del fondo pensione conseguenti all’esercizio delle opzioni di cui ai commi 1 e 2 debbono essere effettuati entro il termine di sei mesi dall’esercizio dell’opzione”) limitava notevolmente le possibilità di trasferimento del lavoratore da un fondo pensionistico ad un altro e la portabilità della posizione previdenziale maturata dal lavoratore era ammessa in ipotesi di cessazione dei requisiti di partecipazione al fondo e nella prospettiva che fosse destinata a rimanere nell’ambito della previdenza integrativa di fonte collettiva.
Tale situazione venne a modificarsi per effetto della legge n. 335/95, di Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, che, introducendo due nuovi commi al ridetto 10 dl.vo 124/93 (“3-bis. Le fonti istitutive prevedono per ogni singolo iscritto, anche in mancanza delle condizioni di cui ai commi precedenti, la facoltà di trasferimento dell’intera posizione individuale dell’iscritto stesso presso altro fondo pensione, di cui agli articoli 3 e 9, non prima di cinque anni di permanenza presso il fondo da cui si intende trasferire limitatamente ai primi cinque anni dì vita del fondo stesso, e successivamente a tale termine non prima di tre anni. La commissione di vigilanza di cui all’articolo 16 emanerà norme per regolare le offerte commerciali proposte dai vari fondi pensione al fine di eliminare distorsioni nell’offerta che possano creare nocumento agli iscritti ai fondi. 3-ter. In caso di morte del lavoratore iscritto al fondo pensione prima del pensionamento per vecchiaia la posizione individuale dello stesso, determinata ai sensi del comma 1, è riscattata dal coniuge ovvero dai figli ovvero, se già viventi a carico dell’iscritto, dai genitori. In mancanza di tali soggetti la posizione resta acquisita al fondo pensione”), comportò che la portabilità divenisse un attributo necessario per tutte le forme di previdenza complementare, in un sistema improntato a logiche di concorrenzialità tra imprese e fondi pensionistici diversamente organizzati.
Tale processo è proseguito per effetto della successiva produzione legislativa in materia:
– art. 3 dl.vo n. 47/00, che dopo avere introdotto nel dl.vo n. 124/93 gli artt. 9 bis e 9 ter (concernenti rispettivamente le Forme pensionistiche individuali attuate mediante fondi pensione aperti e le Forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita), stabilì che “I regolamenti e i contratti di cui agli articoli 9-bis e 9-ter prevedono la facoltà di trasferimento dell’intera posizione individuale dell’iscritto stesso presso altro fondo pensione non prima che siano trascorsi tre anni dalla data dì adesione o di conclusione del contratto
– art. 1, comma 2, lett. e), punto 3 legge delega n. 243/04, prevedente tra l’altro, al punto 4, la delega al Governo per ” l’eliminazione degli ostacoli che si frappongono alla libera adesione e circolazione dei lavoratori all’interno del sistema della previdenza complementare, definendo regole comuni, in ordine in particolare alla comparabilità dei costi, alla trasparenza e portabilità, al fine di tutelare l’adesione consapevole dei soggetti destinatari; la rimozione dei vincoli posti dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni, al fine della equiparazione tra forme pensionistiche; l’attuazione di quanto necessario al fine di favorire le adesioni in forma collettiva ai fondi pensione aperti, nonché il riconoscimento al lavoratore dipendente che si trasferisca volontariamente da una forma pensionistica all’altra del diritto al trasferimento del contributo del datore di lavoro in precedenza goduto, oltre alle quote del trattamento di fine rapporto
– art. 14 dl.vo n. 252/05, contemplante, fra l’altro, che “Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari stabiliscono le modalità di esercizio relative alla partecipazione alle forme medesime, alla portabilità delle posizioni individuali e della contribuzione, nonché al riscatto parziale o totale delle posizioni individuali, secondo quanto disposto dal presente articolo” (comma 1) e che “Decorsi due anni dalla data di partecipazione ad una forma pensionistica complementare l’aderente ha facoltà di trasferire l’intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche prevedono esplicitamente la predetta facoltà e non possono contenere clausole che risultino, anche di fatto, limitative del suddetto diritto alla portabilità dell’intera posizione individuale. Sono comunque inefficaci clausole che, all’atto dell’adesione o del trasferimento, consentano l’applicazione di voci dì costo, comunque denominate, significativamente più elevate di quelle applicate nel corso del rapporto e che possono quindi costituire ostacolo alla portabilità. In caso di esercizio della predetta facoltà di trasferimento della posizione individuale, il lavoratore ha diritto al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del TFR maturando e dell’eventuale contributo a carico del datore di lavoro nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi,anche aziendali” (comma 6).
Nel ricordato contesto normativo l’opzione ermeneutica escludente la portabilità e il riscatto nell’ambito dei fondi a ripartizione non appare quindi condivisibile:
– sia per la mancanza, al riguardo, di una disciplina apposita per i fondi a prestazione definita, gestiti secondo il sistema della ripartizione, e ciò benché i fondi preesistenti fossero basati in larga misura proprio sul sistema della ripartizione;
– sia perché l’argomento che fa leva sul dato testuale, ossia il riferimento alla “posizione individuale”, appare intrinsecamente fragile, ove lo si voglia intendere nel senso che con tale locuzione si sia voluto fare riferimento soltanto a quelle specificamente proprie dei fondi a capitalizzazione, posto che, anche nell’ambito dei fondi a ripartizione, è enucleabile e quantificabile una posizione individuale secondo le metodologie di calcolo elaborate dalla statistica e dalla matematica attuariale. Militano per contro a favore dell’opposta opzione ermeneutica le seguenti ulteriori considerazioni:
– costituisce regola generale del diritto assicurativo che, qualora l’evento assicurato sia certus an etiamsi incertus quando, la risoluzione anticipata del contratto dia luogo al diritto soggettivo di riscatto, spettante all’assicurato (art. 1925 cc), e ciò sia nel caso in cui l’assicurato receda, sia, ed a maggior ragione, quando la risoluzione avvenga per volontà dell’assicuratore o del terzo assicurante. Il diritto ha per oggetto l’ammontare della cosiddetta riserva matematica, costituita dalla differenza tra il premio già pagato ed il valore del rischio assunto dall’assicuratore al momento della conclusione del contratto e fino al momento della risoluzione;
– infatti gli obblighi dell’assicuratore consistono non soltanto nel pagamento dell’indennizzo al momento della verificazione dell’evento, ma anche nell’assunzione del rischio fin dalla conclusione del contratto, ed a questo secondo obbligo si connette quello di costituire la riserva matematica (art. 1925 cc cit.: le polizze “devono” regolare i diritti di riscatto), le cui modalità di formazione e di calcolo non vengono dettate dai codice civile, senza che ciò incida sulla sussistenza del debito, ma piuttosto sul quomodo dell’adempimento;
– si tratta, in altre parole, di un oggetto determinabile (art. 1346 cc) dal giudice, eventualmente con l’ausilio del consulente tecnico e secondo metodi attuariali e il mancato assolvimento, da parte dell’assicuratore, dell’obbligo di predisporre i modi di calcolo, ossia i modi di adempimento, non può valere a liberarlo dall’obbligo stesso;
– che poi nelle assicurazioni con causa previdenziale il premio, ossia la contribuzione, venga in tutto o in parte versata da persona diversa dall’assicurato, quale il datore di lavoro assicurante, non porta a diversa conclusione, giacché, una volta costituito validamente il rapporto assicurativo, non importa che la riserva matematica – cosi come l’indennizzo nel caso di verificazione dell’evento – risulti economicamente e per intero a carico di persona diversa dall’assicurato, per ragioni che possono rilevare solo nei limiti in cui rilevano i motivi del negozio giuridico (artt. 1345 e 1418 cc).
Ritiene il Collegio di dover dare continuità all’orientamento ermeneutico testé ricordato, il che comporta il riconoscimento della fondatezza del motivo all’esame.
Il quarto motivo di ricorso rimane assorbito.
Il ricorso incidentale è privo di fondamento. Esso concerne la parte della sentenza di appello in cui, come si è visto, il collegio, modificando la motivazione di primo grado, ha ritenuto non corretta la tesi condivisa dal Tribunale per cui la rinunzia agli atti del giudizio depositata in data 11 ottobre 2000 nel giudizio 221154/2000 dall’avvocatessa S., precedente procuratore delle parti attoree, doveva ritenersi idonea a determinare la rinuncia alla domanda preclusiva di ogni successiva attività giurisdizionale.
Il motivo si basa sulla prospettazione di una diversa interpretazione dell’atto di rinuncia formulato dalla avv.sa M.T.S. che, a parere della ricorrente incidentale, deve essere interpretato come rinuncia alla domanda. Sempre a parere della ricorrente la motivazione della sentenza di appello sul punto sarebbe “apodittica” e sarebbe contraddittoria con il canone della interpretazione sistematica. Ciò perché pur avendo la parte rinunciante utilizzato l’espressione “rinuncia agli atti”, la successiva precisazione che la rinuncia non doveva essere accettata dall’I denuncerebbe la volontà di estendere la rinuncia alla azione.
Il motivo non è fondato perché la motivazione della sentenza di appello non è apodittica, ma è articolata e argomentata. L’espressione letterale utilizzata dal rinunziante è inequivoca nel senso di limitare la rinuncia “agli atti del giudizio”. E comunque il collegio non si è limitato a prendere atto della chiarezza della espressione letterale, ma ha anche considerato il contesto in cui la rinuncia si inseriva, il cui esame conferma l’intenzione della parte di limitare la rinunzia agli atti.
In conclusione, rigettati i primi due motivi del ricorso principale, deve essere accolto il terzo motivo, assorbito il quarto, ed il ricorso incidentale deve essere rigettato. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà la controversia attenendosi al seguente principio di diritto: “in tema di fondi previdenziali integrativi devono considerarsi ammessi il riscatto o, in alternativa, la portabilità della posizione previdenziale, ai sensi dell’art. 10 del decreto legislativo 12 aprile 1993, n. 124, da un fondo c.d. a “prestazione definita” (preesistente alla riforma della previdenza complementare introdotta con il decreto legislativo n. 124 del 1993 e che si avvale, ai fini della determinazione delle risorse necessarie, del meccanismo della ripartizione) ad un fondo a “capitalizzazione individuale” posto che anche nell’ambito dei fondi a ripartizione è enucleabile e quantificabile una posizione individuale, secondo le metodologie di calcolo elaborate dalla statistica e dalla matematica attuariale.
La Corte di merito deciderà anche sulle spese.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta i primi due motivi del ricorso principale ed accoglie il terzo, assorbito il quarto. Rigetta il ricorso incidentale condizionato. Cassa in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.
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