CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 luglio 2013, n. 28899
Dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di false fatture – Attenuanti – Applicabilità – Esclusione in caso di frode fiscale posta in essere con particolare scaltrezza
Ritenuto in fatto
1.1 Con sentenza dell’8 novembre 2011, la Corte di Appello di Palermo – per quanto qui di interesse – riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Palermo del 7 luglio 2009, assolvendo B.L. dal reato di ricettazione di cui al capo C) della imputazione e, per l’effetto, rideterminando la pena per i residui reati di cui ai capi A) (artt. 81 cpv., 110 cod. pen. e 8, in rel., all’art. 1 u.p. del D. Lgs.vo 74/00) e B) (artt. 81 cpv., 110, 640 comma 2 n. 1 e 61 n. 7 cod. pen.) in anni due di reclusione, confermando, per il resto, la sentenza impugnata.
La Corte di Appello, esaminando la posizione – per quanto qui di interesse – di B. L., ne confermava la colpevolezza in ordine al reato di frode fiscale di cui al capo a), ritenendo provato – incontestata la materialità del reato – il dolo (che la difesa aveva contestato nei motivi di appello, assumendo invece una situazione di buona fede da parte dell’imputato disattesa dalla Corte territoriale) ed enumerando i numerosi elementi comprovanti il dolo così come già valutati dal Tribunale, le cui argomentazioni sul punto condivideva integralmente. La Corte in conclusione escludeva che fosse stato altro soggetto (tale R. C.) l’autore della falsificazione della fatture ribadendo invece l’attribuibilità del fatto al B. (L.). Quanto, invece, al residuo reato di cui al capo b) (truffa aggravata) peraltro ascritto a tutti gli imputati, la Corte di Appello, pur riconfermando sotto il duplice profilo oggettivo e soggettivo il reato de quo, lo riteneva assorbito nel reato di frode fiscale di cui al capo a), richiamando il dictum delle SS.UU. di questa Corte n. 1235 del 28.10.2010. In conseguenza di tali statuizioni la Corte di Appello modificava il trattamento sanzionatorio a carico di B.L. rideterminando la pena di anni due mesi nove di reclusione ed € 800,00 di multa originariamente inflittagli, nella suddetta misura di anni due di reclusione.
Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato B.L. a mezzo del proprio difensore di fiducia deducendo, con un primo motivo, violazione di legge per carenza della motivazione, sua contraddittorietà e/o illogicità manifesta, per avere la Corte di appello mantenuto il giudizio di colpevolezza in ordine ad entrambi i reati in contrasto con il materiale probatorio emerso e sostanzialmente ignorando le numerose deduzioni difensive contenute nell’atto di appello. Con un secondo motivo la difesa deduceva nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza per avere la Corte di Appello ritenuto ascritto il reato al B. anziché al R. il cui nominativo sarebbe dovuto figurare nell’originario capo di imputazione. Con un terzo motivo la difesa rilevava ulteriore violazione di legge per omessa motivazione da parte della Corte territoriale in merito alla richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (con specifico riferimento alla circostanza riguardante le origini della società L.C. di R. C.), censurando la mancata citazione del funzionario dell’Agenzia delle Entrate addetto alla attribuzione della partita IVA, del dipendente di una società finanziaria (F.C.) in merito alla richiesta di finanziamento avanzata dal sedicente R. C. e, in ultimo, de Notaio Dr. S. T. in merito alle autentiche delle sottoscrizioni dei trasferimenti di proprietà delle autovetture importate dalla L.C.. Con un quarto – ed ultimo – motivo, la difesa deduceva difetto di motivazione per carenza e/o illogicità manifesta in ordine al trattamento sanzionatorio, con specifico riferimento al mancato riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato, pertanto, inammissibile. Quanto al primo motivo, va anzitutto rilevata l’estrema genericità delle censure ivi esposte, in quanto la difesa si è limitata a richiamare le doglianze mosse con l’atto di appello, per poi inferire l’omessa motivazione da parte della Corte territoriale sui punti dedotti con il gravame, in realtà non solo adeguatamente esaminati, ma soprattutto sottoposti ad una ulteriore (rispetto a quella compiuta dal Tribunale) e specifica analisi che ha poi consentito alla Corte di smentire per l’ennesima volta la tesi difensiva basata su un presunto scambio (o errore) di persona onde dimostrare l’attribuibilità dei reati al B., piuttosto che al fantomatico R. C. (vds. pagg. da 8 a 10 della sentenza impugnata laddove si indicano tutti le circostanze comprovanti la totale inverosimiglianza della tesi difensiva). Inoltre non può non evidenziarsi come dette censure contengano, a ben vedere, la sollecitazione rivolta a questa Corte per una rivisitazione, in punto, di fatto, della vicenda processuale improponibile in sede di legittimità.
2. Ancor più generici, ed ai limiti della incomprensibilità, le censure contenute nel secondo motivo, bastando qui sottolineare che il denunciato vizio di violazione della regola della corrispondenza tra accusa e sentenza presupporrebbe una formulazione del capo di imputazione diverso rispetto a al reato ritenuto dalla Corte, laddove la conclusione raggiunta dal giudice distrettuale circa l’effettiva attribuibilità del fatto al B. e non al sedicente (e fantomatico) R. C. non può certo comportare una conclusione difforme rispetto alla contestazione, ma semmai assolutamente coerente con i dati contenuti nel capo di accusa: se punto di partenza, come specificato nel capo d imputazione, era l’attribuibilità del fatto al B., non è dato comprendere né la ragione di indicare nel capo di imputazione un nominativo diverso (il R.), né soprattutto la difformità tra la contestazione e la decisione che conferma, appunto, la tesi accusatoria.
3. Circa il terzo motivo, afferente alla omessa motivazione da parte della Corte territoriale in ordine al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale, è vero che la Corte di Appello si era riservata di provvedere su tale richiesta riportata, peraltro, nelle premesse della decisione come uno dei punti contenuti nell’atto di appello: così come risponde al vero che una pronuncia espressa su tale doglianza difensiva manchi.
4. Ma in contrario rileva questa Corte: a) l’eccezionalità dell’istituto processuale delineato dall’art. 603 cod. proc. pen. che ha quale scopo quello di superare la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado: con la conseguenza che a tale peculiare meccanismo processuale può farsi ricorso soltanto quando il giudice la ritenga necessaria ai fini del decidere; b) che l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, proprio in ragione della discrezionalità su cui si basa, allo scrutinio di legittimità, laddove la decisione del giudice di appello presenti una struttura argomentativa evidenziante – in caso di denegata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e logica valutazione in punto di responsabilità (Cass Sez. 6A, 21.05.2009 n. 40496 Rv. 245009); c) che, come pacificamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, laddove il giudice venga investito di tale richiesta nel giudizio di appello il suo obbligo motivazione si impone soltanto nel caso di accoglimento della richiesta in ossequio al principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, mentre nessuno specifico dovere motivazionale si profila nel caso di rigetto della richiesta, ben potendo un eventuale diniego assumere sotto l’aspetto motivazionale connotati impliciti e desumibili dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale vengono evidenziati i vari elementi ritenuti sufficienti per la affermazione o esclusione di responsabilità” (v. tra le tante, Cass. Sez. 6* 18.12.2006 n.5782 Gagliano, Rv. 236064; Cass. Sez. 3A 7.4.2010 n. 24294 D.S.B. Rv. 247872).
4. Nel caso in esame la Corte di Appello, nel ricostruire le vicende processuali relative all’odierno ricorrente, ha sottolineato alcuni fondamentali passaggi e, in particolare, per come si desume dai punti 7) ed 8), ha ricordato come l’autotrasportatore L. S., incaricato di trasportare in Italia le autovetture acquistate dalla società L.C. (appartenente – secondo la prospettazione difensiva – al sedicente R. C.) ha escluso di conoscere tale individuo, riconoscendo, invece, fotograficamente nelle sembianze del B. il soggetto che – per conto della L.C. – ordinava e pagava il trasporto delle vetture in Italia (circostanza ammessa, oltretutto, dallo stesso B.) ed ancora, che era solo il B. a curare l’immatricolazione delle autovetture, una volta trasportate in Italia, recandosi presso le agenzie incaricate del disbrigo di tali pratiche e sostenendo i costi per le immatricolazioni.
Tali circostanze, unite ad altre di minore evidenza (punti 3 e 7), ma comunque quanto mai significative della attribuibilità del fatto al B., hanno poi condotto la Corte territoriale ad affermare: 1) che era B. – e non R. (che la Corte appella erroneamente con il cognome C., in realtà corrispondente al nome di battesimo rispetto al cognome R.) – ad occuparsi personalmente dell’acquisto delle vetture all’estero; che era sempre il B. – e non il R. – a curare l’organizzazione del trasporto delle auto in Italia; che era il B. – e non il R. – a curare le vendite delle auto in Italia e ad occuparsi della iscrizione del PRA (vds. pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata). Ne consegue che, sebbene specificamente formulate dalla difesa, le richieste istruttorie sono state ritenute, seppur implicitamente ed a ragione, superflue – ed anzi inutili – viste le ulteriori affermazioni della Corte a pag. 11 della sentenza laddove si parla di un ipotetico contributo marginale del R. che non serviva ad escludere la responsabilità del B..
5. Quanto, infine, all’ultimo motivo di ricorso, la sua manifesta infondatezza emerge ictu oculi nella misura in cui il giudice distrettuale ha correttamente e motivatamente esercitato il proprio potere discrezionale, escludendo la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche e, comunque, la possibilità di una attenuazione della pena, in considerazione del preminente molo assunto nella vicenda processuale dal B. con riferimento alla sua particolare professionalità dimostrata nella “creazione degli artifizi che hanno consentito la perpetrazione della frode fiscale” (così testualmente pag. 13 della sentenza impugnata). Del resto è regola giurisprudenziale invalsa in questa Corte quella secondo la quale non è per nulla necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ai fini della valutazione della concedibilità – o meno – delle circostanze attenuanti generiche e del ridimensionamento della pena, bastando indicare gli elementi ritenuti decisivi e rilevanti che assorbono tutti gli altri.
6. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma – ritenuta congrua – di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa il ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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