Corte di Cassazione sentenza n. 4164 del 20 febbraio 2013
RIMBORSO A SOCIETA’ DI DIRITTO INGLESE – BENEFICI FISCALI – DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI DI UNA SOCIETA’ ITALIANA ALLA CONTROLLANTE ESTERA – LA CONTROLLATA ITALIANA DI UN GRUPPO INGLESE DELIBERA LA DISTRIBUZIONE DI DIVIDENDI AL SOCIO UNICO – IL CREDITO PER I DIVIDENDI VIENE NOVATO IN UN MUTUO FRUTTIFERO DALLA CONTROLLANTE ALLA CONTROLLATA – CONVENZIONE ITALIA-GRAN BRETAGNA: DIRITTO AL RIMBORSO DELLA META’ DEL CREDITO D’IMPOSTA SUI DIVIDENDI – VA NEGATO IL RIMBORSO POICHE’ LA SOCIETA’ INGLESE NON AVEVA PROVATO NE’ DI AVERE EFFETTIVAMENTE PERCEPITO I DIVIDENDI NE’ CHE QUESTI ERANO STATI ASSOGGETTATI A TASSAZIONE IN GRAN BRETAGNA – ABUSO DEL DIRITTO
massima
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Nel caso in cui non avvenga la materiale corresponsione dei dividendi di una società italiana alla controllante estera, il rimborso del 50% del credito d’imposta sugli utili non può essere ottenuto Va negata la possibilità di ottenere il rimborso del 50% del credito d’imposta su dividendi (anni 2000 e 2001) percepiti da una società britannica controllante totalitaria di una italiana. Non essendoci stata la materiale corresponsione dei dividendi, il rimborso non spetta. Nell’ipotesi di specie, la controllata italiana aveva convertito il proprio debito da dividendi in un mutuo fruttifero concessole dalla controllante britannica, con sostituzione, quindi, dell’obbligazione La direttiva madre-figlia presuppone che:
1. la società del Regno Unito che riceve i dividendi ne sia la beneficiaria effettiva;
2. la società madre inglese che riceve i dividendi e il credito d’imposta sia a tale titolo soggetta all’imposta nel Regno Unito.
Sul primo punto risulta che la controllante nulla ha ricevuto, in quanto i dividendi non sono stati effettivamente pagati: l’obbligazione al pagamento è stata sostituita da quella della restituzione del capitale mutuato. La Convenzione Italia-Regno Unito parla inequivocabilmente di dividendi pagati ovvero ricevuti. Sul secondo punto, la controllante ha semplicemente fornito la dichiarazione di essere fiscalmente residente nel Regno Unito ed essere soggetta alla corporation tax. Non vi è riferimento alcuno al fatto che tali dividendi specifici siano dichiarati e tassati in quello Stato. Va rinvenuta nella fattispecie anche profili del cosiddetto abuso del diritto, in quanto la società inglese avrebbe così costituito in Italia un fondo che elude la corporation tax – per poi fare indebita richiesta di rimborso di imposta nella misura prevista dalla Convenzione. La controllante non aveva interesse alla novazione poiché questa “non aveva carattere satisfattivo del proprio diritto di credito” e quindi la società avrebbe finito “per non percepire alcunché”. Insomma, accettando di finanziare la controllata e di non incassare i soldi, la controllante non avrebbe agito per un proprio interesse economicamente apprezzabile. Appare di chiara evidenza che l’intera operazione negoziale si iscrive nella problematica dell’abuso di diritto” poiché ha consentito alla controllante inglese di “costituire in Italia un fondo in elusione della corporation tax inglese e di conseguire l’indebito rimborso di imposta”.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza n. 250/06, notificata il 17.1.07, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo accoglieva l’appello proposto dall’Oxoid International Limited, società di diritto inglese, avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato respinto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della metà del credito di imposta relativo ai dividendi per gli anni 2000 e 2001, assegnati a detta società britannica titolare del 100% del pacchetto azionario della società italiana Oxoid s.p.a., a seguito di delibere della controllata italiana.
2. La CTR, in riforma della sentenza di prime cure, riteneva sussistenti, nella specie, i presupposti per il rimborso in discussione, previsti dall’art. 10, par. 4 della Convenzione tra l’Italia ed il Regno Unito del 21.10.1988.ratificata con L. n. 329 del 1990, atteso che i dividendi assegnati dalla società italiana alla società madre inglese, pur se non materialmente corrisposti in denaro, avevano costituito oggetto di novazione, con estinzione del relativo credito, a seguito di stipula di contratto di mutuo tra le parti. E, d’altra parte, la CTR riteneva sussistente nel caso concreto anche l’ulteriore presupposto del rimborso, costituito dalla doppia imposizione dei dividendi, in Italia e nel Regno Unito, essendo il fisco inglese – come si desumerebbe dall’attestazione in atti -“a conoscenza” del reddito percepito, a tale titolo, dalla società britannica.
3. Per la cassazione della sentenza n. 250/06 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando sei motivi, ai quali la contribuente ha replicato con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La vicenda processuale in esame trae origine da una domanda, presentata 1’8.11.2002 dalla società di diritto britannico Oxoid International Limited, di rimborso del credito di imposta ai sensi dell’art. 10, par. 4 della Convenzione tra Italia e Regno Unito contro le doppie imposizioni, sottoscritta a Pallanza il 21.10.1988.
La società istante, invero, titolare del 100% del pacchetto azionario della società italiana Oxoid s.p.a., non avendo stabile organizzazione in Italia, ed essendo soggetta nel Regno Unito alla corporation tax, riteneva di essere in possesso di tutti i requisiti per il rimborso previsto dalla Convenzione succitata.
I presupposti della domanda erano costituiti – per vero – dal fatto che la controllata italiana, nell’assemblea del 27.4.2000, aveva deliberato di destinare l’intero utile di esercizio all’unico azionista, l’Oxoid LTD, che – con nota successiva – ne aveva, quindi, richiesto l’accredito sul proprio conto corrente bancario in Inghilterra. Identica delibera era stata, dipoi, adottata il 24.4.2001, per l’anno successivo, cui aveva fatto seguito, del pari, la richiesta della società madre inglese di accredito sul proprio conto corrente bancario delle somme relative ai dividendi assegnati dalla società figlia italiana.
Ad entrambe le richieste di accredito del dividendi, tuttavia, la Oxoid s.p.a. aveva replicato proponendo “la conversione del debito dei dividendi in un mutuo fruttifero”, ed a tale richiesta la Oxoid International Limited aveva prontamente aderito. Per il che 1’obbligazione della mutuataria italiana di distribuire i dividendi alla mutuante inglese veniva ad essere sostituita dall’obbligo di restituzione scaturente dal mutuo suddetto, (la cui esecuzione avrebbe costituito l’adempimento dell’obbligo di assegnazione dei dividendi per gli anni 2000 e 2001. Orbene – muovendo dalla considerazione che l’art. 10, par 4 della menzionata Convenzione Italia-Regno Unito concede alla società madre inglese che controlla la società italiana distributrice di dividendi, dei quali la prima sia “la beneficiarla effettiva”, di ottenere un credito di imposta, nella misura indicata dalla stessa norma – la Oxoid International Limited avanzava la predetta domanda di rimborso corrispondente al credito di imposta vantato. Su tale richiesta si formava, peraltro, il silenzio rifiuto da parte dell’Ufficio, avverso il quale la contribuiva proponeva ricorso, disatteso in prime cure ed accolto, invece, dalla pronuncia di appello, avverso le cui statuizioni insorge ora l’Agenzia delle Entrate, con ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
2. Con i sei motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente l’Amministrazione finanziaria denuncia la violazione dell’art. 10 Cost., commi 2 e 3, art. 10, par. 4 della Convenzione Italia-Regno Unito del 21.10.1988, ratificata con L. n. 329 del 1990, artt. 1813, 1230 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
2.1. Osserva la ricorrente che il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente riconosciuto il diritto al rimborso dei dividendi in questione, senza che fosse stato neppure dimostrato dalla società inglese – sulla quale incombeva il relativo onere – anzitutto, di avere effettivamente percepito tali dividendi, dipoi, che gli stessi erano stati realmente sottoposti a tassazione anche nel Regno Unito, sì che il presupposto del credito di imposta, costituito dalla doppia imposizione – in Italia e all’estero – dei redditi originati dalla distribuzione degli utili in parola potesse ritenersi, in concreto, sussistente.
2.2. Sotto il primo profilo, quello della percezione, l’Ufficio rileva, infatti, che la stipula di un mutuo non equivale a pagamento effettivo dei dividendi, laddove -come nel caso concreto – non vi sia stata neppure la consegna del denaro mutuato, sicché il preteso mutuo altro non costituirebbe se non un mero riconoscimento di debito, avente ad oggetto gli utili non corrisposti. Con la conseguenza che, non essendo venuta ad esistenza una valida obbligazione sostitutiva di quella originaria, anche la pretesa novazione dell’obbligo di assegnazione dei dividendi non sarebbe in alcun modo configurabile nel caso di specie.
2.3. Sotto il secondo profilo, quello della tassazione nel Regno Unito, osserva l’Agenzia delle Entrate che pienamente infondato sarebbe l’assunto del giudice di appello, il quale ha ritenuto di poter ravvisare la prova di tale presupposto nella certificazione dell’Ufficio fiscale di (OMISSIS), che reca un’attestazione del seguente tenore: “I am able to confirm that Oxoid International Limited is resident in the United Kingdom for thè purposes of corporation tax – is subject to corporation tax in the United Kingdom – and will not become exempt from United Kingdom coporation tax”.
Ebbene, siffatta certificazione – a parere dell’Amministrazione ricorrente – fornirebbe solo la prova del fatto che la Oxoid International Limited è fiscalmente residente nel Regno Unito, e che essa è ivi soggetta – almeno in astratto – alla corporation tax, ma non integrerebbe anche la dimostrazione del fatto che la stessa abbia riportato ì cespiti relativi ai dividendi italiani nella propria dichiarazione dei redditi presentata al fisco inglese, sì da far venire in vita il presupposto essenziale perché si realizzi la doppia imposizione, preliminare al rimborso del credito di imposta da parte dell’Amministrazione finanziaria italiana. Per il che, ad avviso della ricorrente, il silenzio opposto dall’Ufficio alla suddetta domanda di rimborso si paleserebbe del tutto legittimo.
3. Premesso quanto precede, osserva la Corte che la vicenda processuale in esame ripropone il complesso e delicato tema della doppia imposizione economica, a livello comunitario, degli utili societarì e dei rimedi che per la sua risoluzione gli Stati membri hanno, da tempo, adottato. L’esatta comprensione di tale problematica, quanto meno nelle sue linee essenziali, giova alla corretta definizione dell’articolata fattispecie oggetto del presente giudizio.
3.1. A tal fine, va premesso che – a differenza dell’imposizione giuridica, che si traduce nell’applicazione in più di una volta della medesima imposta o di più imposte tra loro alternative allo stesso soggetto, ed in dipendenza del medesimo presupposto – per doppia imposizione economica interna deve intendersi – secondo la dottrina prevalente – la duplice tassazione di una stessa ricchezza, l’utile societario, in capo a soggetti passivi diversi, ossia la società ed il socio, e sulla base di titoli impositivi distinti, costituiti, rispettivamente, dal possesso dell’utile in capo alla società e dal possesso del dividendo in capo al socio. Il concetto in parola nei rapporti tra Stati diversi si arricchisce, peraltro, – com’è del tutto ovvio – di un’ulteriore connotazione: per potersi avere, infatti, doppia imposizione economica internazionale, occorre che i titoli impositivi in forza dei quali socio e società sono tassati siano determinati e disciplinati dalla legge di Stati diversi.
Orbene, è di chiara evidenza che la doppia imposizione economica degli utili societari può, in concreto, porsi come un fenomeno distorsivo delle scelte di allocazione del capitale, dal momento che esso incentiva certamente l’investimento in capitale di prestito, a discapito degli investimenti in capitale di rischio, sui quali dovrebbe fondarsi essenzialmente l’economia di un mercato concorrenziale. Di qui la ricerca, da parte degli ordinamenti nazionali, di strumenti per ovviare, per quanto possibile, ai seri inconvenienti derivanti dalla predetta doppia tassazione della stessa manifestazione di ricchezza; strumenti rinvenuti, essenzialmente, nell’esenzione e nel credito di imposta.
Nel sistema del credito, l’esenzione è incentrata sulla persona fisica, atteso che all’imposta societaria è assegnata la funzione di acconto dell’imposta personale, mentre all’imposta gravante sul socio è preservata la progressività dell’imposizione. In tale prospettiva, invero, il dividendo percepito dal socio è inserito nella sua base imponibile, ed assoggettato ad imposizione con la sua aliquota personale; correlativamente, al socio è riconosciuto il diritto di credito da esercitare nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui gli utili sono stati percepiti, mediante detrazione dal reddito complessivo. Nel regime di esenzione dei dividendi, invece, l’imposta incombe tendenzialmente sul solo utile societario, e non tocca il soggetto partecipante, quali che siano il livello di tassazione applicato a carico della società e l’importo dei dividendi distribuiti al socio, con conseguente strutturazione del rapporto socio-società secondo un modello sostanzialmente di “tipo reale”. E comunque, in entrambe le opzioni suindicate, la doppia imposizione economica è fenomeno puramente interno, e come tale più agevolmente risolvibile, giacché dipende dall’esercizio della potestà impositiva da parte del solo Stato della fonte, il quale tassa, una prima volta, l’utile societario, ed, in un secondo momento, i dividendi distribuiti; come accade nel caso di applicazione di una ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti ai soci residenti, da parte dello Stato di residenza della società distributrice.
3.2. Il tema della doppia imposizione degli utili societari a livello internazionale risente, peraltro, della necessità di rispettare i principi comunitari di libertà di stabilimento (art. 43 Trattato CE) e di libertà di circolazione dei capitali (art. 56 Trattato CE). E’ intuitivo, infatti, che siffatti principi possono ricevere un sensibile vulnus proprio dalle disposizioni fiscali degli Stati membri, laddove esse si traducano in svantaggi ed impedimenti agli investimenti in altri Sati della Comunità (ora dell’Unione), o in discriminazioni tra beneficiari dei dividendi residenti nello Stato della società distributrice, e beneficiari ivi non residenti. Si è osservato, invero, da parte della giurisprudenza comunitaria, che, quando uno Stato membro ha scelto di esercitare la sua competenza fiscale sui dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri, i non residenti beneficiari di tali dividendi sì trovano in una situazione del tutto analoga a quella dei residenti per quanto riguarda il “rischio di doppia imposizione economica” dei dividendi distribuiti dalle società residenti, per cui i beneficiari non residenti non possono essere trattati diversamente dai beneficiari residenti (cfr. C. Giust. CE, 19.11.2009 n. 540; C. Giust. CE, 3.6.2010 n. 487).
A siffatta esigenza essenziale del sistema comunitario ha inteso, quindi, porre rimedio, sul piano di una – almeno embrionale – codificazione del concetto di doppia imposizione la direttiva c.d. madre-figlia del 23.7.1990 n. 435, modificata dalle direttive 2003/123 del 22.12.2003 e 2006/98 del 20.11.2006, la quale – sul presupposto che i raggruppamenti di società di Stati membri diversi possono essere necessari al fine di garantire il buon funzionamento del mercato comune, e che “i raggruppamenti in questione possono risolversi nella creazione di gruppi di società madri e figlie” – ha dettato le regole essenziali in materia di doppia imposizione economica nel rapporto tra Stati. La direttiva afferma, invero, che quando una società madre – in virtù del suo rapporto di partecipazione con la società figlia avente sede in un diverso Stato membro – “riceve utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia”, lo Stato della società madre ha due alternative: a) astenersi dal sottoporre tali utili ad imposizione; b) sottoporli ad imposizione, ma autorizzando detta società madre a dedurre dalla sua imposta “la frazione dell’imposta societaria relativa ai suddetti utili e pagata dalla società figlia” (art. 4). La medesima direttiva, peraltro, “lascia impregiudicata 1’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari dei dividendi”. La direttiva dispone, infine, che “gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte”.
4. Nel caso di specie, il diritto al rimborso del credito di imposta, azionato dalla Oxoid International Limited trova fondamento nella menzionata Convenzione Italia-Regno Unito del 21.10.1988, emessa in forza della suindicata facoltà concessa agli Stati dalla predetta regola pattizia internazionale.
La succitata Convenzione stabilisce, invero, che, in via di principio, vi dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato” (art. 10, par. 1). Nondimeno, è possibile che tali dividendi siano “tassati anche nello Stato contraente in cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere – per quel che qui rileva – “il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se lo effettivo beneficiario è una società che controlla, direttamente o indirettamente, almeno il 10 per cento del potere di voto della società che paga i dividendi” (art. 10, par. 2, sub-paragrafo A). In tale ipotesi, peraltro, la società controllante residente nel Regno Unito, che riceva dividendi dalla società figlia italiana, “ha diritto, a condizione che sia la beneficiarla effettiva dei dividendi, ad un credito di imposta pari alla metà del credito di imposta cui una persona fisica residente in Italia avrebbe diritto se avesse ricevuto gli stessi dividendi, previa deduzione dell’imposta prevista al sub-paragrafo A del paragrafo 2 del presente articolo, ed a condizione che la società la quale riceve i dividendi ed il credito di imposta sia a tale titolo soggetta all’imposta del Regno Unito”.
4.1. Ciò posto, va osservato, al riguardo, che la Convenzione appare in linea con il sistema del credito di imposta che il diritto interno applicabile ratione temporis (testo previgente del TUIR, trattandosi delle annualità di imposta 2000 e 2001, mentre le modifiche apportate al D.P.R. n. 917 del 1986, dal D.Lgs. n. 344 del 2003, hanno effetto per i periodi di imposta successivi all’1.1.2004) prevedeva, al fine di elidere la doppia imposizione economica interna (v. D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 14 e 92, nel testo previgente).
Nello stesso tempo, la Convenzione costituisce – come detto – applicazione dell’art. 7, n. 2 della direttiva 90/435, laddove tale norma – che fa salve le disposizioni nazionali o convenzionali che assicurino il pagamento di crediti di imposta, al fine di sopprimere o attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi – consente un’imposizione come il prelievo del 51 summenzionato, purché detto prelievo – pur se formalmente operato sui dividendi – venga, in ultima analisi, ad incidere sul diritto di credito di imposta che la stessa Convenzione riconosce alla società madre, sì da non poter essere considerato come una ritenuta alla fonte, non consentita dalla direttiva madre-figlia (cfr. C. Giust. CE, 25.9.2003 n. 58; C. Giust. CE, 24.6.2010 n. 338). In tale prospettiva è, pertanto, evidente che il riconoscimento del credito di imposta – come accade nel diritto interno – gioca un ruolo essenziale ai fini di escludere il rischio della doppia imposizione, cui mira la previsione convenzionale in parola; sicché tale credito di imposta, in favore della società beneficiarla degli utili che risieda in altro Stato Europeo, potrebbe essere legittimamente escluso solo se detta società non fosse assoggettato – come invece accade nel caso di specie – ad imposta sui dividendi in entrambi gli Stati membri (C. Giust. CE, 12.12.2006 n. 374).
Per quanto concerne, poi, la misura di detto credito di imposta accordato alla società madre straniera, va osservato che il succitato art. 7, n. 2 della direttiva 90/435, nell’abilitare gli Stati membri a risolvere convenzionalmente le problematiche connesse alla doppia imposizione economica, mentre vieta implicitamente l’adozione o il mantenimento di disposizioni nazionali o convenzionali che lascino invariata, o addirittura aggravino, la doppia imposizione economica tra Stati membri, prescrive, invece, che tali rimedi siano finalizzati o a “sopprimere”, o anche soltanto ad “attenuare” tale doppia imposizione. Ed all’esigenza che il diritto nazionale e quello convenzionale debbano essere orientati a “prevenire o attenuare” l’imposizione a catena o la doppia imposizione, opera un chiaro ed univoco riferimento anche la giurisprudenza comunitaria (C. Giust. CE, 540/09, 338/10, 487/10, cit.). In tale prospettiva si pone, dunque, la Convenzione Italia- Regno Unito, laddove prevede, a favore della società madre cui vengano attribuiti utili dalla società figlia italiana, un credito di imposta “pari alla metà del credito di imposta cui una persona fisica residente in Italia avrebbe diritto se avesse ricevuto gli stessi dividendi”.
4.2. Tutto ciò premesso, va osservato che il diritto di credito che la predetta Convenzione prevede a favore della società madre – pacifico essendo in causa che la Oxoid International Limited si ponga come tale, ai sensi dell’art. 10, par 2 e 4, poiché detiene la totalità del potere di voto della società che paga i dividendi – presuppone la prova di due essenziali elementi: a) che la società del Regno Unito che riceve i dividendi ne sia la “beneficiarla effettiva”; b) che la società madre inglese, che “riceve i dividendi ed il credito di imposta sia a tale titolo soggetta all’imposta nel Regno Unito”.
E non può revocarsi in dubbio che l’onere della prova di tali elementi, in quanto costitutivi del diritto del contribuente beneficiario dei dividendi a non subire una seconda tassazione della stessa ricchezza già tassata in capo alla società, e di conseguire il rimborso di quanto indebitamente pagato, debba fare carico – nel caso di specie – alla società inglese che ha percepito i dividendi dalla controllata italiana (cfr. Cass. 8439/04, 24951/11). Per il che il credito di imposta riconosciuto alla società madre dalla Convenzione Italia-Regno Unito – al pari di ciò che accade nel diritto interno, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, ed, ancor prima, della L. n. 904 del 1977, art. 2, – intanto può ritenersi sussistente, in quanto vi sia effettivamente duplicazione di imposta; laddove manca quest’ultima, pertanto, non può neppure esservi riconoscimento alcuno del correlato credito di imposta.
Ebbene – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello – nel caso concreto la Oxoid International Limited non ha assolto all’onere della prova sulla medesima incombente, con riferimento agli aspetti suindicati.
4.3. Per quanto concerne, invero, il profilo dell’effettiva percezione dei dividendi, dei quali la società madre deve essere “beneficiarla effettiva”, ai sensi dell’art. 10, par. 4 della Convenzione, è del tutto pacifico tra le parti (v. controricorso p. 23), e risulta dalla stessa impugnata sentenza, che detti dividendi non sono stati effettivamente pagati in denaro, ma hanno costituito oggetto di novazione, mediante la stipula di due diversi contratti di mutuo, in forza dei quali l’obbligazione di pagamento dei dividendi, in capo alla società figlia italiana, è stata sostituita da quella di restituzione del capitale mutuato alla società mutuataria inglese. In forza dei suddetti contratti, infatti, (trascritti sul punto in ricorso) l’originaria obbligazione di corresponsione dei dividendi è da considerarsi adempiuta mediante l’esecuzione dell’accordo novativo, trasfuso nei contratti stessi, in forza dei quali il novello obbligo di restituzione del mutuo tiene luogo del primitivo obbligo di pagamento dei dividendi, con conseguente estinzione – per effetto della novazione – del diritto della società madre alla percezione degli utili stessi. Orbene, va rilevato – al riguardo – che la Convenzione Italia-Regno Unito è del tutto inequivoca nello stabilire che la società inglese che riceve i dividendi debba esserne la “beneficiarla effettiva”, per averli materialmente ricevuti o per essere questi entrati nella sua disponibilità giuridica, come evidenziano i riferimenti letterali alla società che “paga” i dividendi ed a quella che “riceve” gli stessi, contenuti nei par. 2 e 4 dell’art. 10.
D’altro canto, anche nella disciplina interna dei dividendi viene operato un chiaro riferimento all’effettiva corresponsione degli stessi, come si evince dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, comma 3, laddove si riferisce al “… periodo di imposta in corso alla data di pagamento dei dividendi”. E nel senso che per “utili distribuiti” che concorrono a formare il reddito imponibile, ai fini della determinazione del credito di imposta interno L. n. 904 del 1977, ex art. 3, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, debbano intendersi gli utili “effettivamente percepiti dai soci”, si è espressa anche la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 15205/00).
4.3.1. Ebbene, va osservato – in proposito – che il mutuo, in quanto contratto di natura reale, si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili), ovvero con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario (Cass. 2483/01, 14/11), che può ritenersi sussistente, peraltro, nella sola ipotesi in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore della controparte, in modo tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’ingresso della stessa nel patrimonio di quest’ultima (Cass. 11116/92, 6686/94). Non può revocarsi in dubbio, pertanto, che – nel caso concreto – pur non essendovi stata effettiva traditio del denaro oggetto del mutuo, essendo la somma relativa già nella detenzione della società mutuataria, si è, nondimeno, venuto a creare un diverso titolo di disponibilità della somma medesima da parte della società italiana. Detta somma è rimasta, infatti, sia pure a diverso titolo, nel patrimonio della mutuataria, con il consenso della mutuante, mentre avrebbe dovuto essere attribuita a quest’ultima sub specie di utili societari. Per il che è evidente, che – se non materialmente – l’importo in parola è pur sempre uscito giuridicamente dal patrimonio della mutuante inglese, per restare acquisito a quello della mutuataria italiana, con la conseguenza che il contratto di mutuo non può che ritenersi – per le ragioni suesposte – regolarmente perfezionato tra le parti.
4.3.2. Tuttavia, se l’assenza di una movimentazione fisica di denaro dal mutuante al mutuatario non vale ad escludere la sussistenza di un contratto di mutuo, a diversa conclusione deve pervenirsi per quanto attiene al requisito – necessario per il riconoscimento del credito di imposta – relativo alla corresponsione dei dividendi alla società madre inglese, essendosi anch’essa verifica-ta – come ammesso dalla stessa Oxoid International Limited (p. 12 e ss. del controricorso) – “senza una movimentazione fisica di denaro” in direzione opposta alla precedente, ovverosia dalla società mutuataria a quella mutuante.
Tale corresponsione dei dividendi sarebbe, invero, avvenuta – secondo la prospettazione della Oxoid International Limited, condivisa dalla CTR – mediante l’estinzione per novazione della relativa obbligazione, dalla quale sarebbe derivata comunque, secondo l’odierna resistente, l’estinzione del diritto di credito del socio a percepire gli utili distribuiti dalla italiana Oxoid s.p.a.
Senonché, la vista esigenza di una consegna effettiva dei dividendi, per le ragioni suindicate, non consente di considerare equipollente alla stessa la mera prefigurazione – nei contratti di mutuo succitati – di un’obbligazione di restituzione in capo alla mutuataria, che di per sè – a parere della contribuente inglese – sarebbe estintiva, mediante novazione, dell’originario obbligo di pagamento dei dividendi societari, e di conseguenza, dello stesso diritto di credito agli stessi (scaturente da detta obbligazione) in capo alla società mutuante. E’ fin troppo evidente, infatti, che la sostituzione della corresponsione effettiva degli utili in parola con un obbligo di restituzione di una somma di pari importo, da parte della società distributrice dei dividendi, viene ad integrare di per sè, un mero riconoscimento di debito che – di certo – impedisce di considerare la mutuante inglese “beneficiaria effettiva dei dividendi”, ai sensi dell’art. 10, par. 4 della Convenzione Italia- Regno Unito.
4.3.3. Di più, l’assenza di movimentazione di denaro dalla mutuataria alla mutuante, in restituzione del mutuo ricevuto ed in luogo del pagamento dei dividendi, al momento della domanda di restituzione del credito di imposta, vale altresì ad escludere la sussistenza di una valida novazione. Quest’ultima, invero, postula, non solo l’aliquid novi, ossia il mutamento dell’oggetto e del titolo della prestazione, e 1’animus novandi, corrispondente ad una manifestazione inequivoca dell’intento novativo, ma anche la sussistenza della causa novandi, intesa come interesse comune delle parti all’effetto novativo (Cass. 5665/10).
Ebbene, è evidente che, nel caso concreto, tale interesse – seppure sussistente in capo alla mutuataria, che potrebbe liberarsi dell’obbligo di pagamento effettivo, mediante il mero impegno alla restituzione del mutuo – non può ritenersi comune alla mutuante, posto che quest’ultima finirebbe per non percepire alcunché, non avendo la novazione in parola carattere satisfattivo del proprio diritto di credito.
Appare di chiara evidenza, pertanto, che l’intera operazione negoziale si iscrive nella problematica dell’abuso del diritto, più volte affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, che si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (cfr. ex plurimis, Cass.S.U. 30055/08, Cass. 11236/11, Cass. 19234/12). L’operazione in parola appare finalizzata -per vero – a consentire alla Oxoid International Limited di costituire in Italia un fondo in elusione della corporation tax inglese, costituito dall’ammontare dei dividendi concessi a mutuo e non effettivamente corrisposti, sottratti, quindi, alla tassazione inglese, ed – al contempo – di conseguire l’indebito rimborso di imposta, nella misura riconosciuta dalla Convenzione Italia-Regno Unito.
4.4. A tali – già di per sé assorbenti – profili va, dipoi, soggiunto che difetta del tutto, nella specie, anche il requisito della soggezione all’imposta dei dividendi in questione nel Regno Unito.
La menzionata attestazione britannica contiene, invero, un generico riferimento alla residenza fiscale della Oxoid International Limited nel Regno Unito, ed alla sua soggezione – in via generale ed astratta – alla corporation tax, senza che riferimento alcuno sia – peraltro – in essa contenuto ai dividendi in questione, ai fini della loro concreta soggezione a tassazione.
Orbene, non può revocarsi in dubbio che il credito di imposta, in quanto – come ampiamente chiarito in precedenza – si traduce in uno strumento per ovviare alla doppia imposizione fiscale, postula che quest’ultima venga effettivamente in essere in relazione alla specie di reddito in considerazione, dovendone, cioè, sussistere, in concreto, i relativi presupposti. Nel sistema nazionale, ciò si traduce nell’esigenza – sussistente in relazione sia alla L. n. 904 del 1977, che al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, – che la detrazione del credito di imposta per agli utili distribuiti ai soci, non solo risulti dalla dichiarazione dei redditi regolarmente presentata, ma sia stata anche richiesta nella dichiarazione stessa (Cass. 9475/02).
Mutatis mutandis, è evidente che a radicare il diritto al credito di imposta non può bastare, nei rapporti transfrontalieri tra società madre e società figlia, la mera astratta soggezione della prima all’imposizione sui redditi di impresa nel Regno Unito, occorrendo la prova che i dividendi percepiti dalla società distributrice italiana siano stati concretamente sottoposti a tassazione in tale Paese. La ratio della Convenzione tra i due Stati non è – per vero – quella di creare un’esenzione a favore della società inglese percettrice di dividendi, ma solo quella di non discriminarla rispetto ai percettori italiani di tali dividendi; il che – coitì è ovvio – presuppone che essa sconti, al pari di questi ultimi – la doppia imposizione degli utili, sia a carico della società erogante, sia in capo socio che li percepisce. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate è pienamente fondato.
Per tutte le ragioni suesposte,pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate è pienamente fondato.
5. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo.
Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; condanna l’intimata al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 15.000,00, oltre alle spese prenotate a debito;
dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.
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