CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2014, n. 658
Tributi – IVA – Acquisto autovetture usate da fornitori tedeschi – Regime del margine – Applicabilità – Esclusione
Svolgimento del processo
1. Oggetto della controversia innanzi a questa Corte è l’applicazione del c.d.regime del margine che la società M.M. s.r.l. con sede in C.M. ha ritenuto di applicare rispetto ad alcuni acquisti di autovetture usate realizzate da fornitori tedeschi nell’anno 2000 per le quali l’Agenzia delle Entrate di Bologna, non ritenendo applicabile il sistema IVA regolato dal D.L. n. 41/95 ha disposto, sulla base di un p.v.c. del 28.1.2002, per quel che qui rileva, la ripresa a tassazione di IVA, accessori e sanzioni.
2. La società contribuente ha proposto ricorso innanzi alla CTP di Bologna che lo rigettava con sentenza che la CTR dell’Emilia Romagna, su appello della contribuente, con sentenza n.120, depositata il 10 dicembre 2009, riformava.
2.1 Secondo il giudice di appello, non potendo dubitarsi circa l’esistenza di due dei requisiti normativamente previsti per fruire del regime c.d. del margine – cessione dopo sei mesi dalla prima immatricolazione di veicolo usato che ha percorso più di seimila chilometri – risultava controversa la sussistenza del terzo requisito, rappresentato dal fatto che il venditore non avesse potuto esercitare il diritto a detrazione o avesse applicato a sua volta il regime del margine.
2.2 Rispetto a tale questione la CTR riteneva che la tesi del ricorrente in ordine all’esistenza di tale parametro, documentata da apposite dichiarazioni firmate dai cedenti ed allegate agli atti, era stata avallata dal Tribunale di Bologna il quale, decidendo i medesimi fatti, aveva acclarato l’insussistenza del carattere delittuoso dei medesimi, non recando la documentazione in possesso del contribuente abrasioni o cancellature o altre correzioni, come era stato confermato dalla polizia giudiziaria.
2.3 Aggiungeva che anche la Ctr, esaminando la documentazione allegata, era giunta alla medesima conclusione di attendibilità della documentazione allegata. Ragion per cui la contribuente aveva assolto l’onere probatorio, sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo, sulla stessa incombente alla stregua dell’art. 36 ss. d.l.n. 331/93. Evidenziava, ancora, che le dichiarazioni dei fornitori esteri che contrastavano con quanto sostenuto dalla contribuente e raccolte dall’Agenzia non erano state compiutamente verificate, non essendosi nemmeno a conoscenza del modo in cui erano state raccolte.
2.4 Precisava, inoltre, che nel processo tributario non erano ammesse prove testimoniali, facendo prova solo quelle documentali che la contribuente aveva fornito in modo sufficiente, sia in ricorso che in appello.
3. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato quattro motivi, al quale la società contribuente, tempestivamente evocata in questa non ha fatto seguire alcuna difesa scritta.
Motivi della decisione
4. Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.l. n. 41/95 conv. nella l. n. 85/1995 e modificato dal d.l. n. 415/1995, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
4.1 Lamenta che la CTR, omettendo di considerare il materiale probatorio prodotto nel corso del giudizio, aveva tralasciato di considerare che gli acquisti operati dalla società contribuente provenivano da forniture tedesche non imponibili, classificabili come cessioni intracomunitarie, essendo ciò emerso dagli accertamenti operati dall’autorità fiscale tedesca. Tale dato obiettivo faceva venire meno la possibilità di applicare il c.d. regime del margine per come individuato dalla normativa indicata nella rubrica della censura.
5. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ai fatti decisivi e controversi per il giudizio, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. Lamenta che la motivazione addotta a sostegno della decisione era sotto più profili illogica.
5.1 Ed infatti, la CTR aveva ritenuto rilevante l’assenza di abrasioni o cancellature sui documenti in possesso della cessionaria impugnata, senza considerare che proprio il tribunale penale aveva evidenziato:a) la difformità esistente fra la documentazione in possesso della contribuente cessionaria e quella acquisita dalle autorità fiscali tedesche che avevano attestato la natura di cessioni intracomunitarie delle vendite;b) la circostanza che la Signora C. aveva dichiarato che i prestampati sui quali risultava la conferma del regime del margine in possesso della contribuente erano obsoleti e recavano altre anomalie – numero di telefono e timbro aziendale non riferibili alla ditta fornitrice tedesca, anomalie sulla firma del collaboratore P.W.
5.2 Era dunque palese che l’assenza di abrasioni e cancellature sulla documentazione rinvenuta presso il contribuente non poteva costituire fatto decisivo per comprovare l’effettiva utilizzazione del regime del margine da parte dei fornitori tedeschi.
5.3 Inoltre, il rilievo circa la mancata verifica delle dichiarazioni dei venditori esteri contrastanti con le dichiarazioni in possesso del contribuente era illogico, essendo stata la verifica estesa fuori dai confini nazionali ed fino ai paesi fornitori, non comprendendosi quale altri accertamenti si sarebbero dovuti svolgere. Né si comprendeva come la CTR aveva ritenuto provati gli elementi soggettivi ed oggettivi del regime del margine in relazione a quanto verificato dalle autorità fiscali tedesche.
6. Con il terzo motivo l’Agenzia prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.l.n.41/1995 conv. nella l. n. 85/95 e modificato dal d.l. n. 415/95, dell’art. 54 dpr n. 633/72 nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Lamenta che la CTR, nel ritenere che le dichiarazioni contrastanti con la documentazione dei fornitori rinvenuta presso il contribuente non erano state compiutamente verificate dall’Agenzia aveva illegittimamente spostato in capo all’Ufficio l’onere di provare i requisiti legittimanti il meccanismo del margine.
7. Con il quarto motivo l’Agenzia ha prospettato la violazione dell’art. 7 d.lgs. n. 546/92, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 C.P.C. Lamenta che la CTR, nel ritenere irrilevanti le dichiarazioni testimoniali nel processo tributario, aveva omesso di considerare che il divieto di ammissione della prova testimoniale non impedisce la possibilità di utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione sono autorizzati a richiedere anche ai privati.
8. Le doglianze, che meritano un esame congiunto in quanto fra loro avvinta, sono fondate.
9. Occorre premettere che il giudice di appello, nel ritenere infondata la pretesa fiscale azionata sul presupposto che non potesse trovare applicazione il c.d. regime del margine disciplinato dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. nella L. n. 85 del 1995, ha fondato il proprio assunto ritenendo che: a) ai fini del riconoscimento del regime agevolativo previsto in tema di regime del c.d. margine occorre la dimostrazione di tre differenti requisiti, e se su due di questi era pacifica la sussistenza in capo al contribuente – carattere usato degli autoveicoli ceduti dopo avere percorso 6000.00 Km dopo la prima immatricolazione – il terzo, costituito dalla imponibilità dell’operazione a monte o dall’applicazione del regime del margine da parte del venditore, la situazione di incertezza si era risolta in favore del contribuente sulla base delle dichiarazioni dallo stesso fomite, vieppiù confermate dagli esiti del giudizio penale – sent. di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente resa dal Trib.Bologna, il quale aveva attestato che la documentazione rinvenuta presso il contribuente era priva di abrasioni, per come aveva del resto constatato la stessa CTR.Tale documentazione era dunque attendibile sicché il contribuente aveva comprovato la sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi richiesti dall’art. 36 cit.
9.1 Orbene, secondo l’Agenzia avrebbe errato la CTR nel riconoscere l’esistenza del beneficio del margine in base alle dichiarazioni dei fornitori in possesso del cessionario rispetto agli accertamenti fiscali istituzionali operati da parte del fisco tedesco attestanti che le operazioni NON erano soggette al regime del margine. Ed infatti, dall’imponibilità ai fini IVA delle cessioni intracomunitarie operate dai fornitori tedeschi non poteva che derivare l’impossibilità di applicare il regime del margine. La circostanza che i controlli operati dall’autorità fiscale tedesca sui fornitori tedeschi avevano dimostrato che si verteva in ipotesi di cessioni intracomunitarie dal quale conseguiva l’impossibilità di applicare il computo dell’IVA sul margine che presuppone il mancato assolvimento dell’Iva a monte, rendeva evidente l’errore nel quale era incorsa la CTR laddove aveva applicato il regime in assenza dei presupposti oggettivi.
9.2 Orbene, l’assunto è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
9.3 Giova rammentare che questa Corte ha ormai pacificamente riconosciuto che il regime del margine già sopra ricordato si applica in quanto il contribuente riesca a dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr. Cass. 31.1.2011 n. 2227). Ragion per cui il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità del regime de quo (cfr. Cass. 31.1.2011 n. 2227).
9.4 Ne consegue che il “rischio fiscale” della operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti non può che ricadere sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura), risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore v., da ultimo, Cass. n. 4522, 4524 e 4525/2013.
9.5 Si è parimenti avuto modo di chiarire che costituisce condizione indefettibile di applicabilità di tale regime la indeducibilità dell’Iva versata “a monte” dal cedente-operatore comunitario in occasione dell’acquisto del bene successivamente rivenduto all’importatore in altro Paese membro (ovvero si rende necessario che il cedente abbia assolto l’IVA in modo definitivo, senza avere esercitato né avere potuto esercitare alcuna rivalsa: altrimenti, in luogo di evitare una doppia imposizione, si attribuirebbe al cessionario una ingiustificata agevolazione fiscale), dovendo in conseguenza il cedente, soggetto passivo di imposta comunitario, rispondere ad uno dei seguenti “requisiti soggettivi” individuati dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1, conv. in L. n. 85 del 1995: 1) soggetto che sia privato consumatore; 2)soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta (avendo destinato i beni ad una attività esente); 3) soggetto che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro; 4) soggetto che abbia, a sua volta, assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile-cfr.Cass.n.8828/2012.
9.6 In definitiva, si è ritenuto che il difetto della prova in ordine alla sussistenza dei requisiti previsti dal regime del margine comporta l’inapplicabilità del regime “de quo”, indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio (cfr. Cass. n. 2227/2011 e Cass.n.8635/2012).
9.7 Ne consegue che il “rischio fiscale” della operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine, ma in difetto dei presupposti richiesti ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore (“diligentia viri eiusdem generis ac professionis”) – Cass. n. 8635/12.
9.8 II carattere speciale del regime del margine, d’altra parte, è stato più volte sottolineato dalla Corte di giustizia la quale, individuando la portata interpretativa dell’art. 314 della direttiva 2006/112 – che riproduce fedelmente l’art. 26 bis della c.d. sesta direttiva CEE, – ha ribadito come il regime d’imposizione sull’utile realizzato dal soggetto passivo-rivenditore in occasione della cessione di beni d’occasione quali quelli di cui trattasi nel procedimento principale costituisce un regime particolare dell’IVA, che deroga al sistema generale della direttiva 2006/112 – cfr. Corte Giust. 19 luglio 2012, causa C-160/11, Bawaria M. sp. z o.o., p.28 e Corte Giust. 3 marzo 2011, Auto Nikolovì, causa C 203/10, punto 46- così confermando i principi espressi con riguardo all’art. 26 bis dir.- per cui v. Corte Giust. 8 dicembre 2005, Jyske Finam, causa C 280/04, p. 35-.
9.9 D’altra parte, nelle pronunzie rese dalla Corte di Giustizia, l’affermazione secondo cui il soggetto passivo d’imposta non può essere considerato responsabile della intenzione del terzo di agire in frode alla applicazione dell’IVA è mediata dalla condizione essenziale che detto contribuente “non aveva o non doveva avere conoscenza” della frode (cfr. Corte giustizia CE 3A sez. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03). Rimane pur sempre compito dell’autorità giudiziaria nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente- cfr.Corte Giust. 3 marzo 2005, C 32/03, Fini H, p.34-. Ragion per cui soltanto “gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere a fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode”, possono fare affidamento sulla liceità di tali operazioni. Pertanto, un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA “non può allegare la buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE 6.7.2006 in cause rinite C-439/04 e C- 440/04)-cfr., sul punto, specificamente Cass.n. 15219/2012 e le più recenti sentenze nn. 4522-4525/2013-.
9.10 A tali principi si è di recente uniformata questa Corte, ritenendo che la responsabilità del soggetto cessionario per l’obbligazione tributaria derivante dal fatto illecito del cedente, o del terzo comunque inseritosi nella catena delle cessioni del bene, rimane esclusa dalla condizione essenziale che detto contribuente “non aveva o non doveva avere conoscenza” della frode (cfr. Corte giustizia CE sez. III, sent. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-184/03, Optigen Ltd, Fulcrum Electr. E Bond House), fermo restando che la buona fede del cessionario può essere riconosciuta soltanto agli “operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode”, in quanto solo all’esito di tali adempimenti può ravvisarsi un incolpevole affidamento sulla liceità di tali operazioni.
Diversamente, un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA” non può allegare la propria buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE, sent. 6.7.2006 in cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittei e Recolta) – cfr. Cass. n. 20302/2013.
9.11 Orbene, fermi i superiori principi che questo Collegio pienamente condivide, le censure prospettate dall’Agenzia colgono, in parte, l’errata ratio deciderteli posta a base della decisione impugnata, la quale è partita dal presupposto per cui l’elemento rappresentato dalla assoggettabilità delle operazioni commerciali al regime del margine potesse essere dimostrato dalla documentazione in possesso della parte contribuente, in quanto ritenuta autentica sia dal giudice penale che dalla stessa CTR.
9.12 Ed invero, non appare possibile disconoscere che per fruire del detto regime ai fini IVA è necessaria la prova dell’esistenza dei tre presupposti di cui si è detto e che questa prova deve essere fornita indubitabilmente dal cessionario.
9.13 Orbene, la CTR, ha totalmente tralasciato di considerare che le operazioni di cessione (a monte) rispetto agli acquisti dei veicoli al contribuente non presentavano il requisito dell’imponibilità – in quanto assoggettati alla disciplina prevista dall’art. 28 quater della c.d. sesta direttiva CEE (trasposto nell’ordinamento tedesco) – a cui tenore, gli Stati membri esentano:a) le cessioni di beni ai sensi dell’articolo 5, spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di cui all’articolo 3 ma all’interno della Comunità, effettuate per un altro soggetto passivo o per un ente che non è soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.”
9.14 Ora, tale errore in diritto si appalesa essenziale nell’economia della decisione, se si considera che nel riferire dell’esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dall’art. 36 cit., la CTR ha sicuramente fatto riferimento alla circostanza che il contribuente fosse consapevole, sulla base di una documentazione in suo possesso, della sussistenza a monte dell’ulteriore requisito per fruire a sua volta del regime del margine.
9.15 Nel far ciò, tuttavia, la CTR non sembra essersi uniformata alle decisioni rese sia da questa Corte che dalla Corte di Giustizia, alla cui stregua si richiede che per ritenere applicabile il detto regime è necessario che il contribuente non fosse a conoscenza o non potesse conoscere 1 di una frode perpetrata dal suo fornitore.
9.16 Il ragionamento esposto dalla CTR a sostegno di tale assunto non appare, dunque né congruo né logicamente motivato, se si considera che agli atti dell’ufficio vi era la prova documentale che la società contribuente aveva chiesto alla fornitrice la compilazione del documento necessario per la fruizione del regime ed aveva ricevuto via fax la risposta che ciò non era possibile – v.pag.6 ricorso.
9.17 In definitiva, se non può disconoscersi che gli esiti degli accertamenti operati dal fisco tedesco erano tutti univocamente orientati ad escludere che i beni acquistati dalla contribuente potessero fruire del regime del margine in quanto classificabili come cessioni intracomunitarie, in questa direzione deponendo gli accertamenti effettuati presso le ditte fornitrici e presso la ditta S.-nella quale operava la Sig.ra C., la quale aveva posto in dubbio l’autenticità della documentazione rinvenuta presso la contribuente – è evidentemente incongrua la motivazione della sentenza che, per giustificare il riconoscimento del regime del margine, si sia limitata a verificare l’autenticità delle dichiarazioni della contribuente che attestavano i requisiti per fruire del regime del margine, senza minimamente considerare che l’elemento sopra indicato ai §§ 9.15 ed offerto dall’amministrazione avrebbe potuto inficiare in radice la non conoscenza da parte della contribuente dell’insussistenza dei presupposti per accedere al beneficio di cui qui si discute. Ciò proprio in relazione al fatto che “…nel caso di autoveicoli, l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione…, cosicché va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione” (cfr. Cass. n. 3427/2010 e Cass. n. 8635/12).
9.18 In questa prospettiva, la decisione impugnata merita di essere cassata, apparendo l’omesso esame del superiore documento decisivo per la corretta ponderazione degli elementi sui quali il giudice deve fondare il proprio giudizio.
9.19 L’avere, infatti, limitato l’indagine alla circostanza che la documentazione rinvenuta presso il contribuente non era contraffatta non può giustificare il riconoscimento del beneficio, le quante volte sia emerso che le operazioni a monte non erano soggette al regime del margine e di ciò fosse a conoscenza lo stesso contribuente o potesse esserlo con un normale sforzo di diligenza correlato alla peculiare operazione svolta ed alla specialità del regime impositivo che il medesimo intendeva sfruttare.
9.20 Parimenti errata è l’affermazione della CTR che ha ritenuto inconducenti le dichiarazioni rese dagli altri fornitori circa l’insussistenza del requisito dell’imponibilità delle operazioni a monte perché integranti mere dichiarazioni testimoniali, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il divieto di ammissione della “prova” testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, sancito dall’art. 7, quarto comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (che riproduce la disposizione analoga contenuta nell’art. 35, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636) si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente (art. 32, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; art. 51, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). Tali dichiarazioni, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi “indiziari”, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa (Corte Cost. 21 gennaio 2000 n. 18; Cass.n. 14774/2000; Cass. n. 11994/2003; Cass.n.20032/12 e 21812/2012.
10. In conclusione, il ricorso va accolto nei sensi sopra esposti. La sentenza impugnata va pertanto cassata nei limiti sopra specificati con rinvio ad altra sezione della CTR che dovrà fare applicazione dei principi sopra affermati
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza di appello e rinvia ad altra sezione della CTR dell’ Emilia Romagna per nuovo esame, la quale pure procederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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