CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2022, n. 5014
Tributi – IVA – Compravendita di autovetture usate di provenienza comunitaria presso soggetti nazionali – Regime del margine – Esclusione
Rilevato che
1. In seguito a verifica compiuta dalla Guardia di Finanza nei confronti della società C.A. s.r.l., svolgente l’attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di autovetture, in relazione ad alcune fatture relative alla compravendita di autovetture usate di provenienza comunitaria presso soggetti nazionali, l’Agenzia delle Entrate notificò alla predetta avviso di accertamento per il periodo di imposta 2006, con il quale contestò l’errata applicazione del c.d. “regime del margine” di cui agli artt. 36-41bis, d.l. 30 febbraio 1995, n. 41, conv. dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, sostenendo l’assoggettamento ad Iva, nella misura ordinaria, dei relativi acquisti.
Rigettate dall’Ufficio la richiesta di accertamento con adesione presentata in data 18/9/2012 e l’istanza di annullamento, la contribuente impugnò l’atto, ottenendone l’annullamento da parte della C.T.P. di Roma con sentenza n. 458/23/11, depositata il 16/11/2011, che, impugnata dall’Ufficio, fu caducata dalla C.T.R. per il Lazio con la sentenza n. 4790/2/14, depositata il 18/7/2014.
2. Contro la predetta sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. L’Agenzia delle Entrate si è difesa con controricorso.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso, la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37, d.l. 30 febbraio 1995, n. 41, conv. dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. affermato che, nella specie, non fosse applicabile il c.d. “regime del margine”, in quanto le fatture riguardavano autoveicoli importati da paesi membri, senza considerare che, invece, gli acquisti erano stati fatti esclusivamente da altro operatore dello stesso Stato e che pertanto erano assoggettati alla normativa italiana, in virtù della quale l’operatore è obbligato a inserire nel corpo della fattura titolo e norma regolatrici dell’assoggettamento a imposta. Le autovetture, infatti, originariamente immatricolate in Germania e quasi tutte intestate a persone fisiche, erano state acquistate presso un fornitore italiano che, a sua volta, le aveva acquistate applicando il regime del margine Iva, per cui, una volta appurata la sussistenza del requisito oggettivo (ossia la natura di beni usati delle predette autovetture, pacifica in causa) e di quello soggettivo (il precedente acquisto dei veicoli da parte del fornitore italiano con applicazione del regime del margine, oltre all’originaria intestazione dei veicoli a persone fisiche), la società non poteva esimersi dall’applicare a sua volta il predetto regime speciale nella successiva rivendita dei veicoli, essendo ciò previsto dal comma 1, dell’art. 36, del citato d.I., e confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate con la circolare n. 40/E del 18/7/2003. Inoltre, quanto alla diligenza richiesta alla società e richiamata dalla C.T.R., la contribuente si era comportata in perfetta buona fede, posto che aveva verificato quanto in suo potere in merito al chilometraggio delle autovetture, alla data di immatricolazione (rinvenibile nei documenti di circolazione) e alla dicitura nella fattura di acquisto riportante l’applicazione del regime del margine.
2. Il motivo è infondato.
L’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995 (cfr., artt. 311-325 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006), stabilisce infatti che «per il commercio di beni mobili usati, suscettibili di reimpiego nello stato originario previa riparazione […], acquistati presso privati nel territorio dello Stato o in quello di altro Stati membro dell’Unione europea, l’imposta relativa alla rivendita è commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie» e che «si considerano acquistati da privati anche i beni per i quali il cedente non ha potuto detrarre l’imposta afferente l’acquisto o l’importazione, nonché i beni ceduti da soggetto passivo d’imposta comunitario in regime di franchigia nel proprio Stato membro e i beni ceduti da soggetto passivo d’imposta che abbia assoggettato l’operazione al regime del presente comma». Inoltre, «negli scambi intracomunitari tra soggetti passivi di imposta che applicano il regime del margine, i mezzi di trasporto costituiscono beni usati se considerati tali a norma dell’art. 38, comma 4, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427», ossia, per quanto qui interessa, i «veicoli con motore di cilindrata superiore a 48 cc. o potenza superiore a 7,2 Kw, destinati al trasporto di persone o cose», che «abbiano percorso oltre seimila chilometri e la cessione sia effettuata decorso il termine di sei mesi dalla data del provvedimento di prima immatricolazione o di iscrizione in pubblici registri o di altri provvedimenti equipollenti».
Il regime del margine di utile realizzato in occasione della cessione postula, dunque, non soltanto che il bene compravenduto rivesta i caratteri sopra indicati (requisito oggettivo), ma altresì che l’acquisto sia stato effettuato da un privato consumatore oppure da un soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta o che abbia agito nel proprio Stato membro in regime di franchigia o che abbia a sua volta assoggettato la cessione al regime del margine, giustificandosi soltanto in presenza di quest’ultimo requisito soggettivo l’esigenza sottesa alla sua previsione, ossia quella di evitare le doppie imposizioni e distorsioni della concorrenza tra soggetti passivi nel settore dei beni d’occasione e degli oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, la quale verrebbe lesa ove il soggetto passivo rivenditore assoggettasse a imposta l’intero prezzo anche quando quello corrisposto fosse comprensivo dell’Iva già assolta a monte dal soggetto che non abbia potuto detrarla, laddove l’esistenza del diritto alla detrazione esclude, viceversa, il rischio della doppia imposizione e la conseguente possibilità di sottrarre l’operazione al regime normale dell’IVA (Cass., Sez. U, 12/09/2017, n. 21105).
Ciò fa sì che, stante il carattere speciale facoltativo, derogatorio del sistema generale di cui alla direttiva 2006/112 e meno oneroso rispetto a questo (contemplando una base imponibile ridotta) del regime del margine, sì da dover essere interpretato restrittivamente, nei soli limiti di quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo dell’istituto (in tal senso, Cass., Sez. U, 12/09/2017, n. 21105, Cass., Sez. 5, 24/9/2014, n. 20089; Cass., Sez. 5, 24/7/2015, n. 15630; Cass., Sez. 6-5, 30/5/2016, n. 11086; Corte di giustizia 8 dicembre 2005, causa C-280/04, Jyske Finans; 3 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolovi; 19 luglio 2012, causa C-160/11, Bawaria Motors; 18 maggio 2017, C-624/15, Litdana), spetta al contribuente che sia stato investito dalla contestazione dell’Ufficio di indebita fruizione di tale regime, fondata su elementi oggettivi e specifici, l’onere di dimostrare la sua buona fede, la quale si sostanzia non soltanto nell’avere egli agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche nell’avere usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto (Cass., Sez. U, 12/09/2017, n. 21105; Sez. 5, Cass., 16/02/2018, n. 3819; Cass., Sez. 5 – , 11/05/2018, n. 11437; Cass., Sez. 5, 17/09/2020, n. 19374).
In caso di compravendita di veicoli usati, in particolare, la diligenza esigibile viene a concretarsi nell’onere, in capo al cessionario, di verificare la storia del veicolo con riguardo ai suoi precedenti intestatari, come risultanti dalla carta di circolazione, trattandosi di documento indispensabile per il perfezionamento dell’operazione e dunque in suo possesso, e da ulteriori dati di rapido reperimento, che, senza la pretesa di oneri investigativi inesigibili, consentano comunque di accertare la legittimazione degli stessi ad esercitare il diritto alla detrazione Iva, derivando dall’esito negativo l’applicabilità del regime in esame, atteso che il bene è pervenuto al consumo finale, e dall’esito positivo la ragionevole presunzione del contrario, atteso che il soggetto che compie professionalmente operazioni nell’ambito del mercato dei veicoli, svolgendo attività di rivendita, di noleggio o di leasing, è deputato a detrarre l’imposta pagata per l’acquisto del bene destinato all’esercizio dell’attività propria dell’impresa in base al criterio di regolarità causale (Cass., Sez. U, 12/09/2017, n. 21105; Cass., Sez. 5, 14/12/2018, n. 32402).
Ed è a questi principi che si è attenuta la C.T.R., allorché ha accolto l’appello dell’Ufficio, sostenendo che, in coerenza col principio di vicinanza della prova, sia il cessionario a dover dimostrare di avere operato secondo diligenza, verificando preventivamente la regolarità sostanziale dell’operazione sulla base dei dati risultanti dal libretto di circolazione, e che, in difetto di tale prova, non è applicabile il regime del margine, indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il concessionario. Peraltro, è stato anche sostenuto che, secondo quanto emergeva dalle carte di circolazione, risultavano, per alcuni veicoli, trascrizioni tali da far pensare che «nel ciclo distributivo non erano intervenuti soggetti non aventi diritto alla detrazione dell’Iva. E ciò per il fatto che tali vetture risultavano intestate a società commerciali quali L., la H., l’A. o le stesse case automobilistiche», sicché la contribuente non aveva assolto all’onere di diligenza sulla stessa gravante.
Alla stregua di quanto detto, deve allora escludersi la fondatezza della lamentata doglianza, la quale, sebbene ricostruita in termini di violazione e falsa applicazione di legge, appare diretta ad ottenere un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice e dunque una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
3. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spése prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.