Commissione Tributaria per le Marche sezione n. 3 sentenza n. 125 depositata il 1° febbraio 2022
Verifiche “a tavolino”. Assenza di contraddittorio. Non necessità.
Massima:
In ipotesi di verifiche “a tavolino”, in quanto non svolte nei locali del contribuente, non sussiste, (per i tributi non armonizzati), un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e il suo mancato rispetto non ha quindi alcun rilievo sulla validità dell’atto di accertamento conseguente l’effettuata verifica. Non essendo necessario un contraddittorio, pertanto, neanche possono essere ritenuti obbligatori il PVC ed il rispetto del termine dei sessanta giorni.
Testo:
FATTO
La controversia trae origine dall’avviso di accertamento n. TQYXXX/2011, (anno d’imposta 2006), basato sui risultati di indagini finanziarie autorizzate, e notificato al sig. M. B. in data 19.12.2011 dall’Agenzia delle Entrate di Ancona, con il quale veniva recuperato a tassazione un maggior imponibile ai fini Irpef, addizionale regionale e comunale, oltre ad interessi e sanzioni. Dalle indagini bancarie evase erano infatti emersi nell’esercizio versamenti, sui conti del contribuente, per complessivi euro 30.117,00.
L’Ufficio, a riguardo, aveva ritenuto:
-giustificati, versamenti per euro 14.695,00,
-non giustificati, versamenti per euro 15.422,00.
Avendo il contribuente dichiarato redditi complessivi per euro 3.988,00, l’Ufficio, sommando a tale reddito dichiarato l’importo dei cennati versamenti non giustificati, ne rideterminava il reddito complessivo in euro 19.410,00.
In data 17.05.2012 la parte contribuente presentava ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Ancona chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato, eccependo la carenza di motivazione dell’atto impositivo, la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 7 e 12 comma 7, L. 212/2000, l’illegittimità dell’avviso di accertamento per mancanza di allegazione di atti e per mancato rispetto dei termini ex art. 12, comma 7, L. 212/2000.
Deduceva altresì che, nella individuazione dei versamenti non giustificati, l’Ufficio non aveva tenuto in debita considerazione i redditi percepiti dal contribuente ed assoggettati a tassazione separata, il quale svolgeva attività di istruttore sportivo per conto di due associazioni.
Sosteneva pertanto che i compensi percepiti per lo svolgimento di tale attività fossero redditi diversi ex art. 67, comma l, lett. d), i quali, ai sensi dell’art. 69, c. 2 del TUIR, non concorrono a formare il reddito del percipiente sino all’ammontare di euro 7.500,00, per la parte eccedente, sino all’importo di euro 28.158,28 annui, sono assoggettati ad una ritenuta a titolo di imposta del 23%, e per il di più ad una ritenuta, sempre del 23%, ma a titolo di acconto.
Dai modelli 770 presentati dalle associazioni sportive presso le quali aveva svolto la propria attività risultava la percezione, nel corso dell’anno 2006, di compensi netti pari ad euro 24.440,00, da considerare a scomputo dei versamenti non giustificati.
In data 16.07.2012 l’Ufficio si costituiva in giudizio, depositando articolate controdeduzioni a sostegno delle proprie ragioni, riconoscendo come giustificati versamenti pari ad euro 14.695,00 – ascrivendoli quali compensi percepiti dal contribuente dalle associazioni sportive- e sostenendo che la restante somma fosse invece da ascrivere a movimenti inerenti operazioni volontariamente sottratte ad imposizione fiscale. In data 10.09.2015 la parte contribuente depositava ulteriori memorie illustrative, insistendo nella richiesta di accoglimento delle proprie ragioni.
Con sentenza n. 1722/2/15 del 29.09.2015, depositata in data 20.11.2015, la Commissione Tributaria Provinciale di Ancona accoglieva il ricorso e compensava le spese.
Giudicava infatti meritevole di accoglimento l’eccezione preliminare concernete l’art. 12 L. 212/2000, atteso che l’impugnato avviso d’accertamento non era stato preceduto da un PVC, e che non era stato rispettato il termine dei sessanta giorni, senza che fossero peraltro indicati, dall’Amministrazione Finanziaria, eventuali motivi di urgenza.
Precisava a riguardo che, secondo l’orientamento della Suprema Corte, l’eccepita nullità deve trovare applicazione nelle verifiche sia cd. “interne” che “esterne”, giacché diversamente verrebbe a configurarsi una inaccettabile disparità di tutela tra i contribuenti a seconda delle modalità di verifica adottate dall’Ufficio.
In data 17.06.2016 l’Ufficio proponeva appello avverso la prefata sentenza, chiedendone l’integrale riforma, riportandosi essenzialmente alle argomentazioni già formulate in primo grado. In data 02 .09.2016 la parte contribuente depositava articolate controdeduzioni a sostegno delle proprie tesi.
In data odierna espletati gli incombenti di cui a verbale, la controversia è stata decisa come in dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello, nel merito, è da accogliere parzialmente.
Il motivo di gravame preliminare è fondato.
L’accoglimento da parte dei Giudici di prime cure dell’eccezione di nullità dell’atto per violazione dell’art. 12 della L. n. 212/2000, sollevata dalla ricorrente, non è infatti condivisibile.
La questione concernente la necessità di redigere il Processo Verbale di Constatazione (PVC) in occasione di attività di verifica e sul termine dei sessanta giorni da concedere al contribuente -stabilito dal comma 7 dell’art. 12, dello Statuto dei diritti del contribuente- anche nelle cd. “verifiche a tavolino”, è stato a lungo oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Già la Cassazione, ex multis con propria pronuncia n. 13588 del 13 giugno 2014, aveva chiarito che l’unico elemento discriminante è dato dal “luogo” in cui avviene la verifica: se presso il contribuente, si applica l’art. 12 co. 7 L. 212/2000; ove non vi sia accesso, viceversa, non è necessaria l’emissione del PVC e di conseguenza il rispetto del termine dei sessanta giorni.
Successivamente le S.S. U.U., con la sentenza n. 24823/2015, hanno definitivamente conclamato il principio in base al quale per le verifiche “a tavolino” il mancato contraddittorio preventivo non è causa di invalidità dell’atto di accertamento che ne consegue, almeno per quanto concerne i tributi non armonizzati.
Del resto anche la sentenza Sopropé, emessa dalla Corte Europea (18.12.2008), ha sì stabilito che i destinatari di decisioni che incidono sui loro interessi devono essere messi in condizione di esprimere utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione, e che a tal fine devono beneficiare di un congruo termine temporale, ma ha anche precisato che tale obbligo vale in relazione a decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario.
A tal proposito le Sezioni Unite hanno sostenuto dunque che per i tributi non armonizzati non sussiste un generalizzato obbligo di contraddittorio nell’ambito della formazione dell’atto di accertamento, giacché il mancato contraddittorio rileva sulla validità di un atto soltanto laddove esplicitamente previsto dalla disciplina che regola la formazione di quello specifico atto.
La Corte trae il suo convincimento dal fatto che la rubrica dell’articolo 12 è intestata “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” e che il comma 1 dell’articolo 12 richiama esplicitamente gli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”.
Per questo motivo in ipotesi di verifiche “a tavolino”, in quanto non svolte nei locali del contribuente, non sussiste, (per i tributi non armonizzati), un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e il suo mancato rispetto non ha quindi alcun rilievo sulla validità dell’atto di accertamento conseguente l’effettuata verifica. Non essendo necessario un contraddittorio, neanche possono essere ritenuti obbligatori il PVC ed il richiamato termine dei sessanta giorni.
Per quanto sopra, essendo l’avviso di cui è causa inerente imposte non armonizzate, esso non può essere considerato illegittimo.
Accolto il motivo di gravame preliminare, nel merito – non vagliato dal Giudice di prime cure – la pretesa tributaria non può tuttavia trovare completo accoglimento, non avendo l’Ufficio tenuto conto della particolare situazione soggettiva dell’appellato.
È vero che in caso di verifiche bancarie è onere del contribuente, a carico del quale si determina un’inversione dell’onere probatorio, dimostrare che i versamenti bancari non siano riferibili ad operazioni imponibili, oppure che, nei propri obblighi dichiarativi, ne abbia tenuto conto.
Nel caso oggetto di disamina, tuttavia, è fatto non controverso che, nel periodo oggetto di verifica, il contribuente, pur non essendo riuscito a rinvenire tutte le precedenti materiali pezze d’appoggio, svolgesse attività di istruttore sportivo in due diverse associazioni dilettantistiche. I redditi percepiti a fronte di tale lavoro, ex art. 67, comma 1 del TUIR, ai sensi dell’art. 69, comma 2 del TUIR, non concorrono a formare reddito fino ad euro 7.500,00, per la parte eccedente, fino ad euro 28.158,28 annui, sono assoggettati ad una ritenuta a titolo di imposta del 23%, e per il di più, (non sussistente nel caso in esame), ad una ritenuta, ma a titolo di acconto.
l modelli 770 presentati dalle due associazioni sportive provano, nell’esercizio 2006, la percezione dei seguenti redditi:
a- compenso netto euro 17.590,00;
b- compenso netto euro 6.850,00;
e dunque di compensi netti complessivi di euro 24.440,00.
I documenti richiamati, trattandosi di dichiarazioni, erano già a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria.
Quest’ultima aveva peraltro assoggettato ad accertamento le due cennate associazioni sostitute d’imposta, senza sollevare alcuna eccezione in relazione ai compensi erogati agli istruttori.
Tali elementi reddituali non sono stati peraltro contestati dall’Ufficio né in primo né in secondo grado, e la loro regolare percezione è, appunto, provata al di sopra di qualsiasi possibile dubbio dai citati modelli 770 e dalle ritenute operate indicate, anch’esse mai oggetto di contestazione.
Inoltre il contribuente, come dedotto dalla stessa Agenzia delle Entrate nel proprio avviso, ha regolarmente dichiarato redditi complessivi per euro 3.988,00.
Lo scenario economico come sopra configurato comporta la seguente considerazione. L’Ufficio ha utilizzato, nel proprio computo, l’intero reddito riportato nella dichiarazione dei redditi, di euro 3.988,00. Risulta altresì documentalmente provato un regolare ulteriore · reddito netto di euro 24.440,00, non contestato dall’Agenzia.
La percezione di tali importi reddituali è pertanto pacifica, e la loro somma è pari ad euro 28.428,00. Posto che dalle risultanze delle evase verifiche bancarie sono stati rilevati versamenti per euro 30.117,00, l’importo non dichiarato scaturisce, aritmeticamente, dalla sottrazione del reddito regolare al totale delle rimesse bancarie, ed è quindi pari ad euro 1.689,00, (euro 30.117,00 – euro 28.428,00).
Per tale ragione, nel riformare la sentenza di primo grado, la Commissione ridetermina in euro 1.689,00 il reddito non dichiarato, sul quale computare maggiori imposte, sanzioni ed interessi.
Le spese vanno compensate, a causa della parziale reciproca soccombenza.
P.Q.M.
la Commissione accoglie parzialmente l’appello, rideterminando il reddito non dichiarato in euro 1.689,00.
Spese compensate.
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