COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Bari – Sentenza n. 2495 del 25 novembre 2015
ACCERTAMENTO – CONTRADDITTORIO – VERIFICHE A TAVOLINO – REDAZIONE DI UN PVC
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 17 maggio 2012, l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Barletta-Andria-Trani (BAT), chiedeva all’Avvocato F.L. chiarimenti in ordine ad alcune poste riguardanti i versamenti ed i prelevamenti da essa effettuati sul proprio c/c bancario negli anni 2007 e 2008, invitandola a comparire, a tal fine, per il successivo 7 giugno 2012.
In tale data, i delegati della contribuente, recatisi presso la citata Agenzia, depositavano una memoria corredata da documentazione a giustificazione delle operazioni bancarie per le quali erano stati chiesti i chiarimenti.
Nella memoria in questione, veniva specificato che la documentazione richiesta dalla contribuente al proprio istituto di credito non era ancora pervenuta per cui veniva formulata espressa riserva di consegnare quanto necessario a rispondere all’Ufficio non appena la banca avesse prodotto quanto richiestole.
In data 22 giugno 2012, l’Avv. L. produceva all’Ufficio ulteriore documentazione e forniva i chiarimenti in ordine ai versamenti effettuati sul proprio conto corrente bancario.
A seguito di tanto, l’Agenzia delle Entrate, in data 25 giugno 2012, emetteva un avviso di accertamento per recupero di Irpef, addizionali Irpef ed Iva per l’anno 2007 (notificandolo il successivo 28 giugno 2012) che era, previo improduttivo espletamento della procedura di reclamo prevista dall’articolo 17 bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, impugnato dalla contribuente.
Successivamente, l’Ufficio, riconoscendo in parte le ragioni espresse nelle memorie depositate, riduceva la pretesa fiscale notificando, in data 13 novembre 2012, un secondo avviso di accertamento che annullava e sostituiva il primo, sia perché recepiva parte delle eccezioni mosse dalla contribuente, sia perché rettificava un errore materiale di calcolo commesso nel primo avviso.
Anche tale secondo avviso di accertamento veniva impugnato dall’avv. L. e, nelle more della fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso prodotto avverso tale secondo avviso, la CTP di Bari, con la sentenza n. 21/17/13 del 28 gennaio – 18 febbraio 2013, dichiarava cessata la materia del contendere sul primo avviso, per intervenuta autotutela dell’A.f.
Nel gravame interposto avverso il secondo avviso, la contribuente eccepiva:
1. l’illegittimità dell’atto impositivo per consumazione del potere di accertamento in violazione degli articoli 38, 39 e 43 del D.P.R. n. 600 del 1973;
2. l’illegittimità dell’atto impositivo per violazione delle regole sul procedimento di accertamento per imperfetta instaurazione del contraddittorio procedimentale;
3. l’illegittimità dell’atto per violazione dell’art. 12, comma 5, della L. n. 212 del 2000 per mancato rispetto del termine previsto per la complessiva durata della verifica;
4. l’illegittimità dell’avviso per violazione dell’articolo 12, ultimo comma, della L. n. 212 del 2000 per mancata redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni e per mancata concessione del termine procedimentale a difesa con violazione dell’articolo 6, comma 5, della medesima L. n. 212 del 2000, per mancata instaurazione del contraddittorio prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento;
5. l’illegittimità dell’atto per ingiustificata riduzione dei termini procedimentali di difesa, con violazione anche dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’articolo 51, del D.P.R. n. 633 del 1972;
6. l’illegittimità dell’avviso per violazione dell’articolo 7 della L. n. 212 del 2000, dell’articolo 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’articolo 56 del D.P.R. n. 633 del 1972, per vizio di motivazione;
7. l’illegittimità dell’atto per violazione e falsa applicazione dell’articolo 39, commi 1 e 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’articolo 54 del D.P.R. n. 633 del 1972;
8. l’illegittimità dell’accertamento per omessa o erronea valutazione degli elementi probatori emersi;
9. l’illegittimità dell’atto impositivo per assoluto difetto di prova dell’accertamento effettuato;
10. l’illegittimità dell’atto impositivo per erroneità del metodo seguito quanto alla determinazione dei supposti compensi accertati;
11. l’erroneità nella quantificazione delle sanzioni effettuato in violazione delle regole indicate dal D.Lgs. n. 472 del 1997.
Per tali motivi l’Avv. L. chiedeva l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, e/o la dichiarazione di nullità dello stesso, con in subordine la riduzione dell’ammontare dei maggiori imponibili accertati, sia con riferimento alle imposte, sia alle sanzioni. Chiedeva la rifusione delle spese di giudizio, incluso il rimborso delle spese sostenute per il rilascio della documentazione bancaria.
Si costituiva l’Agenzia delle Entrate con controdeduzioni del 14 giugno 2013 con le quali contestava puntualmente ogni singolo motivo del ricorso, chiedendone il suo rigetto e la condanna di controparte alle spese del giudizio.
La Commissione Tributaria Provinciale di Bari, con la sentenza n. 80/1/14 dell’11 novembre 2013 – 14 gennaio 2014, rigettava tutte le doglianze sollevate, in diritto, dalla contribuente ed accoglieva parzialmente, nel merito, il ricorso da questa prodotto riducendo ad Euro 6.900 i maggiori compensi accertati. In virtù dell’accoglimento parziale compensava integralmente le spese del giudizio.
La decisione in questione è ora impugnata dalla contribuente che ne denuncia sia il difetto di pronunzia su alcuni punti della domanda, sia altri errori compiuti dai Giudici di primo grado.
In particolare, l’avv. L. eccepisce l’error in judicando sui punti già indicati nel ricorso prodotto alla CTP e riportati ai precedenti nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 nonché il difetto di pronunzia sia sulla dedotta illegittimità dell’atto impositivo per erroneità del metodo seguito quanto alla determinazione dei supposti compensi accertati, sia sulla dedotta illegittimità della determinazione e quantificazione delle sanzioni.
Esponendo, con ampie argomentazioni, i motivi per i quali i Giudici di prime cure sarebbero incorsi nelle violazioni indicate, conclude chiedendo la riforma della sentenza impugnata nella parte ad essa sfavorevole, con conseguente annullamento in toto dell’accertamento di cui è causa e/o riduzione di quanto accertato, con vittoria di spese per entrambi i gradi di giudizio.
L’Agenzia delle Entrate di BAT si costituisce con apposite controdeduzioni con le quali illustra i motivi per i quali si debbano rigettare le eccezioni mosse da controparte e produce appello incidentale avverso la parte della sentenza che riduce i maggiori compensi accertati. Chiede, per tale motivo, il rigetto dell’appello principale, la riforma della sentenza impugnata con il conseguente accoglimento dell’appello incidentale e la condanna di controparte alle spese di giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Fra i diversi motivi di diritto sollevati dall’appellante principale, questa Commissione ritiene dover affrontare, preliminarmente, quello riguardante la dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della L. n. 212 del 2000, laddove la contribuente ha chiesto a questo Giudice di verificare la legittimità di un avviso di accertamento non preceduto dalla comunicazione del p.v.c. di chiusura delle operazioni di verifica, presupposto essenziale per assicurare l’attuazione dei principi costituzionalmente rilevanti della partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento tributario e del diritto di difesa.
Il problema deve essere affrontato ricordando, dapprima, che l’art. 24 della L. n. 4 del 1929 dispone che “La violazione delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”.
La norma appena richiamata, nonostante certamente datata, si deve ritenere sia di indubbia attualità poiché pone in chiara evidenza la portata del pvc nella formazione dell’accertamento dell’imposta in quanto i verbalizzanti, per dare contezza del rispetto del principio di trasparenza che deve essere alle basi dei rapporti tra Erario dello Stato e contribuente, devono riassumere e riepilogare, in esso pvc, i risultati dei controlli svolti. Sia sufficiente, a tal proposito, ricordare il costante orientamento della Corte di Cassazione che da tempo ha precisato “il processo verbale di constatazione è atto che si inserisce nell’attività istruttoria espletata dall’Amministrazione finanziaria dovendo dare conto delle prove che giustificano l’emissione dell’avviso di accertamento (o di rettifica) che conclude il procedimento di imposizione” (ex multis, Cassazione, 28 aprile 1998, n. 4312).
Quanto appena indicato – redazione del pvc e, successivamente, dell’avviso di accertamento – ha assunto ancora maggiore rilevanza dopo l’adozione dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000) e, in particolare, a seguito della previsione contenuta nel comma 7 dell’art. 12 dello Statuto, che distingue nettamente la fase del controllo (che termina con la redazione del pvc) dalla fase impositiva (che sfocia, eventualmente, con la redazione e successiva notifica dell’avviso di accertamento).
La norma da ultimo richiamata, infatti, stabilisce che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Sulla base di tali premesse, appare utile rilevare che la Corte di Cassazione (Cass., 16 settembre 2011, n. 18906 e Cass., 5 ottobre 2012, n. 16999), nello stabilire che è nullo l’avviso di accertamento emesso prima di 60 giorni dalla conclusione delle indagini (orientamento ribadito da Cass., 29 luglio 2013, n. 18184 e da Cass., 17 aprile 2015, n. 7843), ha altresì evidenziato che la nullità deve trovare applicazione non solo allorquando sia stato svolto l’accertamento attraverso un accesso, una ispezione o una verifica presso i locali ove il contribuente svolge la propria attività, ma anche nei casi in cui essa Agenzia si sia limitata unicamente a valutare la posizione fiscale del soggetto soltanto attraverso un semplice esame di documenti e richiesta di chiarimenti, come nel caso di specie; l’orientamento dei Giudici di legittimità trova il suo fondamento in considerazione della genericità del termine “verifica” e dell’insussistenza di distinzioni da parte della normativa tra verifica “interna” (cosiddetta “a tavolino”) e verifica “esterna”.
Oggi tale orientamento è seguito anche dalla Corte di Cassazione in altre sue pronunzie; ed infatti la Suprema Corte – nel richiamare, tra gli altri, anche l’art. 12 della L. n. 212 del 2000 ha individuato la legittimità della pretesa tributaria nella “formazione procedimentalizzata di una decisione partecipata mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra Amministrazione e contribuente (anche) nella fase precontenziosa o endo-procedimentale, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’Amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.” (Cass., 18 settembre 2014 nn. 19667 e 19668).
A tale posizione ritiene dover aderire questa Commissione in quanto, se così non fosse, si creerebbe fra i contribuenti una illogica disparità di tutela che dipenderebbe solo e soltanto dalla scelta unilaterale dell’A.E. sul luogo di effettuazione del controllo, in spregio al codificato principio di collaborazione tra Amministrazione e contribuente.
Non solo. La scelta assolutamente discrezionale nell’operare un accertamento a tavolino anziché presso la sede del contribuente avrebbe conseguenze anche economico-finanziarie su quest’ultimo poiché egli si ritroverebbe – in assenza di redazione di pvc – con un avviso di accertamento – peraltro immediatamente esecutivo – senza aver avuto la possibilità di definizione (del pvc) concessagli dall’art. 5 bis del D.Lgs. n. 218 del 1997.
Da quanto sinora esposto ne deriva, quindi, che il divieto di emanazione di atti impositivi prima dei 60 giorni, decorrenti dalla data di conclusione delle indagini da formalizzarsi in apposito p.v.c. (da notificare al contribuente) deve trovare applicazione qualunque sia l’attività di controllo posta in essere dall’A.f. e, dunque, sia in caso di verifica “interna”, che in caso di verifica “esterna”.
Conclusione, quella appena rassegnata, che si, allinea perfettamente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE, sentenza Sopropé – Organizações de Calçado Lda c/ Fazenda Pública (C-349/07 del 18 Dicembre 2008), secondo la quale il destinatario di una decisione a lui lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata (allo scopo) di mettere l’autorità competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a queste ultime di correggere un errore o di far valere elementi relativi alla loro situazione personale, tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro (alle stesse conclusioni giunge la Corte di Giustizia UE nella cause riunite C-129/13 e C-130/13, sez. V, 3 luglio 2014, International Logistics BV e Datema Hellman Worldewidw LogisticsBV c/ Staats-secretaris van Financiën).
D’altra parte, il rispetto dei diritti della difesa, di cui il diritto al contraddittorio è parte, assume centralità nel diritto dell’Unione Europea in quanto sancito non solo dagli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, bensì anche dall’art. 41 della Carta medesima, il quale prevede, al par. 2, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo. L’obbligo correlato “incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità” (Corte Giust. UE Sopropé, citata, nonché Corte Giust. UE, 10 settembre 2013, causa C-383/13, M.G. ed N.R. c/Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie).
Come è stato già fatto notare in altre occasioni nelle quali si sono esaminate le suddette sentenze comunitarie (C.T. Prov. Ascoli Piceno 22 aprile 2014, n. 384/2/14). “La pronuncia muove dall’affermazione che il diritto di difesa, in quanto principio generale del diritto comunitario, deve trovare applicazione ogni volta che l’Amministrazione si proponga di adottare un atto capace di produrre effetti rilevanti nella sfera giuridica del destinatario. In forza di tale principio. “i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente””.
Ed alle stesse conclusioni giunge anche la giurisprudenza tributaria di merito prevalente (CTP La Spezia, 24 aprile 2015, n. 441/2/15, CTR Lombardia, 27 giugno 2014, n. 3467/1/14, CTP Varese, 21 marzo 2014, n. 174/5/14, CTR Sardegna, 24 maggio 2012, n. 27/1/12, CTR Toscana, 26 settembre 2012, n. 117/8/12, CTR Lombardia, 27 gennaio 2012, n. 4/12/12, CTR Lombardia, 23 febbraio 2011, n. 38/38/11; CTR Piemonte, 9 febbraio 2011, n. 9/14/11, CTR Lazio, 27 gennaio 2011, n. 40/4/11, CTP Bari, 12 gennaio 2011, n. 20/2/11, CTR Lombardia, 16 dicembre 2010, n. 150/22/10; CTP Reggio Emilia, 18 ottobre 2010, n. 173/1/10, CTP Brescia, 1 marzo 2010, n. 535/7/10; CTR Sicilia, 18 gennaio 2010, n. 16/14/10; CTR Liguria, 18 gennaio 2010, n. 10/12/10; CTR Toscana, 22 settembre 2009, n. 96/29/09; CTR Friuli-Venezia Giulia, 13 luglio 2009, n. 58/1/09; CTP Mantova, 19 febbraio 2009, n. 15/1/09, CTR Toscana, 23 ottobre 2009, n. 68/8/09, CTP Milano, 18 novembre 2008, n. 303).
Questa Commissione, deve riconoscere, però, che la questione dell’obbligatorietà della redazione di un pvc soltanto nel caso di verifiche esterne è oggetto di una vivace disputa giurisprudenziale di legittimità; al tempo stesso, però, ritiene doveroso sottolineare che la questione è stata rimessa alle SS.UU. della Corte di Cassazione con l’ordinanza emessa dalla sez. VI, 14 gennaio 2015, n. 527, nella quale, però i Giudici remittenti prendono assoluta posizione nel senso indicato da questa Commissione, allorquando affermano che “l’opzione ermeneutica più lineare per garantire il contraddittorio processuale, nei termini delineati dalla sentenza n. 1968/14, nei procedimenti di verifica c.d. “a tavolino” sia quella di applicare anche a tali verifiche il disposto dell’articolo 12, comma 7, L. n. 212 del 2000. Non si tratterebbe di una interpretazione estensiva dell’articolo 12, comma 7, L. n. 212 del 2000 (la quale presupporrebbe una inammissibile interpretatio abrogans delle parole: “nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali… etc. ” contenute nel primo comma dello stesso articolo) ma di un interpretazione analogica tendente a colmare la lacuna di regolazione del contraddittorio endoprocedimentale nelle verifiche “a tavolino “, utilizzando la norma dettata per il diverso (ma analogo) caso delle verifiche in loco. In tal modo le verifiche “a tavolino” risulterebbero equiparate, quanto a garanzia del contraddittorio endoprocessuale, alle verifiche presso i locali del contribuente. Tale prospettiva, può aggiungersi, risulterebbe del tutto coerente col principio, enunciato nella sentenza n. 19668/14 (ed in ipotesi riconfermato nell’emananda pronuncia delle Sezioni Unite), dell’esistenza di un dovere generale dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, anche in difetto di una espressa disposizione di legge, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente. Detta prospettiva supererebbe, infatti, l’orientamento, finora prevalente nella giurisprudenza della Corte, che individua la ratio della garanzia del contraddittorio ex art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000 nella necessità di temperare lo squilibrio che si determina tra Ufficio e contribuente a causa dell’accesso di personale ispettivo nei luoghi di pertinenza del contribuente medesimo e trasferirebbe detta garanzia dall’ambito del potere di indagine (e dell’esercizio di tale potere mediante accessi) all’ambito del potere di accertamento del tributo (e del risultato dell’esercizio di tale potere, ossia la conseguente pretesa erariale)”.
Sulla base degli indicati presupposti, nel caso sottoposto al giudizio di questa Commissione, si rileva che:
– l’A.E ha chiesto alla contribuente, in data 17 maggio 2012, chiarimenti in ordine ad alcune poste riguardanti i versamenti ed i prelevamenti da essa effettuati sul proprio c/c bancario negli anni 2007 e 2008, invitandola a comparire, a tal fine, per il successivo 7 giugno 2012.
– In tale data, è stata depositata una memoria corredata da documentazione a giustificazione delle operazioni bancarie per le quali erano stati chiesti i chiarimenti, con la specificazione che la documentazione richiesta dalla contribuente al proprio istituto di credito non era ancora pervenuta per cui veniva formulata espressa riserva di consegnare quanto necessario a rispondere all’Ufficio non appena la banca avesse prodotto quanto richiestole;
– In data 22 giugno 2012, l’Avv. L. ha prodotto all’Ufficio ulteriore documentazione, fornendo chiarimenti in ordine ai versamenti effettuati sul proprio conto corrente bancario.
– Solo dopo 3 giorni, e più precisamente in data 25 giugno 2012, l’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento per recupero di Irpef, addizionali Irpef ed Iva per l’anno 2007, notificandolo il successivo 28 giugno, senza procedere alla redazione di alcun pvc (avviso, come detto, successivamente annullato in autotutela e sostituito da quello oggetto di discussione).
La mancanza di un verbale che raccolga le richieste fatte e le risposte ricevute in occasione della consegna della documentazione del 22 giugno 2012, in più, contrasta con il disposto dell’art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. n. 600 del 1972 e con quello dell’art. 51, comma 2, n. 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, laddove viene previsto che, proprio in occasione delle indagini finanziarie, il contraddittorio deve risultare da un processo verbale.
Né è dato di comprendere la necessità, per l’Agenzia delle Entrate, di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento (il primo) a soli tre giorni (25 giugno 2012) dalla consegna della documentazione da parte della contribuente (22 giugno 2012), atteso che il termine di decadenza per la notifica dell’accertamento dei redditi 2007 scadeva il 31 dicembre 2012.
Se, invece, l’Ufficio, avesse provveduto a redigere il dovuto pvc, dando così il tempo alla contribuente di contestarne nei 60 gg. successivi la fondatezza, avrebbe potuto prendere atto delle legittime considerazioni svolte da quest’ultima solo in sede di reclamo ex art. 17 bis, D.Lgs. n. 546 del 1992 ed evitare l’annullamento del primo avviso e la sua sostituzione con il secondo.
In altre parole, la mancata redazione di un pvc anteriormente all’emissione dell’avviso di accertamento non ha dato la possibilità al contribuente – ed in tanto si rinviene la violazione dell’art. 12, comma 7 della L. n. 212 del 2000 – di fare presente all’Ufficio, nel termine dei 60 gg, l’esistenza di elementi validi a ridurre la pretesa fiscale; se ciò fosse stato fatto, la pretesa dell’A.E., così come è stato, sarebbe stata minore, con indubbie benefiche conseguenze per il contribuente (mancato pagamento del doppio contributo unificato per l’impugnazione sia del primo che del secondo avviso di accertamento, esistenza di un atto parzialmente provvisoriamente esecutivo per importi maggiori di quelli dovuti, impossibilità di accesso ad istituti di definizione agevolata premiali, ecc.).
Tanto conferma, qualora ve ne fosse ancora la necessità, la bontà delle conclusioni rassegnate in tema di obbligo di redazione di un pvc sia in caso di verifica “a tavolino”, che in caso di verifica “esterna”.
Sulla scorta delle considerazioni svolte, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, di quella della Corte di Cassazione e delle commissioni tributarie di merito, nonché per effetto dell’art. 41 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 2000 (recepita a rango di principio di diritto primario comunitario con l’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea del dicembre 2009) e dell’art. 12 della L. n. 212 del 2000, l’eccezione sollevata dall’appellante principale risulta fondata e va, conseguentemente, accolta, con l’assorbimento di tutti gli altri motivi di doglianza.
Considerato che la giurisprudenza in materia di contraddittorio procedimentale tra A.f. e contribuente è, in parte, ancora in evoluzione, si dispone la compensazione delle spese di giudizio, con la esclusione di quelle anticipate dalla contribuente a titolo di contributo unificato e di spese da questa sostenute per l’ottenimento della documentazione bancarie.
P.Q.M.
La Commissione, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie l’appello principale della contribuente e rigetta quello incidentale dell’Ufficio. Condanna quest’ultimo alla rifusione delle spese anticipate dalla contribuente per il versamento del contributo unificato nei due gradi di giudizio, pari ad Euro 150,00 (Euro 120 + Euro 30) e per quelle sostenute per l’ottenimento della documentazione bancaria, pari, complessivamente, ad Euro 796,80 (714,16 + 82,64).
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