COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del Lazio sezione 39 sentenza n. 32 del 24 gennaio 2013
IVA – COMPRAVENDITA IMMOBILE – VALORE DEL MUTUO SUPERIORE AL PREZZO DICHIARATO- DISCRASIA CON IL PREZZO DICHIARATO NELL’ACQUISTO – NON E’ PROVA DI EVASIONE
massima
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Il valore del mutuo superiore al prezzo dichiarato nella compravendita di un immobile non è mai prova di evasione fiscale; per avvalorare un accertamento tributario sono necessari ulteriori elementi di riscontro, oltre il mutuo, che giustifichino il maggior valore attribuito alla transazione. Il mutuo può essere stato contratto in misura superiore al corrispettivo pattuito, per finanziare altre spese accessorie o per eventuali arredi. Per procedere a un accertamento fiscale, dunque, l’importo del mutuo rappresenta un mero indizio, un punto di partenza al quale l’amministrazione finanziaria ha l’onere di affiancare ulteriori riscontri, quali ad esempio contratti preliminari da cui risultino importi diversi rispetto ai rogiti, documentazione extra contabile o dati bancari da cui risultino movimentazioni eccedenti il dichiarato. Se il mutuo erogato per l’acquisto di un immobile è superiore al prezzo dichiarato nell’atto notarile, tale circostanza non giustifica, da sola, un accertamento fiscale; è tuttavia opportuno specificare nel contratto di mutuo che parte delle somme sono destinate a spese extra.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La soc. E.A. 3 O. srl si opponeva all’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate di Frosinone aveva determinato per l’anno 2004, il maggior importo di euro 168.406,00, per mancata contabilizzazione di ricavi, recuperando nei confronti della predetta società la maggior imposta ai fini IRES – IRAP – IVA, oltre a interessi e sanzioni.
L’avviso veniva notificato sia alla società che al legale rappresentante di essa, sig.ra F.M.
Analogo avviso di accertamento veniva notificato sempre alle stesse parti per l’anno di imposta 2005 per cui, visto la connessione oggettiva e soggettiva, su richiesta delle parti, la CTP di Frosinone provvedeva preliminarmente riunire i ricorsi per poi rigettarli, con condanna in solido alle spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Giova premettere che la soc. E.A. 3 O. srl operante nel settore dell’edilizia, era stata fatta oggetto di una verifica della Guardia di Finanza, che aveva accertato con il redatto p.v.c., che alcune operazioni di compravendita di unità immobiliari riportavano mutui accesi dagli acquirenti superiori ai prezzi di cessione indicati negli atti. Nasceva da qui la convinzione dei militari accertatori e dall’Ufficio che il reale valore del contratto fosse quello indicato dal maggior importo del mutuo e non da quello dichiarato nel rogito. Quindi, nel caso, si era in presenza di una omessa fatturazione, da parte della società alienante, ossia della soc. E.A., relativa alla differenza tra i due valori. Tale rilievo ha consentito all’Ufficio di procedere, a mezzo dell’odierno accertamento, al recupero dell’imposta evasa.
Le contestazioni dell’Ufficio avverse le censure formulate dalla società con il ricorso introduttivo, venivano condivise dal giudice di primo grado che rigettava i ricorsi riuniti.
La contribuente con l’appello odierno censura la ricostruzione operata dall’Ufficio, sostenendo che essa si pone in aperto contrasto con la previsione normativa di cui all’art. 15 del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, (convertito in Legge n. 85/95 ed abrogato dall’art. 35, comma 4, del D.L. n. 223/06), la quale a sua volta, per l’accertamento dei contratti stipulati antecedentemente all’entrata in vigore del D.L. n. 223/2006, richiamava l’art. 52, comma 4 del D.P.R. n. 131/86.
L’Ufficio formula una serie di eccezione, compresa quella d’inammissibilità dell’appello per carenza di censure in ordine alla verificata sottofatturazione.
Alla luce di quanto emerge dagli atti di causa, parrebbe sufficiente riportarsi alla normativa vigente all’epoca dell’accertamento, ossia al disposto dell’art. 15 D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, e all’art. 52, comma 4, D.P.R. n. 131/86.
Ma a dissipare l’antinomia è intervenuta la risoluzione n. 248/E del 17 giugno 2008, che in tema di “prova del valore normale nei trasferimenti immobiliari soggetti ad Iva finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari erogati per importi superiori al costo di acquisto” ha affermato che “l’importo del mutuo può essere maggiore del valore indicato nell’atto di compravendita”.
È quanto dichiarato dall’Agenzia in risposta ad un quesito posto da un contribuente che chiedeva quale importo deve essere indicato in fattura e in sede di stipulazione del contratto di compravendita nel caso di un acquisto in cui il cessionario stipuli un contratto di mutuo per un importo superiore al costo dell’immobile al fine di sostenere anche le spese accessorie alla compravendita.
La disposizione chiarisce che in sede di accertamento è sempre possibile fornire prova che l’ammontare del finanziamento rilevante ai fini della determinazione del valore normale è solo parte di quello risultante dall’operazione di credito, ovvero che questo non è finalizzato all’acquisto dell’immobile.
L’Agenzia, inoltre, ha fatto presente che in riferimento anche all’ultima finanziaria (2007), nonostante l’entità minima del valore normale dei trasferimenti immobiliari soggetti a Iva (finanziati mediante mutui) risulti individuata ex lege, non determina un’equiparazione assoluta tra importo del finanziamento e valore normale, destinata a valere indipendentemente dai criteri fissati dall’art. 14 del D.P.R. n. 633/72. Ciò significa che l’Amministrazione non è vincolata dal criterio dell’importo del finanziamento in tutti quei casi in cui il valore normale, determinato ex art. 14 D.P.R. n. 633/72, risulti superiore all’ammontare delle sottostante operazioni di credito. Se il cessionario stipula un contratto di mutuo bancario per un importo superiore al corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita al fine di sostenere anche altre spese relative all’acquisto dell’immobile, in sede di accertamento è sempre possibile fornire prova che l’ammontare del finanziamento rilevante ai fini della determinazione del valore normale è solo parte di quello risultante dall’operazione di credito ovvero che lo stesso non è finalizzato all’acquisto dell’immobile.
Chiarito questo, l’Agenzia ha fatto presente che la cessione dell’immobile non può essere fatturata per l’importo corrispondente al valore del finanziamento, ma al valore effettivamente pattuito fra le parti e che, al fine di superare la presunzione del maggiore imponibile, occorre conservare con cura la documentazione che prova l’effettiva destinazione delle somme eccedenti.
L’Agenzia conclude ribadendo che nell’atto di compravendita deve essere indicato il corrispettivo effettivamente pattuito tra le parti e l’IVA deve essere assolta sulla base dell’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente, secondo le condizioni contrattuali.
A parere di questo consesso, tale disposizione, ben aderendo alla controversia in esame, sovrasta le motivazioni poste a sostegno dell’atto impugnato, rendendo lo stesso nullo.
Pertanto, atteso quanto argomentato l’appello della società contribuente appare fondato e va accolto. Le altre domande s’intendono assorbite.
La complessità e la difformità della pronuncia rispetto a quella di primo grado, giustificano la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
In riforma della sentenza di primo grado, accoglie l’appello del contribuente. Spese compensate.
Così deciso in Latina il 10 ottobre 2012.
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