COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della Lombardia sezione VI sentenza del 10 gennaio 2013
ACCERTAMENTO – REDDITI D’IMPRESA – ACCERTAMENTO INDUTTIVO EX ART. 39, PRIMO COMMA, D.P.R. N. 600/1973 – PRESUPPOSTI – COMPORTAMENTO ANTIECONOMICO DEL CONTRIBUENTE – REITERATI RISULTATI NEGATIVI – PALESE COMPORTAMENTO CONTRARIO AI CANONI DELL’ECONOMIA – ESCLUSIONE – AVER FIDUCIA IN TEMPO DI CRISI NON E’ UN COMPORTAMENTO ANTIECONOMICO CONSEGUENZE – ANNULLAMENTO DELL’ACCERTAMENTO PRESUNTIVO
massima
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In tema di sindacato dell’Amministrazione finanziaria del comportamento e delle scelte del contribuente titolare di reddito d’impresa, la circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell’imposta sul reddito, per più anni di seguito perdite, non è di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973. A parte la semplice considerazione della illegittimità di un accertamento basato sul semplice sospetto non suffragato da alcun altro elemento concreto, si deve rilevare che l’illogicità di un comportamento definito dall’ufficio antieconomico, va contestata in astratto ed in fatto. Ne consegue, che il giudice di merito, può annullare l’accertamento, con argomenti validi, nei quali spieghi le ragioni per le quali ritiene che il comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie. Non è contrario alla logica il comportamento dell’imprenditore che, in presenza di segnali, anche lievi, positivi, insista nell’attività svolta, confidando nella cessazione degli elementi di crisi negativi e nella ripresa anche economica.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto ritualmente proposto in data 15.03.2010 il legale rappresentante della Società Manufatti Industrie Speciali S. s.r.l., contribuente ricorreva contro l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, ufficio di Magenta, con il quale in applicazione degli studi di settore venivano accertati per l’anno 2004 maggiori ricavi per complessivi euro 107.847,00.
Eccepiva il ricorrente in primo luogo la decadenza dell’ufficio dal potere di accertamento, essendo stato a suo avviso notificato l’atto oltre il termine previsto dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972. Eccepiva quindi la nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione, non avendo l’ufficio evidenziato i motivi per i quali erano state disattese le giustificazioni addotte in sede di contraddittorio. La ricorrente aveva evidenziato: di svolgere attività di produzione della base di altri prodotti industriali; di aver subìto nel 2004 una contrazione della domanda; di aver sostenuto costi inerenti all’attività; di aver mantenuto i sei dipendenti in forza lavoro non potendo metterli in cassa integrazione; di aver utilizzato tutti i dipendenti con una conseguente non coerenza della produttività per addetto.
A fronte di tali giustificazioni, l’ufficio non aveva indicato gli elementi gravi precisi e concordanti dai quali desumere l’esistenza di attività non dichiarate. Eccepiva inoltre l’infondatezza dell’accertamento che non aveva tenuto conto dei mutamenti intervenuti dal 1999, data di approvazione dello studio di settore specifico, al 2004, anno oggetto dell’accertamento, di non aver considerato la concreta composizione della forza lavoro della società ricorrente, la circostanza che essa non aveva svolto attività a tempo pieno, che l’attività nel settore era influenzata dalla moda, che le incongruenze rilevate non potevano qualificarsi gravi, come richiesto dalla legge. Affermava, poi, che anche il comportamento antieconomico, effetto della libera determinazione dell’imprenditore, da solo non poteva costituire una presunzione precisa, grave e concordante.
Eccepiva, quindi, l’illegittimità costituzionale della norma dell’art. 62-bis del D.L. n. 331/1993 per violazione degli artt. 23, 24 e 53 della Costituzione. Eccepiva, infine, l’illegittimità del provvedimento di irrogazione delle sanzioni, perché privo della motivazione richiesta dall’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997 in ordine alla gravità della violazione, alla condotta dell’agente e alla personalità dell’autore.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano con la sentenza in data 25.05.2011 ha respinto il ricorso, rilevando che la ricorrente in sede di contraddittorio non aveva fornito giustificazioni valide del discostamento dei ricavi dichiarati da quelli presumibili in base agli studi di settore e aveva mantenuto negli anni 2002/2004 una situazione apparente di antieconomicità della gestione, che faceva ritenere possibile la violazione delle disposizioni tributarie.
Ha proposto appello la ricorrente contestando in primo luogo la carenza di motivazione della sentenza di primo grado, che ha ritenuto sufficiente motivazione dell’avviso di accertamento il semplice riferimento agli studi di settore, diversamente da quanto sancito dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte. Ha riproposto, quindi, le affermazioni svolte nel ricorso introduttivo in ordine alla attualità dello studio di settore utilizzato, alla concreta situazione della forza lavoro dell’impresa, allo svolgimento dell’attività, alla ininfluenza del comportamento antieconomico, alla individuazione dei ricavi fondatamente desumibile dagli studi di settore con riferimento alla situazione concreta, con onere probatorio a carico dell’ufficio, eccezioni non valutate dai primi giudici.
Si è costituito in giudizio l’ufficio con atto depositato il 30.03.2012, contestando puntualmente le censure mosse dall’appellante. In via preliminare ha rilevato che, a norma dell’art. 56 del D.Lgs. n. 546/1992 è da ritenere che il contribuente abbia rinunciato all’eccezione relativa alla decadenza dal potere di accertamento, non essendo essa stata riproposta nei motivi di impugnazione. Sul valore delle presunzioni derivanti dall’applicazione degli studi di settore ha fatto riferimento alla giurisprudenza della Suprema Corte consolidatasi nel senso che gli studi di settore costituiscono una presunzione semplice, che attraverso l’instaurazione del contraddittorio assume i requisiti di gravità, precisione e concordanza e determina a carico del contribuente l’onere di fornire prova contraria.
In ordine alla eccezione di carenza di motivazione dell’atto e conseguentemente della sentenza di primo grado ha rilevato che nel verbale di contraddittorio e nell’avviso di accertamento sono esplicitate le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dalla ricorrente: da un lato non sono state sollevate contestazioni sulla corretta imputazione del cluster di riferimento; dall’altro non sono state provate cause particolari che abbiano influito negativamente sullo svolgimento dell’attività ed anzi dalla documentazione esaminata è emersa una situazione di costante antieconomicità protratta negli anni, che non ha trovato alcuna giustificazione. Sul punto la contribuente non ha fornito alcuna spiegazione sulle dinamiche aziendali che l’hanno portata a tenere aperta l’azienda in tale situazione, circostanza che induce a ritenere che essa sia stata sostenuta attingendo a risorse finanziarie non dichiarate.
Il collegio osserva che va, innanzi tutto, preso atto della rinuncia dell’appellante alla eccezione di decadenza dal potere di accertamento per intempestività, non essendo stata riproposta tale questione nell’atto d’appello.
Infondata appare poi l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione, apparendo evidente dal contenuto dell’atto che con esso si contestava alla ricorrente, a fronte delle giustificazioni addotte in contraddittorio, l’antieconomicità della gestione d’azienda protrattasi nel tempo.
È proprio nel merito di tale contestazione che l’appello merita accoglimento. L’ente accertatore, invero, non ha disconosciuto la effettività delle circostanze (crisi del settore, concreta situazione aziendale, composizione della forza-lavoro, etc.) addotte dalla ricorrente, ma ha affermato l’illogicità di una gestione aziendale economica in perdita protrattasi nel tempo, tale che avrebbe dovuto indurre l’accorto imprenditore alla liquidazione della società e alla cessazione dell’attività. Da tale fatto, apparentemente illogico, ha tratto il sospetto dell’esistenza di proventi non dichiarati.
A parte la considerazione della illegittimità di un accertamento basato sul semplice sospetto non suffragato da alcun altro elemento concreto, si deve rilevare come proprio l’illogicità di comportamento denunciata dall’ufficio va contestata in astratto ed in fatto. Come riconosciuto dallo stesso ufficio, infatti, nell’anno 2002 la società ricorrente aveva dichiarato un andamento di gestione economica positivo, sia pure in misura non eclatante, mentre negli anni successivi 2003 e 2004 (è questo l’anno di riferimento da tenere in considerazione) l’andamento economico era stato negativo, pur a fronte di un incremento del fatturato. Orbene, ritenere che un imprenditore dimostri saggezza se, a fronte di elementi contingenti concreti di crisi da un lato e dall’altro di pur lievi indici di aumento dell’attività produttiva, provveda subito al primo o secondo anno di risultato economico negativo a dismettere l’attività svolta – con tutte le conseguenze anche sociali del caso – è contrario alla logica e alla esperienza concreta del mondo del lavoro. È invece coerente il comportamento dell’imprenditore che, in presenza di segnali anche lievi positivi, insista fino ai limiti dell’irragionevolezza – che non appaiono essere stati superati nel caso concreto – nell’attività svolta, confidando nella cessazione degli elementi di crisi negativi e nella ripresa anche economica. Da ciò discende che il solo dato negativo dell’andamento economico non è idoneo a sorreggere il provvedimento di accertamento.
La complessità della vicenda giustifica la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La commissione, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie l’appello del contribuente. Spese compensate.
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