COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Puglia sez. 6 sentenza n. 337 depositata il 3 febbraio 2017
Ires – Contributi regionali ad ente ecclesiastico – Qualificazione ai fini della deducibilità degli interessi passivi.
Massima:
I contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche ad enti non commerciali per lo svolgimento di attività in regime di convenzione, in quanto proventi esclusi che non concorrono alla formazione del reddito d’impresa, sono riconducibili nell’ambito della previsione di cui all’art. 61 del tuir e, dunque, includibili sia al numeratore che al denominatore del rapporto di deducibilità pro-quota degli interessi passivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale della Puglia Ufficio Contenzioso, in data 28.02.2014 notificava all’ “Ente Ecclesiastico XXX” di Acquaviva delle Fonti (d’ora in poi “Ente”), gli avvisi dì accertamento n. TUB—/2014 relativo all’anno d’imposta 2009, n. TUB—/2014 relativo all’anno d’imposta 2010 e n. TUB040200007/2014 relativo all’anno d’imposta 2011 con i quali ha censurato l’erronea deduzione, ai fini Ires, di interessi passivi per complessivi euro 7.731.288,00 per violazione delle disposizioni contenute nell’art. 61 del DPR 22 dicembre 1986 n° 917.
Più specificamente, con l’avviso veniva contestata la non corretta qualificazione, ai fini della determinazione del rapporto dì deducibilità (pro-rata) degli interessi passivi ex art. 61 cit. dei contributi erogati all’Ente dalla Regione Puglia per lo svolgimento – in regime di convenzione – di servizi di assistenza sanitaria, contributi detassati ex art.143, comma 3 lett b) del TUIR. Secondo la tesi dell’Ufficio i contributi regionali non avrebbero dovuto essere computati (anche) al numeratore del rapporto di deducibiità degli interessi passivi, perché non rientranti nella categoria dei proventi esclusi.
L’Ente impugnava i suddetti avvisi di accertamento chiedendone l’annullamento per violazione e falsa applicazione dell’art. 61 TUIR, nullità degli avvisi per grave carenza motivazionale e illegittimità delle sanzioni.
L’A.F. si costituiva nel giudizio e resisteva al ricorso, di cui chiedeva il rigetto.
L’adita Commissione con sentenza n. 121/10/15 del 22.01.2015, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva e, per l’effetto, annullava gli avvisi di accertamento.
Avverso la citata sentenza ha presentato appello l’Agenzia delle Entrate deducendone la illegittimità per i seguenti motivi: i) violazione e falsa applicazione dell’art. 61 del TUIR; 2) violazione dell’art. 32, secondo comma, n. 4 c.p.c. e dell’art. 36 del D.lgs 546/92 per mancata motivazione; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.Lgs. 472/97, dell’art. 3 del D.Lgs. 546/92 e dell’art. 10 della legge n. 212/00. Conclude per la riforma della impugnata sentenza con vittoria di spese.
Resiste l’Ente con atto di costituzione e controdeduzioni depositato in data 23.10.2015 con il quale contrasta puntualmente le avverse ragioni e argomentazioni, delle quali chiede il rigetto, con vittoria di spese.
Alla udienza pubblica del 13.01.2017 sono comparsi per l’Ente l’Avvocato L.P. e per 1’A.F. il Dott. F.M. i quali si riportano ai rispettivi scritti difensivi dei quali ne chiedono l’accoglimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello dell’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale della Puglia è infondato e va rigettato.
Nell’economia del giudizio assume rilievo assorbente la circostanza che la questione per cui è causa è già stata sottoposta all’esame di questa Commissione, che l’ha risolta con sentenza n. 925/6/2015 depositata il 27.04.2015, prodotta dall’appellato.
Questo collegio condivide pienamente l’iter logico di tale decisione, pienamente applicabile anche alla fattispecie concreta, vertendo tra le medesime parti, con la conseguenza che possono valere le considerazioni già espresse da questa medesima Sezione.
Ed invero, anche nel presente caso il giudice di prime cure ha dato adeguata contezza degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto, nonché dell’iter logico-deduttivo posti a fondamento della statuizione finale, con cui è stato accolto il ricorso del contribuente.
Di fatto, dopo aver dato conto delle rispettive tesi difensive sostenute dalle parti, ha affermato che i contributi regionali in questione, in quanto proventi esclusi che non concorrono alla formazione del reddito d’impresa, sono riconducibili nell’ambito della previsione di cui all’art. 61 del Tuir e, dunque, includibili sia al numeratore che al denominatore del rapporto di deducibilità pro-quota degli interessi passivi.
Ciò, in forza di una interpretazione letterale del citato art. 61 (nonché delle indicazioni contenute nella circolare 19/E del 2009, nella circolare Assonime n° 46 del 2009 e nelle disposizioni della legge 244/2007), rispetto alla quale non risultano evidenziati dall’Ufficio resistente idonei elementi motivazionali per non considerare nel rapporto i contributi della Regione Puglia, avuto riguardo, altresì, alla natura non commerciale dell’Ente.
Va poi rimarcato che è inconferente l’asserito “appiattimento del Giudice sulle argomentazioni difensive di parte”, poiché, in forza di quanto recentemente chiarito dalla Suprema Corte, ciò che rileva ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione non è la paternità o l’originalità dei contenuti sviluppati in sentenza, ma se il contenuto sia espressione del potere decisorio e la sua forma espositiva si connoti dei caratteri di logicità e congruenza giuridica di tal che la sentenza risulti sufficientemente ed idoneamente motivata. Ha affermato infatti la Corte di Cassazione che “Nel processo civile ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell’art.1 del D.lgs. 546/92, non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata. E’ inoltre da escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti”(Cass. 16.1.2015 n° 642).
Peraltro, la ritenuta riconducibilità dei contributi regionali nell’alveo dei ricavi/proventi esclusi trova supporto normativo nel dato testuale e nella ratio del combinato disposto del citato art. 61 del TUIR a mente del quale “Gli interessi passivi inerenti all’esercizio d’impresa sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanti esclusi e l’ammontare di tutti i ricavi e proventi” e del successivo art. 143 comma 3 lett b) ai sensi del quale “Non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art.73 b) i contributi corrisposti da Amministrazioni pubbliche ai predetti enti per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento di cui all’art.8, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n° 502, come sostituito dall’art.9, comma 1, lett g), del decreto legislativo 7 dicembre 1993 n. 517, di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi”. In senso conforme depone la relazione governativa al Dlgs n° 460 del 1997, modificativo. dell’art.143 del TUIR (prima art.108) nella quale è dato leggere testualmente: “la lettera b) del medesimo art. 2, comma 1, esclude dall’imposizione i contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche ad enti non commerciali per lo svolgimento di attività in regime di convenzione o accreditamento”.
La riproposta tesi dell’A.F, già disattesa dai primi giudici, secondo cui i contributi regionali corrisposti all’Ente “godono di un regime di esenzione non scontando l’imposta in alcuno modo alternativo”, si appalesa poco persuasiva e il richiamo a supporto di codesto assunto, del diverso regime fiscale dei dividendi, dei contributi a favore degli enti commerciali e dei contributi erogati alle imprese di trasporto pubblico locale, è del tutto inconferente trattandosi di fattispecie incomparabili per la natura diversa delle relative attività e del diverso scopo che esse perseguono.
E’ noto, infatti, che gli Enti che operano in regime di convenzione e/o di accreditamento di attività con finalità sociali e solidaristiche scontano, in termini di minori ricavi e perdite sensibili, l’obbligo di assicurare prestazioni sanitarie secondo standard qualitativi e tariffe predeterminati e imposti dal Servizio Sanitario Nazionale, con la conseguenza che, ove una interpretazione restrittiva della normativa de qua portasse ad escludere dal numeratore del rapporto di deducibilità degli interessi passivi “i ricavi e altri proventi che non concorrono alla formazione del reddito in quanto esclusi” (innovativamente ammessi dalla legge n.244 del 2007, modificativa del citato art. 61 del TUIR), si giungerebbe al paradosso di ottenere effetti pregiudizievoli e non favorevoli per il contribuente, in palese contrasto con la logica premiale ispiratrice della citata novità introdotta con la Finanziaria 2008, altrimenti inspiegabile.
Conclusivamente, può affermarsi che in assenza di espressa qualificazione legislativa, in termini di esclusione o di esenzione, devono considerarsi esclusi (e, dunque, integrare il numeratore del rapporto di cui all’art. 61 del Tuir), i ricavi/proventi “che venendo sottratti a tassazione in ragione di esigenze strutturali, abbiano comportato costi il cui mancato concorso in diminuzione del reddito d’impresa risulterebbe sistematicamente irrazionale”.
Anche in ordine al terzo motivo di gravame, relativo alla violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.Ls. 472/97, dell’art. 3 del D.Lgs. 546/92 e dell’art. 10 della legge n. 212/00, ritiene il collegio che l’appello sia infondato.
E ciò quale diretta conseguenza della infondatezza dei primi due motivi, posto che l’irrogazione di sanzione non può che derivare dall’accertamento di una condotta illegittima ovvero elusiva, ma poiché è stato acclarato come non vi sia stata alcuna violazione di norme da parte dell’Ente, non può che concludersi per l’annullamento anche della sanzione in concreto applicata.
In definitiva, l’appello va rigettato, mentre le spese del giudizio seguono la soccombenza, tanto più alla luce della circostanza che la questione era già stata affrontata e risolta dalla Commissione Tributaria.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale sez. VI rigetta l’appello. Condanna l’appellante alle spese del grado di giudizio liquidate in euro 800,00 ed accessori di legge se dovuti.
Bari, 13.01.2017
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