COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Toscana sentenza n. 826 sez. 31 depositata il 9 maggio 2016
Massima
La CTR di Firenze ha confermato le conclusioni dei giudici di prime cure, favorevoli al contribuente, riguardo ad un reclamo avverso un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate che aveva ritenuto sussistesse in capo al ricorrente l’esercizio di fatto di una attività d’impresa. Nel merito l’oggetto della causa riguarda il particolare settore del “mondo degli scambi” di quadri, opere d’arte, oggetti d’antiquariato e tanti altri beni, definito anche “regno del baratto”.
Ai fini fiscali, secondo i giudici, è necessario operare la fondamentale distinzione tra il collezionista e il mercante d’arte, che si basa sulla presenza o meno delle finalità commerciali e speculative tipiche del solo mercante d’arte. Il collezionista, dunque, rimane tale fino a quando non assume le caratteristiche dell’imprenditore abituale, fattispecie che i giudici non ritengono realizzata nel caso di specie, essendo limitata l’attività del ricorrente ad un numero esiguo di operazioni.
Testo:
Con ricorso depositato in data 30/04/2013 il sig. D.C.C., nato a ….. il ……… e residente a Capannori (LU), Via ……, rappresentato e difeso dal Dott. ….. come da delega in atti proponeva reclamo avverso l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate di Lucca per il recupero delle minori imposte versate IRPEF, IVA, IRAP e contributi INPS per l’anno 2007 emesso a seguito di processo verbale della Guardia di Finanza di Lucca.
L’ufficio ha ritenuto sussistesse in capo al ricorrente l’esercizio di fatto di un’attività di impresa, in particolare di commercio elettronico indiretto avendo riscontrato nell’anno in esame una attività di scambio, acquisto e vendita di bottiglie “mignon”.
Il Contribuente eccepisce: carenza assoluta di motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 55 del D.P.R. n. 917/86 ed art. 38 del D.P.R. 600/73; errata metodologia di ricostruzione del reddito di impresa; conclude chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato.
Con sentenza n.155/4/13 del 18/07/13, la Commissione Tributaria Provinciale di Lucca accoglie il ricorso e condanna l’Ufficio al pagamento delle spese sostenute dal ricorrente che vengono liquidate in complessivi Euro 700,00.
Si appella l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Lucca insistendo nel proprio operato e chiede la riforma della sentenza dei primi giudici. La Contribuente insiste nella conferma della sentenza dei primi giudici.
Osserva
Esaminati gli atti presenti nel fascicolo di causa, la Commissione, non può non confermare le conclusioni dei primi Giudici.
In primis appare poco chiara la contestazione in appello dell’Ufficio alla decisione dei primi giudici in merito alla violazione dell’art. 7 legge 212/2000, in particolare non emerge l’unico elemento di prova sostanziale richiamato negli avvisi di accertamento che a detta del Contribuente non è stato mai allegato né ai verbali di verifica notificati dalla Guardia di Finanza, né al processo verbale di constatazione, né negli avvisi di accertamento.
I tabulati — richiamati dai verificatori mai ricevuti dal Contribuente, quindi, non possono che essere sconosciuti dal medesimo.
Pertanto va presa in considerazione la doglianza sulla presunta violazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 per mancata allegazione degli atti richiamati.
Peraltro va detto che l’onere di allegazione dell’atto richiamato nella motivazione dell’avviso di accertamento (posta a carico dell’amministrazione finanziaria dall’art. 7 della L. n. 212 del 2000) fa riferimento agli atti che rappresentano, appunto, la motivazione della pretesa tributaria.
Nel merito la Commissione osserva che l’oggetto della causa riguarda un particolare settore del “mondo degli scambi”, definito da alcuni analisti “il regno del baratto”.
Quadri e altre opere d’arte, mobili e oggetti d’antiquariato, gioielli antichi, auto d’epoca, francobolli da collezione e, collezioni di francobolli, libri antichi, e così, tanti altri beni rientrano in questo settore, compreso il mondo delle bottiglie liquori d’antiquariato.
In tale ambito risulta, appunto, non di facile soluzione il confine tra il “collezionista” e il “mercante d’arte”.
La distinzione delle predette figure, fondamentale ai fini fiscali, comporta una, invero, non facile valutazione tra, chi acquista uno dei citati beni per fini speculativi, e l’amatore che compra un’opera per tenersela, ma, successivamente, la rivende e guadagna senza aver avuto di mira il guadagno, magari per acquistare altra opera d’arte che più lo appassiona.
Ritiene il Collegio che la linea di demarcazione tra i menzionati soggetti è rappresentata dalla presenza o meno dei requisiti della commercialità, il collezionista rimane tale sino a quando non assume le caratteristiche dell’imprenditore abituale.
La generica attività di vendita di un bene risulta soggetta ad adempimenti di natura formale (contabile, fiscale, ecc.) qualora venga realizzata in via professionale ed abituale: quest’ultimi requisiti devono emergere dalla regolarità sistematicità e ripetitività con cui il soggetto realizza atti economici finalizzati, al raggiungimento di uno scopo.
Nel caso in esame, si deve escludere che il contribuente, mediante pensionato, abbia realizzato parallelamente l’attività imprenditoriale. Mancano, infatti, i requisiti previsti dalle disposizioni civilistiche (art. 2082 del c.c.) che richiedono la professionalità e la specifica organizzazione economica. Conforta l’orientamento espresso dai Supremi Giudici (sentenze nn. 519 del 14.03.1762; 6395 del 03.12.1981).
Osserva, inoltre, che le argomentazioni contenute nel ricorso originario del contribuente, supportate dalla copiosa documentazione allegata, confortano, altresì la decisione della Commissione, avendo rilevate il numero esiguo di operazioni (vendite), realizzate peraltro ed in massima parte – tra i medesimi soggetti collezionisti, secondo quanto dichiarato dal l’appellato e non contestato dall’Ufficio.
La considerazione ora detta appare tanto più rilevante se si considera il particolare profilo dal quale muove la difesa dell’appellante nel senso che sottolinea come gran parte delle bottiglie trattate a prezzi assolutamente non di mercato provenissero da collezionisti privati; orbene la Commissione ritiene che sia assolutamente plausibile non solo questo fatto in sé ma anche la correlata circostanza dello scambio e vendita volta ad arricchire la propria collezione. Ebbene al riguardo non può prescindersi certo dal rilievo che un collezionista di vini e liquori che venda o scambi parte delle sue bottiglie non è per certo un soggetto tenuto per questo solo fatto a emettere fattura trattandosi di questione fra privati.
Alla soccombenza, deve seguire la condanna al pagamento delle spese di lite che vengono complessivamente liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Questa Commissione Regionale respinge l’appello dell’Ufficio.
Condanna l’Ufficio alle spese che quantifica in euro 1000,00 oltre accessori come per legge.
Firenze, 21 gennaio 2016
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