Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sez. 6, sentenza n. 507 depositata il 4 luglio 2023

In tema di IVA, il regime del margine, previsto dall’art. 36 del dl. n. 41 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi

Massima:

In tema di IVA, il regime del margine – previsto dall’art. 36 del DL n. 41 del 1995, conv. con modif. in Legge n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto (Corte suprema di Cassazione, Ordinanza n. 13473/2023 sez. V).

Testo:

La s.r.l. G., che svolge attività di compravendita di autovetture nuove ed usate, ha impugnato l’avviso di accertamento col quale l’Agenzia delle Entrate, per l’anno 2003, aveva ritenuto -per quanto ancora interessa- che fossero soggettivamente inesistenti alcune operazioni di acquisto di autoveicoli da venditori intracomunitari, per essere stata fittiziamente interposta una ditta italiana (C.), che non aveva poi versato l’IVA; e che non potesse essere applicato il regime IVA del margine alle auto che la G. aveva acquisto da altra impresa (la ditta F.). Per cui ha accertato una maggiore IVA, ed ulteriori imposte dirette, con le relative sanzioni.

La società ha impugnato l’avviso di accertamento, e la CTP di Pescara, e poi la CTR per l’Abruzzo, hanno condiviso le difese della contribuente, che aveva dedotto di non avere avuto contezza del fatto che fosse solo fittizia l’interposizione della C. nell’operazione di acquisto; e d’avere in buona fede applicato il regime del margine in relazione alle auto che aveva acquistato dalla F.

La Suprema Corte, investita del ricorso dell’Ufficio, ha cassato la decisione, ricordando, in relazione all’interposizione fittizia di persona, che quando “siano contestate operazioni come soggettivamente inesistenti, esse nella loro materialità esistono sempre e, piuttosto, il problema è che esse sono state rese al destinatario, che le ha effettivamente ricevute, da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione rappresentata nella fattura”.

Con la medesima decisione la Corte ha ulteriormente spiegato (citando Cass. 9851/2018 e 27555/2018) che in questo caso l‘Ufficio «ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria, di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.» 

La Corte ha accolto anche l’ulteriore doglianza dell’Ufficio, relativa all’applicazione del regime del margine, a tale fine ricordando (sulla scorta di Cass. SS.UU. 21105/2017) che «in tema di IVA, il regime del margine -previsto dall’art. 36 del di. n. 41 del 1995, conv. con modif. in l. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato- costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospettoCon particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole.» Per cui, in conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza, ritenendo che non fosse sorretta da idonea motivazione, avendo la CTR escluso la fittizia interposizione di persona sulla scorta di dati meramente formali (avvenuta fatturazione degli acquisti ed effettivo pagamento del prezzo), privi del requisito della decisività; e per avere omesso di esaminare gli elementi di prova presuntiva che erano stati forniti dall’Ufficio (assenza di dipendenti di un patrimonio aziendale e di un’organizzazione commerciale in capo alla C.; e d’avere, la G., interloquito direttamente con le ditte estere che fornivano i veicoli). Mentre, in relazione all’applicazione del regime del margine, la Corte ha ritenuto che la CTR non avesse fatto corretta applicazione dell’anzidetto principio di diritto (Cass. SS. UU. 21105/2017), secondo cui sussisteva una presunzione “iuris tantum”, che ribaltava sulla contribuente l’onere della prova. La causa è stata riassunta dalla contribuente, che ha insistito nel rigetto del gravame a suo tempo proposto dall’Ufficio contro la sentenza resa dalla CTP; l’Ufficio ha chiesto l’accoglimento di quel gravame, e quindi la conferma dell’avviso di accertamento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ciò premesso in fatto, occorre innanzitutto ricordare che l’avviso di accertamento aveva ad oggetto (non soltanto la debenza dell’IVA, ma anche) l’indeducibilità dei costi di acquisto di quelle vetture, ai fini delle imposte dirette. Tutte le riprese sono state annullate dalla CTP, e la pronuncia è stata poi confermata dalla CTR; ma non risulta che l’Ufficio, col ricorso in Cassazione, abbia investito la sentenza di appello anche in relazione alla pronuncia relativa alle imposte dirette: per cui l’inerente capo della decisione si è reso definitivo, ed il giudicato non resta intaccato dalla successiva cassazione di quella sentenza.

E peraltro, neppure in questo giudizio di rinvio l’Ufficio ha fatto cenno alla debenza di imposte dirette, per cui il relativo motivo di gravame dovrebbe, comunque, aversi per abbandonato. Restano, quindi, da esaminare le questioni relative alla fittizia interposizione di persona ai fini IVA, e l’applicabilità del regime IVA del margine.

In relazione alla prima, la Suprema Corte ha spiegato che l’Ufficio è onerato della prova della fittizia interposizione di persona, e fatto che l’acquirente, usando la particolare diligenza esigibile da un operatore professionale, avrebbe dovuto accorgersi del fatto che stava acquistando vetture da un soggetto sostanzialmente inesistente sul piano commerciale, che era stato fittiziamente interposto tra il vero venditore ed esso acquirente.

Tale onere probatorio può nella specie dirsi assolto, una volta che l’apparente venditore (la ditta individuale C.) non ha mai tenuto una regolare contabilità, è risultato privo di un’effettiva organizzazione commerciale e, pur in assenza di dipendenti, ha avuto un giro d’affari di oltre 9.700.000 di euro nel 2003, e di oltre 8.250.000 di euro nel 2004. Occorre ulteriormente considerare che dagli accertamenti dell’Ufficio -ed in particolare, dal processo verbale di constatazione, che a sua volta recepisce le dichiarazioni che erano state rese da un dipendente della G. (tale D.), ed i dati che l’Ufficio ha estrapolato dal computer di tale R.- è emerso che la G. aveva intrattenuto rapporti commerciali diretti con i rivenditori esteri, e segnatamente con quel R. di cui s’è detto, che era procuratore della società francese U., e soggetto di riferimento della società lussemburghese I. (si tratta delle società dalle quali la G. ha acquistato le vetture, facendole figuratamente transitare per la C.). In base agli anzidetti elementi di prova presuntiva, quindi, deve ritenersi che la G. fosse ben consapevole (o che, comunque, avrebbe dovuto esserlo, usando la diligenza propria dell’operatore professionale) dell’effettivo ruolo che la C. rivestiva nella complessiva operazione di compravendita, e cioè di soggetto fittiziamente interposto, e quindi di mera “cartiera”. In una situazione siffatta, quindi, non appare decisiva la regolarità formale dell’operazione, né l’effettivo pagamento del prezzo di vendita: in relazione al quale, peraltro, l’Ufficio ha spiegato che solo apparentemente esso si poneva in linea con quelli di mercato, posto che la fittizia interposizione di un rivenditore italiano consentiva alla G. di recuperare l’IVA.

La G. ha ulteriormente valorizzato il fatto d’avere acquistato dalla C., nel 2003, auto per un ammontare limitato (circa 225.000 euro), rispetto al proprio volume d’affari (circa 22 milioni di euro); e d’avere incaricato un’agenzia investigativa di svolgere accertamenti sul conto della C.: e tali indagini avevano consentito di accertarne l’effettiva esistenza ed operatività. E doveva anche tenersi conto, secondo la contribuente, del fatto che il procedimento penale aperto sulla base degli accertamenti dell’Ufficio era poi stato archiviato; e che analoga sorte aveva subito il procedimento penale promosso ai danni del F. La prima difesa, tuttavia, non tiene conto del fatto che l’IVA non pagata, in relazione ai soli acquisti dalla C., ammonta ad oltre 45.000 euro: per cui si tratta di somma pur sempre apprezzabile, che giustificava l’evasione.

La seconda difesa si scontra invece col rilievo che le informazioni rese dall’agenzia investigativa paiono essere state tratte dalla consultazione di registri pubblici (quelli tenuti dalla Camera di Commercio, Registri Immobiliari, Registro dei protesti), senza alcuna verifica in loco dell’effettiva esistenza di una organizzazione aziendale; e comunque, da quelle stesse informazioni emergeva che la C. era un’impresa individuale, peraltro costituita di recente: per cui veniva consigliata una certa cautela nella concessione di fidi.

L’archiviazione dei due procedimenti penali, infine, sconta il limite del diverso regime probatorio che connota i due giudizi: dovendo, in quello penale, essere fornita la prova della colpevolezza “oltre il ragionevole dubbio”, mentre quello civile e tributario s’ispirano alla diversa regola della “preponderanza dell’evidenza” o “del più probabile che non”. Per cui, in conclusione, questa Corte ritiene provata la fittizia interposizione della C. nell’operazione di vendita, ed inescusabile la mancanza di consapevolezza di tale fittizietà da parte della G.: per cui va accolto l’inerente motivo di appello.

Quanto all’applicazione del regime del margine, deve rilevarsi che le società estere che hanno venduto le vetture alla F. erano concessionarie e società di autonoleggio, e che tale circostanza emergeva già dai libretti di circolazione: per cui, secondo l’insegnamento della sentenza di rinvio, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole. La G. non ha vinto quella presunzione, dimostrando che le società estere, a monte, non avevano detratto l’IVA sugli acquisti di quelle vetture; ed anzi, la presunzione ha trovato definitiva conferma dalle indagini che sono state svolte all’estero dalla GdF (v. pag. 16 del PVC in data 27/7/2005). Per cui va accolto anche l’ulteriore motivo di appello dell’Ufficio. L’annullamento dell’avviso di accertamento in relazione alle imposte dirette, in uno con la circostanza che le questioni qui esaminate hanno trovato definitiva sistemazione solo negli anni 2017 e 2018, con le sentenze della Suprema Corte citate nella sentenza di rinvio, sono circostanze che inducono a compensare le spese del grado di appello; mentre resteranno a carico della G. quelle del giudizio di Cassazione e del presente giudizio di rinvio.

P.Q.M.

decidendo quale Giudice del rinvio dalla Cassazione, ed in parziale accoglimento dell’appello a suo tempo proposto dall’Ufficio, conferma l’accertamento nei limiti di cui alla motivazione; compensa le spese del grado di appello, e condanna la G. al pagamento di quelle del giudizio di Cassazione e del presente giudizio di rinvio, liquidando dette spese, per ciascun grado, in ? 6.000, oltre accessori di legge.