COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Toscana sez. 25 sentenza n. 747 depositata il 21 marzo 2017
Accertamento imposte – Utili extracontabili accertati nei confronti di una società di capitali a ristretta base sociale – Sono attribuiti, “pro quota”, ai soci se non dimostrano che gli utili extracontabili non sono stati distribuiti – Legittimità dell’accertamento – Sussiste.
Massima:
E’ principio giurisprudenziale ormai consolidato quello secondo cui, allorquando sia accertato che una società di capitali a ristretta base sociale abbia prodotto utili extracontabili, deve ritenersi, per un meccanismo logico-deduttivo di consistenza presuntiva, idoneo ad invertire l’onere della prova, che detti utili siano distribuiti ai soci (per i quali costituiscono reddito tassabile), salva la facoltà degli stessi di offrire la dimostrazione che i maggiori utili (occulti) non siano stati fatti oggetto di distribuzione.
Testo
Svolgimento del processo
Con avviso OT8R010600851, l’Agenzia delle Entrate di Pistoia accertava presuntivamente nei confronti di Vettori Giacomo, per il periodo di imposta 2010, un maggior reddito per Euro 86.458,90 derivante da distribuzione di utili occulti da parte della s.r.1. EG, di cui egli era socio unitamente ad altro soggetto.
Ciò l’ente impositore determinava, sul presupposto che il propedeutico accertamento emesso nei confronti della società EG era divenuto definito, e quindi era divenuto incontestabile quanto ivi appurato e cioè che la società – a ristretta base partecipativa – aveva prodotto utili occulti per Euro 347.783,20, poi distribuendoli in modo altrettanto occulto tra i soci.
Proposto ricorso alla Commissione tributaria di Pistoia, il giudice provinciale, lo rigettava pronunciando sentenza 340/1/16 in data 5.7.2016 (sentenza depositata il 19.7.2016).
Avverso tale sentenza il contribuente propone appello, eccependo violazione dell’art. 2729 cod. civ. Lamenta che il giudice provinciale avrebbe erroneamente ritenuto che l’accertamento a monte
(quello esperito a carico della s.r.l. EG ed in relazione al quale egli non aveva avuto possibilità di interloquire a propria difesa) farebbe stato anche nei confronti dei singoli soci.
Deduce altresì che la cosiddetta ristretta base societaria è elemento di per sé non decisivo ai fini della prova della distribuzione ai soci di utili occulti, e che gli utili occulti realizzati da una società
non necessariamente devono poi essere ripartiti tra i soci potendo essere impiegati per altri scopi (ad esempio, creazione di riserve occulte).
Conclude opinando che i due elementi su cui poggia l’accertamento erariale – ristrettezza della base societaria e accertata creazione di utili occulti – sono inidonei a formare piena prova indiziaria della loro avvenuta distribuzione ai soci.
Infine censura la fondatezza dell’accertamento effettuato a monte dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di società EG, basato su un erroneo calcolo del cosiddetto ricarico (e cioè della
maggiorazione che il commerciante applica al prezzo d’acquisto per determinare il prezzo di vendita).
Formula pertanto istanza di conciliazione totale proponendo un diverso calcolo dell’utile societario sottratto a tassazione (e distribuito ai soci) quantificandolo in euro 152.251,82
Chiede la riforma intergale della sentenza di primo grado e l’annullamento dell’avviso di accertamento e in via gradata – in caso di accettazione della proposta conciliativa – la massima rateizzazione prevista, con sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.
Costituitasi in giudizio, l’Agenzia delle Entrate eccepisce l’inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici di impugnazione, essendosi l’appellante limitato a riproporre i
medesimi motivi già esposti in primo grado.
Nel merito, chiede la conferma della sentenza provinciale (condanna al pagamento delle spese di giudizio) rilevando che il contribuente – a fronte della presunzione di distribuzione di utili pro
quota tra soci di società a ristretta base partecipativa – non ha neppure tentato di provare di non aver ricevuto alcunché ed, omettendo di fornire qualsiasi elemento fattuale idoneo a superare la
presunzione tributaria, si è limitato a sostenere l’insufficienza di essa.
Rigetta poi la proposta conciliativa poiché essa mira a rimettere in discussione l’accertamento operato nei confronti della società EG, oramai definitivo.
Motivi della decisione
Pregiudiziale è la pronuncia in ordine alla inammissibilità dell’atto di appello, eccepita dalla Agenzia resistente.
La censura è infondata ‘Invero, in tema di wntenzioso tributario la riproposizione da parte del contribuente, a supporto dell’appello, delle ragioni di censura del provvedimento impositivo in contrapposizione alle F .. argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d-lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. civ. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1200 del 2210 1/20 16 – Rv. 638624).
Dunque, l’onere di specificità dei motivi può ritenersi soddisfatto qualora il ricorrente abbia proposto soIuzioni contrastanti con quelle poste a base della decisione impugnata, sicché dal contesto dell’atto appaia evidente che con lo stesso sono state mosse critiche a tale decisione (Cass. civ. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10569 del 14/05/2014 – v. 630857).
D’altra parte la norma eleva a elemento fondante dell’atto di impugnazione la esposizione di motivi specifici e non già di motivi nuovi (Cass. civ. Sez. 5, Sentenza n. 3064 del 29/02/2012 – Rv. 621983), e quindi anche quelli esposti in primo grado e ribaditi innanzi alla Commissione regionale (se specifici ab initio) assolvono l’onere richiesto come condizione di ammissibilità.
Nel merito, l’appello è infondato.
E’ principio giurisprudenziale oramai definitivamente consolidato quello secondo cui, allorquando si accerti che una società a ristretta base partecipativa abbia prodotto utili occulti (non iscritti in
bilancio e del cui impiego alternativo non si abbiano notizie), deve ritenersi – secondo meccanismo valutativo logico/deduttivo di consistenza presuntiva, idoneo ad invertire l’onere della prova – che essi siano stati distribuiti ai soci (e quindi abbiamo costituito per questi ultimi reddito tassabile).
Così S. civ. Sez. l, Sentenza n. 5729 del 25/05/1995 (Rv. 492418 – 01): In tema di redditi di capitale non può considerarsi illogica la presunzione (semplice) che gli utili extracontabili di una società per azioni a ristrettissima base familiare (genitori e figli) siano stati distribuiti ai soci, tenuto conto della “complicità” che normalmente avvince i membri di un gruppo così composto.
Così ancora Cass. civ. Sez. 5, Sentenza n. 16885 del 1111 112003 (Rv. 568025 – 01): In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, in
caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione <pro quota> ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti. Nel caso che 2a presunzione di distribuzione degli utili occulti non sia superata, la quota attribuita al socio non può essere considerata al netto delle imposte che la società è tenuta a pagare in quanto, trattandosi di ricavi extracontabili, nessun pagamento di imposte è ipotizzabile in tal caso, Nè, occorre che l’accertamento degli utili extracontabili in capo -. alla società sia definitivo, stante l’indipendenza del giudizio relativo all’accertamento del reddito del socio.
Così infine Cass. civ. Sez. 5, Sentenza n. 25468 del 18/12/2015 (Rv. 638161 – 01): In tema di accerta’mento delle imposte sui redditi, nel caso di società a ristretta base familiare, è legittima la
presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, che, attesa la mancanza di una deliberazione uflciale di approvazione del bilancio trattandosi di utili occulti, deve ritenersi avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli stessi sono stati conseguiti.
Non coglie nel segno l’argomento/principe sostenuto dall’appellante (insufficienza degli elementi presuntivi addotti dall’ente impositore) perché omette di considerare che la prova di maggior reddito da lui conseguito poggia non solo sul duplice elemento indiziario di cui tanto si è discusso (ristretta base societaria – produzione di utili occulti), ma altresì sull’ulteriore e dirimente circostanza che il contribuente, cui incombeva – secondo il meccanismo dell’inversione dell’onere probatorio tipico della presunzione tributaria – la relativa dimostrazione, nulla ha dedotto e provato in senso opposto; non ha neppure fornito quella documentazione minimale, idonea a smentire la circostanza presuntivamente dimostrata, costituita dagli estratti del proprio conto bancario relativi al periodo di imposta preso in esame, da cui poter ricavare movimentazioni incompatibili con l’assunto/cardine (acquisizione di disponibilità finanziarie da riparto di utili).
Né ha fornito – aldilà di generiche ed indimostrate affermazioni sull’erroneità del calcolo seguito dell’Agenzia nel determinare a monte l’entità degli utili occulti poi presuntivamente ridistribuiti ai
soci – alcun concreto dato probatorio sull’ammontare del ricarico di fatto ed effettivamente praticato dalla s.r.l. EG
Di talchè appare impossibile rimettere in discussione l’accertamento fiscale ad essa afferente, divenuto oramai definitivo.
Quanto infine alla richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, a prescindere dalla insussistenza del fumus boni iuris per le ragioni fin qui esposte, nessuna allegazione concretamente dimostrativa è stata addotta a fondamento del cosiddetto periculum in mora.
L’appello va pertanto respinto unitamente alla domanda di sospensione dell’efficacia esecutiva -della sentenza di primo grado, ed alla soccombenza consegue la condanna al pagamento delle spese processuali che vengono liquidate, quanto a onorari in Euro 1.200,00.
P.Q.M.
la Commissione tributaria regionale rigetta l’appello e la domanda di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado e condanna al pagamento delle spese processuali che
liquida, quanto a onorari, in Euro 1.200.
Così deciso in Firenze il 21.2.2017
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