COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Milano sentenza n. 1258 sez. 34 del 30 marzo 2015
ACCERTAMENTO – RADDOPPIO TERMINI – DENUNCIA.
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Nucleo della Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, nell’ambito di un procedimento penale, pendente presso la Procura di Milano, procedeva ad un’indagine di polizia nei confronti di diversi soggetti inquisiti per l’ipotesi di reato di riciclaggio.
Dalle indagini emergeva che un avvocato/notaio svizzero (F.P.), in concorso con altri soggetti aveva costituito una serie di società e trust molto articolate al fine di trasferire ingenti somme di denaro all’estero in violazione della normativa italiana.
Nel corso delle operazioni di perquisizione era stato posto sotto sequestro il personale computer del professionista.
Al termine della verifica, l’Autorità giudiziaria chiedeva al nucleo di Milano di svolgere accertamenti mirati nei confronti dei soggetti “clienti”, contestualmente la Magistratura concedeva il nulla osta all’utilizzo ai fini fiscali delle risultanze emerse nel procedimento penale.
Dall’esame dell’hard-disk emergeva il nome del sig. A. tra i clienti del professionista.
I verificatori ritenevano il diretto coinvolgimento del contribuente nel meccanismo rilevato, in quanto risultava beneficiario economico di ingenti somme di denaro, avvalendosi di una complessa struttura societaria appositamente creata e gestita dall’avv. F.P.
Sulla base dei rilievi dei verificatori, la Direzione Provinciale di Monza e della Brianza – Ufficio Controlli – riteneva l’attività svolta dal sig. A. riconducibile a quella di un consulente e procacciatore di affari e provvedeva all’apertura di una partita iva e le somme accreditate sul c/c sterro redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del TUIR e imponibili ai fini Iva.
L’ufficio notificava in data 20/12/2012, i seguenti avvisi di Accertamento
– Avviso di Accertamento N. …/2012 – Anno d’imposta 2004.
– Avviso di Accertamento N. …/2012 – Anno d’imposta 2002.
Negli Avvisi di Accertamento veniva riportato prospetto riepilogativo relativo alle società utilizzate, inoltre negli avvidi di accertamento l’Ufficio precisava:
“a seguito dell’attività di indagine effettuata dalla Direzione Centrale Accertamento – Ufficio Centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali, la S.V. risultando coinvolto nell’attività fraudolenta suddetta, è stato oggetto da parte degli Uffici Centrali di comunicazione di notizia di reato di cui agli art. 4 e 8 del D.Lgs. 74/2000.”
“Resta impregiudicata la facoltà dell’Amministrazione Finanziaria di eseguire altre indagini e di formulare eventualmente, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, ulteriori rilevi fino alla scadenza dei termini previsti dall’art. 43 del DPR 600/73 e dall’art. 5 DPR 633/72”.
Il sig. A. presentava istanza di accertamento con adesione che si concludevano con esito negativo.
Avverso gli Avvisi di Accertamento il contribuente presentava distinti ricorsi.
Motivi
Decadenza dell’azione accertatrice
Avvisi di accertamento notificati successivamente ai termini di decadenza previsti dagli art. 43 e 57 – DPR 600/1973 – DPR 633/1972
– anno d’imposta 2003 – scadenza 31/12/2008
– anno d’imposta 2004 – scadenza 31/12/2009
Al momento della notifica degli avvisi di accertamento non risultava ancora presentata la notizia di reato.
Nel merito
Le contestazioni mosse dall’Ufficio erano prive di qualunque riscontro probatorio giacché l’Ufficio non produceva prova alcuna di quanto affermato ad eccezione della documentazione allegata all’Avviso di Accertamento, priva di certezze circa la provenienza e l’imputabilità al contribuente.
Risultava pertanto evidente che l’Ufficio avrebbe dovuto effettuare ulteriori indagini, anche documentali, se avesse voluto dimostrare quanto poi sostenuto nell’atto di contestazione.
Si costituiva in giudizio l’Ufficio presentando contro deduzioni.
Con riferimento alla presunta decadenza dell’Amministrazione Finanziaria dal potere accertativo sosteneva di avere operato in base alla normativa prevista per i reati tributari. Infatti per quanto concerne le violazioni riscontrate ai sensi dell’art. 37 commi 24 – 25 – 26 – del D.L. n. 223/2006, opera il raddoppio dei termini di decadenza previsti per l’accertamento, di cui all’art. 43 del DPR 600/73.
Detta applicazione risultava possibile in quanto, in relazione al ricorrente, erano state riscontrate violazioni che avevano comportato l’obbligo alla denuncia ai sensi dell’art. 331 del c.p.p.
In merito all’acquisizione della documentazione faceva presente che essa era stata acquisita legittimamente in quanto contenuta nella memoria del computer dell’Avv. F.P. e dai documenti sequestrati presso la F.C.I. Trust SPA di Brescia.
La Procura della Repubblica aveva autorizzato l’Ufficio ad utilizzare la documentazione ai fini tributari.
Alla costituzione in giudizio così come all’Avviso di Accertamento non veniva allegata la denuncia presentata ai sensi dell’art. 331 del c.p.p.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano – Sezione 16a – con sentenza n. 4861 del 12/05/14 – 22/05/14, accoglieva i ricorsi riuniti e annullava gli accertamenti per gli anni in contestazione. Spese compensate.
Avverso la sentenza la Direzione Regionale di Milano presentava appello.
Motivi
– Sulla presunta decadenza dell’azione accertatrice
L’Ufficio ha correttamente operato nei termini, in base alla normativa prevista per i reati tributari.
La Corte Costituzionale nel merito così ha statuito: il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo della denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”.
Sul merito:
– la sentenza è di puro stile, non contestualizza alla fattispecie in discussione, ed è adattabile a qualsiasi tipologia di accertamento emesso dall’Ufficio.
La C. T. non è entrata nel merito della puntuale ricostruzione operata dall’Ufficio e non smentita con prove documentali dal ricorrente.
La parte in maniera assolutamente apodittica, nel ricorso di primo grado, protesta la propria estraneità al fraudolento giro di affari, che la vede invece coinvolta in concorso con altri soggetti a carico dei quali gravano pesanti indizi, anche in sede penale, di colpevolezza.
Meccanismo fraudolento:
– per ciascuna società estera veniva acceso un c/c presso una banca locale, gestito da un amministratore locate su istruzioni dello stesso F.P.;
– le società estere emettevano delle fatture falsa nei confronti delle società italiane riferibili al cliente, che provvedevano ad iscriverle in contabilità tra i costi ed effettuare il relativo pagamento sul c/c della società estera;
– le somme sottratte al fisco italiano e confluite sui conti esteri, venivano convogliate su istruzioni del F.P. su un proprio conto corrente fiduciario e da lì, al netto delle commissioni e spese, venivano trasferite o sul conto estero riservato al cliente o su quello di un Trust riferibile al cliente stesso.
Chiedeva di riformare la sentenza di primo grado e di confermare la legittimità degli avvisi di accertamento.
Condannare la parte alla spese.
Si costituiva in giudizio il contribuente
Si riportava ai motivi già esposti nel ricorso introduttivo e chiedeva la conferma della sentenza di primo grado.
Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2015 è presente il contribuente, assente l’Ufficio.
La causa veniva discussa in camera di consiglio e decisa lo stesso giorno.
MOTIVAZIONE
L’appello dell’Ufficio non merita accoglimento.
In merito ai termini di decadenza dal potere di accertamento e reati tributari il dpr 600/1973 – Art. 43 – Termine per l’accertamento nel Testo in vigore dal 4 luglio 2006 – Testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 37, comma 24, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 dispone:
1) Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
2) Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposizioni del titolo I l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
3) In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione (comma aggiunto dall’art. 37, comma 24, D.L. 4 luglio 2006, n. 223).
4) Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificatamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’Ufficio delle imposte.
Ambito temporale del potere di accertamento
Delineazione dei periodi d’imposta interessati dalla proroga del potere di accertamento.
Al riguardo, si profilano due possibili interpretazioni:
– il raddoppio dei termini si verifica solo qualora la scoperta dei reati intervenga prima della scadenza “ordinaria” dei termini stessi (in tale ipotesi, nel corso di una verifica inerente un esercizio ancora “aperto”, l’Ufficio, qualora ravvisi gli estremi di un reato, avrebbe tempo otto anni – e non quattro – per notificare l’avviso);
– il raddoppio dei termini si verifica anche qualora la scoperta dei reati intervenga dopo l’ordinaria scadenza dei termini (in base a ciò, sarebbe possibile accertare anche un periodo “chiuso”: di conseguenza, il riscontro di un reato, successivamente al decorso del termine di decadenza ordinaria, “riaprirebbe” i termini già scaduti).
Obbligo di denuncia
La proroga dei termini è circoscritta alle violazioni che comportano obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p.
Tale obbligo scatta quando un pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio.
La Corte costituzionale (ordinanza n. 247 del 2011) ha ritenuto legittime le disposizioni di cui al terzo comma dell’art. 57 del DPR n. 633/1972, espressamente escludendo un contrasto con il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.
In particolare, la Consulta afferma che è intenzione del legislatore nazionale introdurre due diversi e distinti termini entro i quali deve essere notificato l’avviso di accertamento e, pertanto, “il contribuente ha l’obbligo di conservare le scritture e i documenti fino alla definizione degli accertamenti relativi e non può ritenersi esonerato da tale obbligo fino alla scadenza del termine raddoppiato”. Non solo. La riapertura di periodi d’imposta già scaduti non contrasterebbe con il diritto di difesa, in quanto i termini “lunghi” non si innestano su quelli “brevi”, ma operano autonomamente, allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000.
Secondo la pronuncia, in altri termini, è da considerare legittimo un accertamento notificato a seguito del decorso del termine decadenziale ordinario, e ciò in quanto l’art. 37 del D.L. n. 223/2006 non stabilisce espressamente se, ai fini del prolungamento dei termini relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione, la notitia criminis debba essere formalizzata dall’Amministrazione finanziaria entro il termine ordinario di decadenza, come indicato, rispettivamente, dagli artt. 43 e 57 o, diversamente, possa venire a esistenza anche in un momento successivo.
La Corte, per evitare un utilizzo strumentale nella comunicazione della notizia di reato alla Procura, al solo fine di riaprire i periodi di imposta non più controllabili, ha precisato che è consentito al giudice tributario di controllare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo della denuncia. Il giudice tributario deve compiere una valutazione ora per allora circa la loro ricorrenza e accertare, quindi, se l’amministrazione ha fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni per usufruire ingiustificatamente del più ampio termine per l’accertamento.
Nel caso di specie:
– I termini per la rettifica della dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2003 – erano scaduti al 31/12/2008;
– i termini raddoppiati scadevano il 31/12/2012;
d’imposta 2004 – erano scaduti al 31/12/2009;
– i termini raddoppiati scadevano il 31/12/2013;
– l’Agenzia delle Entrate in data 20/12/2012 ha notificato l’Avviso di accertamento;
– l’Ufficio non ha prodotto in giudizio la presentazione di avviso di reato. Come precisato anche in sede di appello ritiene che “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo della denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”;
– la Procura della Repubblica di Milano ha attestato, che alla data del 19/01/2012 il sig. A. non risultava indagato.
Da quanto sopra esposto risulta che l’Ufficio:
– non ha esibito né in primo grado e né in sede di appello copia della denuncia;
– non ha osservato il disposto della Corte Costituzionale – ordinanza 247/2011 in merito al deposito in giudizio della comunicazione di avviso di reato;
– il mancato deposito della comunicazione non ha consentito al giudice tributario di controllare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo della denuncia. Come sopra evidenziato il giudice tributario deve compiere una valutazione ora per allora circa la ricorrenza dei presupposti e accertare, quindi, se l’amministrazione ha fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni per usufruire ingiustificatamente del più ampio termine per l’accertamento.
In merito al rilievo del maggior reddito accertato.
Nell’atto di appello l’Ufficio riporta il seguente meccanismo per sottrarre in modo fraudolento somme al fisco italiano:
“Le società estere emettevano delle fatture false nei confronti delle società italiane riferibili al cliente (Sig. A.) che provvedevano ad iscriverle in contabilità tra i costi e ad effettuare il relativo pagamento sul c/c della società estera. Le somme sottratte al fisco italiano e confluite sui conti esteri venivano convogliate …..”.
A giudizio degli accertatori dunque le somme, che avevano dato origine al rilievo, derivavano dal pagamento di fatture false emesse da società estere nei confronti di società italiane facenti capo al contribuente.
Ma l’Ufficio di questi documenti ritenuti falsi:
– non riporta nessun dato ed in particolare i seguenti: importo – data emissione – società emittente e destinataria – oggetto della prestazione;
– non indica i motivi per i quali i documenti sono stati ritenuti relativi ad operazioni inesistenti (oggettivamente e/o soggettivamente);
– non risulta di avere effettuato controlli in merito ai flussi finanziari tra le società italiane e quelle estere.
Alla luce di tutte queste ragioni, la decisione dei primi giudici deve essere confermata con il rigetto dell’appello dell’Ufficio.
La complessità giuridica e fattuale della vicenda, rappresentano idonei motivi per la compensazione totale delle spese di lite per i gradi di giudizio.
P.Q.M.
La commissione respinge l’appello dell’Ufficio. Spese compensate.
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