COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Molise sentenza n. 3874 depositata il 6 luglio 2017
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – STUDI DI SETTORE – ILLEGITTIMITA’ DELL’ACCERTAMENTO NON SUPPORTATO DA PROVE
FATTO
La società …… esercente in ….. attività di Agenzia di rappresentanza di materiali edili, in persona del rappresentante legale, rappresentata e difesa dal dott. ……. presso il cui studio eleggeva domicilio, proponeva ricorso avverso avviso di accertamento delle imposte IRAP ed IRES afferenti l’anno 2010 notificato il 20/02/2015 dall’Agenzia delle Entrate-Ufficio di ….
Quest’ultima rettificava la dichiarazione presentata per l’anno in contestazione elevando il reddito sulle risultanze degli studi di settore con determinazione di maggiori imponibili e richiesta di maggiori imposte per € 5.677,00 oltre sanzioni ed interessi.
Il Difensore eccepiva l’illegittimità dell’atto essendo lo stesso basato sul solo scostamento dei dati dichiarati da quelli risultanti dallo studio di settore evidenziando la destituzione dell’operato dell’Ufficio e l’incapacità degli studi alla individuazione della capacità contributiva del soggetto economico accertato se non suffragata da ulteriori elementi indiziari.
Si doleva, ancora, della circostanza che l’Ufficio a conclusione del contraddittorio sosteneva nell”avviso dì accertamento l’emergenza di gravità, precisione e concordanza attribuibile dall’applicazione degli studi, senza alcuna valutazione della realtà aziendale, in tal modo, penalizzata anche nell’ulteriore considerazione che lo stesso non ha tenuto in alcun conto il principio della Corte della Corte di Cassazione secondo il quale gli studi di settore ed i parametri rappresentano un sistema di presunzioni semplici che devono essere assolutamente personalizzati nell’ambito endoprocedimentale.
Continuava asserendo che l’onus probandi, nella fattispecie, ricade sull’Ufficio che ai sensi dell’art. 2697 c.c. deve fornire prova sui fatti che costituiscono il fondamento della richiesta avanzata con conseguente impossibilità di inversione dell’onere della prova applicabile unicamente alle presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Ed ancora evidenziava il Difensore la circostanza che l’attività esercitata dalla società ricorrente di rappresentanza di prodotti per l’edilizia non poteva non fatturare atteso che il pagamento delle provvigioni da parte delle ditte mandanti avveniva solo a seguito di presentazione di regolare fattura e che, per vicissitudini finanziarie collegate alla mandante società …., sfociate in concordato preventivo, non riceveva quanto richiesto dall’art. 4 del D.P.R. n. 322 del 1998. Per quanto evidenziato, il Difensore, concludeva con richiesta di annullamento dell’atto impugnato con salvezza delle spese processuali.
Allegando documentazione probatoria a sostegno di quanto acclarato chiedeva, altresì, disporsi sospensione cautelare dell’atto. L’Ufficio, ai sensi dell’art. 23 del D.Lgs. n. 546/1992 si costituiva in giudizio, mediante deposito di note nelle quali, ribadita la correttezza del proprio operato, chiedeva, di contro, la sua conferma unitamente al ristoro delle spese.
Rilevava che la procedura di accertamento standardizzato posta in essere mediante l’applicazione degli studi di settore, contiene quelle presunzioni la cui gravità, con onere a carico di contribuente di fornire, in ambito endoprocedimentale, prova contraria sulla redditualità inferiore ai risultati dello standard di cui al cluster di riferimento. Precisava, l’Ufficio, che aveva tenuto conto delle eccezioni formulate in sede di contraddittorio, ma che l’accertamento doveva, comunque, seguire il suo corso essendo il reddito dichiarato incoerente con gli indicatori economici indicati dallo studio di settore di appartenenza il quale costituisce una legittima procedura accertativa delegittimata solo da adeguate ed opportune prove che il contribuente non ha offerto.
Il giudizio di primo grado, con sentenza n….. pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di ….., si concludeva con rigetto del ricorso, e condanna alle spese liquidate in euro 500,00 oltre accessori se dovuti. Avverso la stessa, la società, a mezzo del medesimo Difensore, proponeva appello chiedendone sua riforma con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio. Lo stesso deduceva illegittimità della sentenza opposta per violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. in tema di presunzioni.
La stessa contiene motivazione solo apparente anche sulla rilevata antieconomicità dell’azienda.
Nel merito, confermava che la stessa non poteva omettere fatturazione anche di piccole provvigioni per essere il contratto di agenzia governato da rapporti formali e mai approssimativi, circostanze ampiamente evidenziate, unitamente ad altre, nel corso del processo endoprocedimentale di cui l’Ufficio non teneva in conto alcuno. Inoltre, evidenziava che la Cassazione in ipotesi di accertamenti da studi di settore rilevava la legittimità dell’accertamento solo in presenza di grave incongruenza tra il dichiarato e l’accertato e, nella fattispecie, lo scostamento è pari a poco più del 6%.
Il Difensore deduceva, altresì, la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del D.P.R. n. 546/1992 e 2697 c.c. avendo i primi Giudici completamente omesso ogni valutazione personale sul caso di specie senza fornire, peraltro, adeguata giustificazione del proprio convincimento.
A sostegno della bontà del dichiarato invocava giurisprudenza di legittimità.
Controdeduceva l’Ufficio depositando note nelle quali rilevava la destituzione delle avverse argomentazioni in richiesta di conferma dell’accertato rispettoso della normativa di riferimento e di indicata giurisprudenza di legittimità.
Riformulava anche in questa sede argomentazioni confermanti la legittimità del proprio operato sia in merito all’onere della prova sia in merito alla prova contraria di quanto solo asserito da controparte.
Concludeva con richiesta di rigetto del gravame unitamente a condanna alle spese di giudizio. Avendo la società prodotto istanza si sospensione cautelare della sentenza, il Collegio all’udienza del 27 marzo 2017 all’uopo fissata, accoglieva la stessa ricorrendone i presupposti di legge. L’odierna udienza di discussione, viene celebrata, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, pubblicamente, per produzione della richiesta d i cui al comma 1 dell’art. 33 del D.Lgs. n. 546/1992. La causa viene assegnata a sentenza.
DIRITTO
La Commissione adita, esaminata la controversia, ritiene accogliere l’appello in riforma della sentenza opposta.
La questione oggetto del contendere concerne ricostruzione parametrica effettuata in applicazione degli studi di settore da cui consegue un recupero a tassazione di ricavi e di maggiori imposte per euro 5.677,00 oltre sanzioni ed interessi ritenendo l’Ufficio che il reddito non fosse congruo in rapporto ai parametri di cui allo studio preso in considerazione per l’attività di Agenzia di rappresentanza di materiali edili.
La ricostruzione così come effettuata e cioè sul solo dato relativo allo scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello risultante dall’applicazione dei parametri di cui allo studio di settore non trova condivisione da parte di questo Collegio atteso che l’accertamento così operato non costituisce prova, senza alcun altro elemento di supporto, ma semplice indizio che da solo non configura ipotesi di gravità, precisione e concordanza così come richiesto dalla normativa per operare ricostruzione induttiva. Invero, nell’atto opposto non è ravvisabile l’esistenza di precisi elementi da aggiungersi agli studi di settore che avrebbero giustificato l’emissione dell’avviso in questione.
La giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata in ordine alla utilizzabilità degli studi stessi come metodologia astrattamente idonea a determinare regole di esperienza applicabili in maniera standardizzata.
Nella fase immediatamente successiva all’introduzione dello strumento parametrico in oggetto vi sono state decisioni della Corte di Cassazione orientate nel senso di attribuire alle risultanze dell’applicazione degli studi di settore la natura di presunzioni legali relative. In seguito (vedi sent. n. 17229 del 28/07/2006) la stessa Corte ha sostenuto che gli studi hanno natura di “atti amministrativi generali di organizzazione che da soli non si possono considerare sufficienti perché l’Ufficio tributario operi l’accertamento senza che l’attività amministrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente d’intervenire già in sede procedimentale amministrativa e di vincere la presunzione costituita dagli studi di settore”.
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte (sent. nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009) statuendo che “la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata in relazione ai soli “standards” in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente”.
Sempre la Suprema Corte esprimendosi in tema di rispondenza della disciplina degli studi di settore ai parametri costituzionali, in particolare, al principio di capacità contributiva, ha affermato: “la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell’art. 53 della Costituzione, non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta”.
La Corte ha stabilito, dunque, una nuova metodologia di riparto dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente, in considerazione del fatto che gli studi di settore, in quanto annoverabili tra gli strumenti statistico-probabilistici, non sono idonei a riprodurre la concreta situazione reddituale del contribuente, avendo la sola capacità di identificarsi con un mero strumento capace di rilevare un presunto comportamento fiscale anomalo.
La centralità e la rilevanza del contraddittorio, cui dà rilievo la Corte rappresenta il superamento di posizioni diverse della giurisprudenza di legittimità pregressa nel momento in cui, a tale strumento, viene attribuita non solo la capacità di adeguare l’accertamento alla realtà del singolo contribuente, ma anche la rilevante funzione di garantire gli interessi di quest’ultimo. Il tenore delle pronunce, si conforma, altresì, agli orientamenti costituzionali ed internazionali maggiormente evoluti , i qual i riconducono al contraddittorio la concretizzazione dell’interesse del privato. Ed è proprio sulla scorta delle sentenze del 2009 pronunciate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che lo stesso Ministero delle Finanze emetteva la circolare n. 19/E del 14 ottobre 2010 nella quale delineava lo studio di settore non già strumento reddituale ma mezzo di accertamento con propedeutico obbligatorio contraddittorio in valutazione della concreta capacità contributiva in ossequio all’art. 53 della Costituzione.
Tutto quanto premesso induce questa Commissione a dichiarare l’illegittimità dell’avviso di accertamento in questione atteso che l’Ufficio non adeguava il risultato degli studi di settore alla concreta e particolare situazione dell’impresa omettendo. in tal modo, di valutare la reale capacità contributiva della stessa. Nella fattispecie accertativa parametrica è compito dell’Ufficio dimostrare che lo standard applicato è confacente al soggetto sottoposto a verifica.
La redditualità andava verificata, tra l’altro, non con il solo discostamento tra il ricavo dichiarato e quello emergente dall’applicazione dei parametri di cui allo studio di settore ma con vera e propria indagine allo scopo di verificare l’effettiva attività svolta ed anche anomalie di gestione.
Nell’atto opposto non risulta evidenziato, come sarebbe stato necessario, se siano state eseguite le opportune valutazioni in ordine sia alla congruità dei ricavi che della coerenza degli indicatori economici utilizzati, per cui manca la prova, ad esempio, di una mancanza di coerenza dovuta a comportamenti irregolari del contribuente, oppure dovute ad insufficienze di gestione o a riscontrati componenti di costo non contabilizzati.
Invero, la incongruità dei ricavi e l’incoerenza degli indicatori economici sono nell’atto solo enunciati e non provati. Il ricorso ad una ricostruzione parametrica non esime l’Ufficio a fornire ulteriori elementi di prova giustificanti la ripresa reddituale proprio perché la ricostruzione parametrica, in linea con prevalente giurisprudenza di legittimità, è presunzione semplice, che non obbliga il contribuente a fornire prova contraria. Ed allora, deve rilevarsi che il tutto va esaminato nella considerazione che il mero scostamento fra dichiarato ed atteso non completa l’iter motivazionale a carico dell’Amministrazione salvo il caso di mancata partecipazione al contraddittorio; sulla presenza di elementi oggettivi che inducano a ritenere inadeguato il percorso tecnico metodologico seguito dallo studio per giungere alla stima del ricavo richiesto sulla base degli studi di settore (analisi della nota metodologica e delle variabili rilevanti prese in considerazione per l’elaborazione dello studio); sulla correttezza dell’imputazione al cluster di riferimento; sulla presenza di cause di giustificazione contingenti relative all’annualità oggetto di analisi.
Sempre la Corte di Cassazione – Sez. Tributaria – con sent. n. 24327 del 14 novembre 2014 ha sancito il principio che “senza il riferimento alla reale situazione dell’azienda, del settore e del contesto di operatività, i parametri costituiscono semplici indizi che non sorreggono in giudizio l’accertamento di maggior reddito” ribadendo quanto già sancito con ordinanza del 17 febbraio 2011 n. 3923 secondo la quale gli “studi di settore rappresentano dati fondati sulla base di elaborazioni statistiche generali e, pertanto, in presenza di specifiche contestazioni e allegazioni da parte del contribuente, non possono costituire, da soli , il «fatto noto» da cui argomentare. con sufficiente grado di probabilità, la reale capacità contributiva”.
Quindi, sulla scorta dei principi della giurisprudenza di legittimità (Cass.- Sez. trib.- 15 giugno 2010 n. 14313; 6 luglio 2010 n. 15905; 5 agosto 2010 n. 18227; 31 agosto 2010 n. 18941) deve concludersi che lo studio deve essere calibrato in ragione della singola realtà oggetto di verifica, in quanto lo strumento in questione risulta inidoneo a supportare l’accertamento, se non confortato da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa che devono essere provati e non semplicemente enunciati nella motivazione dell’accertamento.
Nel caso di specie, l ‘Ufficio basava l’accertamento sulla incongruità dei ricavi calcolati per l’anno accertato rispetto allo studio parametrico e sulla antieconomicità aziendale.
Lo stesso non offriva prove certe e concrete di maggiore redditività, nè forniva spiegazioni in merito alle ragioni offerte dal contribuente in fase endoprocedimentale giustificanti la causa della minore redditività. Il diniego era giustificato nella formulazione, confermata pure in giudizio, che lo studio applicato rappresentava adeguatamente le situazioni di “normalità economica” e che il recupero era rispondente alla realtà aziendale.
Tutto quanto premesso induce questa Commissione a dichiarare l’illegittimità dell’avviso di accertamento perché l’Ufficio non adeguava il risultato degli studi di settore alla concreta e particolare situazione dell’impresa omettendo, in tal modo, di valutare la reale capacità contributiva della stessa. Manca nell’accertamento (frutto di puro e semplice calcolo matematico) qualsiasi riferimento alla situazione fattuale.
L’Amministrazione ha, in pratica operato come se si trovasse di fronte ad una presunzione legale relativa in suo favore.
D’altra parte, l’art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993 fa specifico riferimento alla necessità dell’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore: la sussistenza di tali elementi è, dunque, presupposto imprescindibile per la legittimazione di tale particolare modalità di ricostruzione dei ricavi da parte dell’Ufficio che non può essere considerato dispensato dall’onere della prova, né la stessa può essere fatta ricadere in capo al contribuente in assenza di una espressa normativa in tal senso.
Pertanto, ai fini dell’accertamento, sono necessari due distinti passaggi: verifica della fondatezza dei ricavi emergenti dagli studi di settore (vale a dire che le risultanze di GE.Rl.CO. siano correttamente applicabili al contribuente interessato) e successiva dimostrazione della gravità dell’incongruenza riscontrata.
In realtà, quindi, deve essere l’Amministrazione finanziaria a provare entrambe le condizioni e a non ribaltare l’onere probatorio, come dalla stessa sostenuto, in capo al contribuente. In relazione alla antieconomicità della ditta pure inclusa nell’accertamento deve rilevarsi che la stessa non essendo suffragata da elementi gravi, precisi e concordanti non è atta a confortare il supposto squilibrio tra il reddito dichiarato e quello parametrico di cui agli studi che nella fattispecie risulta, peraltro, essere al di sotto del 10% e, quindi, non ravvisabile quella grave divergenza tra le due redditualità così come indicato dalla Corte di Cassazione.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione accoglie l’appello e riforma la sentenza di primo grado. Condanna l’Ufficio al pagamento delle spese che liquida in € 500,00, oltre accessori se dovuti.
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