COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Napoli sentenza n. 943 del 5 maggio 2016
PROCESSO TRIBUTARIO -RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE DELL’ART. 58 C. 2 DEL D.LGS. 546/92.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l’impugnata sentenza la C.T.P. di Napoli accoglieva il ricorso proposto da — avverso il preavviso di fermo amministrativo come da epigrafe relativo all’auto Mazda 3 tg. — — — di sua proprietà, preavviso speditogli dalla s.p.a. Equitalia Sud per conto dell’Agenzia delle Entrate di Napoli e del Comune di Napoli relativamente a dieci cartelle di pagamento per TARSU, IVA, IRPEF, IRAP ed altro dal 2005 al 2011, il tutto per un importo complessivo di euro 61.022,72.
Il ricorrente aveva dedotto l’omessa notifica delle cartelle richiamate in esso preavviso e la decadenza dal diritto a quelle esazioni tributarie, nonché la necessità di usare la detta auto per accompagnare il figlio minore portatore di grave handicap.
L’Agenzia delle Entrate di Napoli ed il Comune di Napoli, instauratosi il contraddittorio, si erano costituiti deducendo la loro estraneità alla lite, in quanto la notifica delle cartelle riguardava esclusivamente la s.p.a. Equitalia Sud, e quest’ultima, costituitasi anch’essa, aveva contestato in fatto ed in diritto ogni avversa deduzione.
La C.T.P. di Napoli, previamente ritenuto impugnabile il preavviso di fermo, lo annullava rilevando la mancata prova documentale della notifica delle cartelle sottesevi, pur rigettando la domanda di annullamento delle medesime e quella di declaratoria di decadenza.
Avverso tale sentenza proponeva appello la s.p.a. Equitalia Sud, producendo documentazione relativa alla notifica delle dette cartelle e comunque sostenendo l’erroneità della decisione adottata per divisate inammissibilità ed infondatezza della domanda di annullamento del preavviso di fermo, nonché comunque per difetto di prova circa la dedotta necessità del contribuente di accompagnare con quell’auto il figlio minore portatore di handicap.
Radicatasi la lite nel presente procedimento di secondo grado, si costituiva solo — resistendo all’appello per asserita tardività dell’avversa produzione documentale e formulando gravame incidentale in ordine al mancato annullamento di tutte le cartelle nonché in ordine al rigetto della deduzione di decadenza, tanto poi ribadendo in note difensive prodotte in data 01.04.16.
Indi questo collegio ha adottato la deliberazione, come da dispositivo e motivi qui contenuti, all’udienza odierna, svoltasi con le formalità di cui all’art. 34 d. lgs. 546/92 nella ricorrenza di ogni requisito previsto dalla detta norma.
MOTIVI DELLA DECISIONE
S’impone ai fini del decidere – previamente ammessa l’impugnabilità del preavviso di fermo (cfr. Cass. S.U. n. 11087/10) – la delibazione di questa C.T.R. circa la questione di costituzionalità, da sollevarsi d’ufficio, in ordine al disposto dell’art. 58 co. 2 del d. lgs. 546/92, sia in sé che in relazione al co. l della stessa norma, questione strettamente funzionale alla decisione della causa, in cui appunto si controverte della legittimità della produzione in appello della prova documentale della notifica delle cartelle prodromiche al preavviso di fermo in oggetto, pur se tale prova era nella disponibilità della parte producente, nella specie la s.p.a. Equitalia Sud, già in primo grado.
Il cit. art. 58 invero – dopo aver prescritto, al co. l, pedissequamente al disposto dell’art. 345 c.p.c., che non possono essere prodotti nuovi mezzi di prova in appello, salvo che non siano ritenuti indispensabili o che la parte non dimostri di non aver potuto proporli o produrli in primo grado per causa ad essa non imputabile – al co. 2 sembra far salva indiscriminatamente la possibilità di produzione in secondo grado di nuovi documenti.
Ora, va subito ricordato che a riguardo si è ravvisata la specialità di tale ultima disposizione normativa – peculiare del rito tributario in cui non può trovare propriamente ingresso quasi nessun altro mezzo di prova ai sensi dell’art. 7 d. lgs. 546/92- rispetto a quella generale di cui al cit. art. 345 c.p.c. (cfr., ex multis, Cass. n. 6914/11; n. 10234/12; n. 3661/15) e che se n’è costantemente registrata una ferrea, e perfino burocratica, interpretazione letterale, donde viene avallata la legittimità della produzione di nuovi documenti in appello pur quando essi siano stati già, come nella specie, in possesso della parte che per sua mera inerzia non li abbia fino ad allora prodotti.
Per l’effetto la disposizione di legge in esame faculterebbe, a quanto già cennato, una libera ed incondizionata producibilità documentale cui non sarebbe d’ostacolo l’omessa o tardiva produzione di quegli stessi documenti in primo grado, e ciò in aderenza ad univoco orientamento della Suprema Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 18907/11; n. 20109/12; n. 665/14; n. 21909/15).
Anzi al più la giurisprudenza di legittimità si è fatta scrupolo di affermare che dovrebbe applicarsi anche in secondo grado il limite posto dall’art. 32 d lgs. 546/92 per effetto del richiamo operato dall’art. 61 d. lgs. n. 546/92, di guisa che la produzione di nuovi documenti in appello dovrebbe rispettare il termine di venti giorni liberi prima dell’udienza, oltre ad osservare le formalità di cui al co. l dell’art. 24 di esso d.lgs. n. 546/92 (cfr. Cass. n.20109/12 e n. 3661/15 già cit.).
Pertanto, per restare nello specifico, secondo l’insegnamento dei Supremi Giudici, la prova della notifica al contribuente delle cartelle prodromiche al preavviso di fermo in oggetto ben potrebbe essere acquisita nel presente grado, pur non avendo la s.p.a. Equitalia Sud provato la sussistenza di caso fortuito o forza maggiore impeditivi di tale produzione in primo grado.
In altri termini la perenzione cristallizzatasi davanti alla C.T.P. per mancata produzione di tali documenti o per ipotetica mancata produzione dei medesimi nel termine previsto dall’art. 32 del d.lgs. n. 546/92 – termine di natura indubbiamente perentoria proprio perché prescritto come tempo utile ed ultimativo per il compimento di atti del processo, nell’evidente logica pubblicistica dell’ordinato suo svolgimento, donde trae appunto la propria ragion d’essere la comminatoria della decadenza (cfr. anche Cass. n. 655/14 che, nel ravvisare la perentorietà in discorso, pur in assenza di espressa previsione legislativa, giustifica la decadenza con riferimento al rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio) – resterebbe sempre sanabile davanti alla C.T.R., o, nella peggiore delle ipotesi, lo resterebbe nel rispetto del termine dei venti giorni ex art. 32 cit. anteriori alla prima udienza in appello.
E per di più tale sanatoria opererebbe, come già detto, in modo del tutto incondizionato, e cioè neppure vincolato ad un previo giudizio di eventuale indispensabilità di quell’acquisizione, parallelamente a quanto previsto dal co. l dell’art. 58 in discorso (co. l implicante, a tacer d’altro, una delicata valutazione giudiziale che, districandosi fra veri e propri equilibrismi interpretativi, dovrebbe evitare di tradursi in interventi adiutori del giudice in violazione del diritto di difesa dell’altra parte). Su tali premesse, a parere di questa C.T.R., non potendo ritenersi consentita una lettura così largheggiante dell’art. 58 co. 2 d. lgs. 546/92, non si potrebbe sfuggire da questa alternativa: o ritenere costituzionalmente illegittima, senza mezzi termini, la disposizione in esame, o limitarla fortemente e significativamente in sede interpretativa.
A tal ultimo riguardo per documenti nuovi potrebbero piuttosto intendersi – ed invero proprio in ossequio alla cennata logica di specialità ascrivibile alla nota inibizione di esperire prove testimoniati ex art. 7 co. 4 d. lgs. n. 546/92 cit.- documenti ulteriori rispetto a quelli già acquisiti, come nel caso in cui sussista la necessità di integrarli o anche di produrli per la prima volta in relazione alla sopravvenienza di argomentazioni fattuali o giuridiche esposte nella sentenza impugnata oppure nel gravame (a seconda che si consideri la posizione dell’appellante o dell’appellato), o ancora, al più, in ogni altro caso in cui non si sia già perento il diritto della parte di versarli in processo.
Ma – senza peraltro nascondersi che forse quanto appena delineato sarebbe già scritto nel sistema, di guisa che una tale lettura restrittiva e, ad avviso di questa C.T.R., costituzionalmente orientata finirebbe col rendere del tutto pleonastica la specificazione contenuta in esso art. 58 co. 2 – dovrebbe comunque evitarsi radicalmente che tale disposto normativo possa mai consentire di produrre in appello documenti producibili in primo grado e nondimeno, senza cogenti ragioni giustificative, non prodotti affatto oppure non prodotti tempestivamente nel termine di cui all’art. 32 cit., e quindi documenti la cui produzione si sia perenta in primo grado.
È, a ben guardare, lo stesso concetto di perenzione ad indicare, nel lessico comune prima ancora e in quello giuridico, l’impossibilità di reviviscenza: si perime ciò che si perde e ciò che si perde più non risorge.
Sarebbe invero singolare che il sistema processuale tributario vietasse in primo grado l’acquisizione di documenti oltre i limiti temporali fissati dall’art. 32 d. lgs. n. 546/92 per poi consentire in appello, ai sensi dell’art. 58 co. 2 dello stesso d. lgs., la loro producibilità libera e piena.
Né meno libera e meno piena essa sarebbe anche a voler recepire il citato pensiero giurisprudenziale (Cass. n. 20109/12 e n. 3661/15) per il quale dovrebbe rispettarsi anche in grado d’appello il limite di cui all’art. 32 cit., e ciò in quanto resterebbe pur sempre il problema di consentire la reviviscenza di una facoltà processuale perenta.
E ciò non sarebbe soltanto antinomico rispetto alla dimensione logico-giuridica del perimersi decadenziale nei sensi sopra cennati, ma finirebbe, ancor peggio, col vanificare quel rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio di cui, come già detto, si fa opportunamente carico la giurisprudenza, ravvisandovi appunto la ratio stessa della decadenza (cfr. Cass. n. 655/14 cit. ed anche n. 3661/15 cit.).
Invero una produzione documentale nuova in appello, pur se possibile in primo grado e non avvenuta per mera inerzia della parte interessata, potrebbe essere voluta ad arte per impedire al controsoggetto processuale la proposizione di motivi aggiunti in primo grado e quindi il pieno esercizio del diritto di difesa di quegli.
Né varrebbe opporre che una tale facoltà sarebbe pur sempre salva all’esito della produzione in appello, dal momento che, per com’è evidente, la controparte del producente avrebbe, pur sempre e per sempre, perso – senza quindi possibilità di reviviscenze di sorta – un grado di giudizio utile alla sua difesa.
Utile alla difesa e perciò necessario ed anzi, ex art. 24 Cost., ineludibile.
Come si vede, quel tale rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, rispetto pur valorizzato dalla citata giurisprudenza, verrebbe gravemente meno, con il risultato antigiuridico di conculcare o limitare il diritto di difesa della parte non negligente ed invece favorire proprio la parte negligente che, avendo omesso di produrre in primo grado ciò che ben poteva produrre, verrebbe in tal modo ad essere premiata anziché essere sanzionata.
O meglio verrebbe ad essere premiata dopo essere stata sanzionata solo in maniera effimera e precaria in primo grado e perciò, in fin dei conti e per dirla tutta, solo per finta, così come solo per finta il diritto di produrre documenti si sarebbe estinto davanti al primo giudice per poi risorgere davanti al secondo.
E – si ripete – non vi resta implicata la sola preoccupazione logica e sistematica di postulare la possibilità di una tale resurrezione, ma ben piuttosto quella di veder minata in radice la certezza delle situazioni giuridiche di cui consta il rapporto processuale.
Infatti la decadenza del diritto di una parte non potrebbe mai radicare l’effetto estintivo che le è proprio con correlate conseguenze nel patrimonio giuridico della parte contrapposta: il diritto acquisito da quest’ultima di giovarsene, come di consueto, in via definitiva ed irreversibile più non sussisterebbe, dal momento che essa parte contrapposta resterebbe condannata ad uno stato di dubbio e precarietà sull’esistenza di quel suo diritto derivato dall’avversa caducazione, diritto che perciò potrebbe definirsi tale solo per intanto o, per così dire, allo stato degli atti.
Parallelamente la decadenza non avrà sancito, secondo la regola ordinaria, la morte, peraltro di tipo abortivo, del diritto non esercitato, ma solo una sorta di sua morte presunta, con l’intuibile precarietà che ne deriva.
Tanto varrebbe dunque liberalizzare fin da subito, in primo grado, la facoltà dì produrre documenti senza limiti di sorta. E ciò anche e soprattutto al fine di evitare la contorsione logico-giuridica di scompensare gli spazi decisori fra i due gradi di giudizio, restringendo il primo in attesa di ampliare eventualmente il secondo. Verrebbe così a crearsi un sistema ibrido in cui sarebbe possibile ed anzi in qualche modo precostituita una cognizione iniziale più ridotta rispetto a quella del gravame.
Ed invero l’estensione del giudizio d’appello risulterebbe in tal modo, in un abnorme ribaltamento dei tradizionali schemi processuali, non più dimensionato minoritariamente sul devolutum (nella più corretta accezione che trascende i meri aspetti difensivi ed argomentativi e coinvolge anche i mezzi di prova acquisti e richiamati a supporto delle deduzioni censorie), bensì passibile delle più impreviste ed impensabili dilatazioni innescate dai nuovi documenti, fino a snaturare la stessa concezione del giudizio d’appello come revisio prioris instantiae.
Pertanto quantomeno s’imporrebbe, ad avviso di chi giudica, una lettura restrittiva del co. 2 dell’art. 58 d. lgs. n. 546/92 – salvo a ritenerlo addirittura incostituzionale – rispetto a quella abilitante una produzione documentale senza limiti e condizioni in grado d’appello (o finanche con l’uguale limite di cui all’art. 32 d. lgs. n. 546/92 applicato ex art. 61 dello stesso d. lgs.), onde evitare l’effetto perverso di annullare le decadenze già verificatesi in primo grado e così sovvertire ogni garanzia di contraddittorio ed ogni certezza correlata a quest’ultimo, nonché, prima ancora, la Stessa dimensione strutturale e funzionale del processo che non consente regressioni di sorta nel suo coessenziale divenire.
Stavolta dunque, a voler seguire il citato pensiero giurisprudenziale della Suprema Corte dal quale si dissente, la sanzione della decadenza resterebbe annullata, con singolare esito premiale dell’inerzia sottesa alla perenzione caducativa già realizzatasi e quindi con incidenza su effetti già defìniti nel rapporto processuale fra le parti, non già jussu judicis come nella detta ipotesi della divisata indispensabilità del documento di cui al co. l dell’art. 58 in discorso, bensì addirittura, sempre e comunque, ope legis.
A tacer d’altro, poi, si dovrebbe anche ritenere che il co. l dell’art. 58 d. lgs. n. 546/92 resti sempre abrogato dal suo co. 2, atteso che non sussiste un netto discrimine concettuale fra la categoria giuridica dei mezzi di prova e quella dei documenti, rientrando questi ultimi propriamente nel novero dei primi, quali mezzi di prova costituiti diversi da quelli costituendi e perciò come species dello stesso genus (cfr. Cass. S.U. n. 8203/05), il tutto non senza ribadire ancora che nel processo tributario i mezzi di prova sono appunto essenzialmente i documenti, attese le minimali indicazioni dell’art. 7 d. lgs. n. 546/92 circa gli altri mezzi istruttori consentiti e dovendosi altresì ricordare che neppure la c.t.u. può considerarsi tecnicamente un mezzo di prova (cfr., ex multis, Cass. n. 132/96; n. 4720/96; n. 996/99; n. 14979/00; n. 5422/02; 9060/03; 3004/04; n. 13401/05; n. 9522/06 S.U.; n. 23087/06; n. 24620/07; n. 1850/09 S.U.; n. 9461/10; n. 3130/11; n. 8989/11; n. 2251/13).
Il che renderebbe, per altro verso, alquanto pletorico il dettato di esso co. l, per cui il riferimento letterale dei due commi in discorso rispettivamente ai mezzi di prova ed ai documenti si risolverebbe, in definitiva, in una dualità solo apparente.
Non si ravvisa quindi manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui posta d’ufficio con riferimento alla contrarietà della normativa di che trattasi rispetto agli artt. 3 e 24 Cost., essendo innegabile il dato della disparità di trattamento delle parti, con intollerabile sbilanciamento a favore di quella facultata a produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore ed in danno della controparte, costretta comunque a vedere limitata e compromessa la sua difesa per effetto dell’indubbia sottrazione di un grado di giudizio alla sua posizione processuale.
Da quanto appena detto discende altresì, quasi a mo’ di corollario, la non manifesta infondatezza della stessa questione di costituzionalità rispetto all’art. 117 co. l Cost. e, per esso, rispetto ai vincoli derivanti, a tacer d’altro, dall’art. 6 CEDU, che sancisce il diritto ad un processo equo.
A ciò si aggiungano le esposte notazioni, di immediata valenza logica prima che giuridica, riferite alla reviviscenza di diritti perenti o caducati ed ai connessi guasti giuridici che si verificherebbero in capo alla controparte della producente i nuovi documenti e, più in generale, nel sistema nonché, per quanto di ragione, in ordine alla stessa dimensione concettuale di processo come divenire non regressivo ed a quella di processo di secondo grado con devoluzione non maggiore rispetto al primo grado, non senza infine considerare tutte le anomalie e le incongruenze interpretative radicate dalla congiunta lettura dei due commi dell’art. 58 nei sensi detti.
Per tutto quanto precede, la tematica della legittimità costituzionale del complessivo disposto di tale norma, ad avviso di questa C.T.R., merita di essere approfondita, quantomeno alla stregua degli argomenti qui addotti ex officio judicis, nella parte in cui si prevede che la produzione di nuovi documenti in appello sia sempre ammessa (ancorché nei termini ex art. 32 d.lgs. 546/92 per il disposto dell’art. 61 d. lgs. n. 546/92), anche per i documenti già in possesso della parte in primo grado e da essa non prodotti affatto o non prodotti tempestivamente, e quindi ad onta dell’effetto decadenziale definitivo ed insanabile verificatosi sulla facoltà di produrli in appello, salvo conclamate evenienze fortuite o di forza maggiore.
Ai sensi dell’art. 23 co. 2 della legge 11.03.53 n. 87 il presente giudizio è sospeso fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità, mentre ai sensi dell’art. 23 co. 4 della legge 11.03.53 n. 87 la presente ordinanza sarà notificata alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
P.Q.M
La commissione così provvede:
a) letti gli artt. 134 e 137 Cost.; l’art. l della legge cost. 09.02.48 n. l e l’art. 23 della legge 11.03.53 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58 co. 2 del d lgs n. 546/92, sia in sé che in relazione al co. l di essa norma, per divisato contrasto con gli artt. 3, 24 e 117 co. l Cost., nonché con criteri di razionalità e con i princìpi generali dell’ordinamento nei sensi di cui in motivazione;
b) dispone la sospensione del presente giudizio;
c) dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati;
d) dispone infine l’immediata trasmissione della presente ordinanza alla Corte Costituzionale assieme al fascicolo processuale nella sua interezza e con la prova delle avvenute e rituali notificazioni e comunicazioni predette.