Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sentenza n. 1122, sez. 2, depositata l’ 11 marzo 2022
IMU – Soggetto passivo – Concessione di aree demaniali – Concessionario che acquisisce possesso qualificato del bene – Revoca della concessione – Continuazione di fatto dell’attività – Irrilevanza – Cessazione dell’obbligo contributivo del concessionario – Consegue.
In tema di IMU, la revoca della concessione demaniale fa venir meno il presupposto impositivo e libera il concessionario dal dovere contributivo, anche se il bene non sia stato restituito e l’attività risulti, di fatto, proseguita
A seguito della rilevazione delle posizioni tributarie ai fini IMU, il Comune di Roma Capitale aveva rilevato che la società XXXXX Srl, per l’anno 2015, era debitrice di una maggiore imposta per omesso versamento; pertanto, aveva notificato l’avviso di accertamento in rettifica I.M.U. indicato in epigrafe.
La società aveva proposto ricorso avverso tale provvedimento, chiedendone la sospensione, nonché l’annullamento poiché ritenuto illegittimo.
All’esito del giudizio di primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma aveva accolto parzialmente il ricorso, ritenendo che l’accertamento fosse illegittimo limitatamente all’imposta riferibile al periodo successivo al 27 aprile 2015 – data in cui la concessione era stata revocata – con conseguente onere dell’ente impositore di rideterminare l’entità dell’imposta applicata e delle conseguenti sanzioni ed interessi.
Roma Capitale ha impugnato la sentenza di primo grado.
In primo luogo, ha ribadito l’irrilevanza della circostanza che la società non è proprietaria, ma solo concessionaria, degli immobili soggetti a tassazione.
In proposito, ha ricordato che, in base all’art. 5, comma 3, del Regolamento IMU, “nel caso di concessioni su aree demaniali soggetto passivo è il concessionario”.
Inoltre, ha evidenziato come la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria siano ormai concordi nel riconoscere, in capo al concessionario la soggettività passiva ICI (ora IMU); “infatti, a decorrere dal 1 gennaio 2001, per la modifica apportata all’art. 3, comma 2 del D.lgs. n. 504 del 1992 – dall’articolo 18, comma 2 della Finanziaria 2001 – i concessionari di beni demaniali sono stati qualificati come soggetti passivi ai fini dell’ICI anche nell’ipotesi in cui l’oggetto della concessione sia limitato al mero utilizzo di aree inedificate o sulle quali già insistono edifici, realizzati dal concedente”.
Con riferimento al caso di specie, ha evidenziato che “la ricorrente ha realizzato costruzioni su aree demaniali in forza di una convenzione/concessione del 23 ottobre 2007”.
Inoltre, ha precisato che “Gli immobili, seppur di proprietà del Comune di Roma, sono dati in concessione alla ricorrente che (…), risulta unico soggetto passivo IMU, per il periodo d’imposta oggetto di accertamento, atteso che è fuor di dubbio che dal 2001 il concessionario è soggetto passivo indipendentemente dalla tipologia dell’atto concessori e l’oggetto dell’IMU è il fabbricato costruito sull’area demaniale”.
In secondo luogo, ha ribadito l’irrilevanza della circostanza che nei confronti della società, con Determinazione dirigenziale n. 44 del 27 aprile 2015, era stata revocata la concessione del Compendio immobiliare denominato Punto Verde Qualità “20.12 Convenzione Olgiata”.
In proposito, ha evidenziato che “Roma Capitale con la suddetta determinazione, ha revocato la concessione “per il mancato pagamento delle rate di mutuo e successiva escussione della garanzia offerta dall’Amministrazione Capitolina, quale grave e determinante motivo, (che) è causa di decadenza della concessione”.
Nondimeno, ha rappresentato che “dalla Determinazione Dirigenziale di Roma Capitale numero di repertorio. LV/19/2017 e numero di repertorio LV/1014/2017, che ha come oggetto: Conferenza di servizi interna di cui alla D.D. del Segretario Generale RC/18 del 18/04/2016 – P.V.Q. 20.12 CONVENZIONE OLGIATA. Conclusioni lavori – si può ritenere che la ricorrente nel 2016 fosse ancora in attività”.
Infatti, “nella determina è riportato che la Conferenza dei Servizi demanda ai vari Dipartimenti, la gestione per l’acquisizione patrimoniale ancora occupati dalla Società YYYYY S.R.L., decaduta, per provvedere poi, alla gestione diretta o l’affidamento a terzi degli immobili in concessione mediante procedura di sequestro e successiva riassegnazione di evidenza pubblica”.
Inoltre, ha precisato che a seguito di verifica degli addetti all’attività di accertamento per il controllo delle entrate di Roma Capitale, ai sensi dell’articolo 1 commi 158, 159, 160, 179, 180, 181 e 182 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, era stato accertato che le attività ricomprese negli immobili in concessione del P.V.Q. 20.12 erano ancora attive.
La società XXXXX Srl si è costituita in giudizio, contestando le eccezioni formulate dal Comune.
In primo luogo, ha eccepito la “Inammissibilità dell’appello per mancata indicazione dei motivi specifici di impugnazione. – Violazione dell’art. 53, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992”.
In secondo luogo, ha eccepito “La formazione del giudicato interno in ordine all’annullamento delle sanzioni irrogate stante la mancata applicazione del principio della continuazione per mancata impugnazione da parte dell’ufficio del capo della sentenza di primo grado sfavorevole. – Rinuncia dell’ufficio all’impugnazione ed acquiescenza parziale alla sentenza di primo grado”.
Nel merito, ha ribadito la correttezza della sentenza di prime cure, secondo cui la decadenza dalla concessione, per mancato pagamento dei canoni, ha determinato il venir meno del presupposto d’imposta.
Infine, ha riproposto le questioni non accolte.
1. La prima questione all’esame del Collegio concerne la verifica dell’ammissibilità dell’appello.
A tale proposito, la società, in sede di controdeduzioni, ha eccepito la “Inammissibilità dell’appello per mancata indicazione dei motivi specifici di impugnazione. – Violazione dell’art. 53, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992”.
2. L’eccezione è infondata.
L’art. 53 comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992 dispone che “Il ricorso in appello contiene l’indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici dell’impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell’art. 18, comma 3″.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, “Nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione“. (Cass. civ. Sez. V Ord., 23 aprile 2021, n. 10864).
Nel caso di specie, invero, l’appello è diretto alla riforma della sentenza di primo grado, di cui non è stato condiviso il percorso argomentativo.
In particolare, è stato ribadito che il presupposto d’imposta è costituito dal possesso qualificato del bene e che, seppure di fatto, la società, anche dopo la revoca della concessione, aveva continuato a gestire il compendio immobiliare.
Le rappresentate circostanze costituiscono specifici motivi di impugnazione.
3. Nel merito della controversia, il Collegio rileva quanto segue.
Il giudice di prime cure aveva ritenuto sussistente il presupposto d’imposta nei confronti della società fino alla data del 27 aprile 2015, in cui la concessione era stata revocata per inadempimento.
Il Comune di Roma ha contestato tale pronuncia, ritenendo tale circostanza non ostativa alla permanenza dell’obbligo contributivo, atteso che, seppure di fatto, la società, anche dopo la revoca della concessione, aveva continuato a gestire il compendio immobiliare.
4. Tale prospettazione non è conforme al dato normativo.
L’art. 8, comma 2, del D.Lgs. n. 23 del 2011 prevede che “l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale”.
Il successivo art. 9, comma 1, dispone che “Soggetti passivi dell’imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi. Nel caso di concessione di aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario”.
In linea generale, occorre ricordare che i diritti reali costituiscono una categoria chiusa [numerus clausus), insuscettibile di ampliamento da parte del cittadino.
Ne consegue che il possesso richiesto dalla legge quale presupposto dell’imposta municipale deve corrispondere ad uno di tali diritti; in altri termini, occorre un possesso qualificato.
Nell’impianto normativo è espressamente indicato il soggetto passivo nel caso di concessione di beni demaniali; in tale caso, la legge attribuisce al concessionario l’onere contributivo, nel presupposto che, a seguito dell’atto concessorio, il concessionario acquista il possesso qualificato del bene.
In sostanza, il titolo che attribuisce al concessionario la qualifica di possessore qualificato è l’atto di concessione.
Ne consegue che la revoca della concessione fa venir meno tale titolo.
Tale ricostruzione del meccanismo degli effetti della revoca dell’atto è sostanzialmente conforme alla giurisprudenza di legittimità che, con riferimento alla cessazione degli effetti del contratto di leasing immobiliare, ha affermato che “In tema di Imu, il venir meno del contratto di “leasing” fa venire meno anche la legittima posizione di detentore qualificato in capo all’utilizzatore ancora nel possesso del bene. Con la risoluzione del contratto di “leasing”, infatti, ai fini tributari, non sopravvive alcun effetto contrattuale, in quanto la causa del finanziamento viene meno, non vi è possibilità di riscatto e soprattutto la mera detenzione senza titolo risulta priva di effetti ai fini tributari“. (Cass. civ. Sez. V Ord., 22 luglio 2021, n. 20977).
Con specifico riferimento al presupposto soggettivo, la Suprema Corte ha affermato che “In tema di Imu, nel caso di locazione finanziaria, l’art. 9 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 individua nel locatario il soggetto passivo, a decorrere dalla data di stipula e per tutta la durata del contratto, derivandone, qualora il contratto di leasing sia risolto, che il locatore ritorna ad essere soggetto passivo, anche se l’immobile non sia stato restituito“. (Cass. civ. Sez. V, 9 ottobre 2019, n. 25249).
La circostanza rappresentata dal Comune della perdurante ed abusiva detenzione del bene da parte dell’ex concessionario non può assumere rilievo ai fini tributari, sebbene resti rilevante per ogni conseguente azione restitutoria e risarcitoria.
5. All’esito della precedente ricostruzione della controversia, la sentenza di prime cure deve essere confermata.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Commissione respinge l’appello del Comune di Roma e lo condanna al pagamento delle spese che liquida in euro 2.500,00 oltre accessori di legge.
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