Commissione Tributaria Regionale per il Lazio sezione VI sentenza n. 4261 depositata il 15 luglio 2019
Imposte indirette – Iva – Operazioni soggettivamente inesistenti – Fatturazione – Amministrazione finanziaria – Contestazione – Onere probatorio – Frode e consapevolezza del destinatario – Necessità
FATTO E DIRITTO
Con appello depositato in data 6/9/2017, la società M. srl, con unico socio, impugnava la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con la quale quest’ultima aveva rigettato il ricorso, avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento n. (omissis), inerente IVA, anno 2009.
L’appellante contestava la sentenza di primo grado, in primis, perché non era rispondente al vero che la società contribuente avesse omesso di fornire la prova circa l’equivalenza dei prezzi praticati da B. srl rispetto agli altri operatori di mercato, avendo prodotto tre faldoni contenenti i listini, solo sintetizzati nello schema. Ed ancora la sentenza era da censurare per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 D.lgs. 471/1997: invero, non si poteva parlare di operazioni inesistenti, né sotto il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo. Relativamente al primo profilo osservava l’appellante che le transazioni commerciali tra la M. srl e la B. srl erano tutte documentate e comprovate da pagamenti effettuati attraverso bonifici; relativamente al secondo profilo, doveva essere onere dell’Ufficio dimostrare la consapevolezza da parte della contribuente di effettuare acquisti di merce a prezzi “viziati” dall’omesso versamento IVA. La M. srl aveva effettuato ordini on line tutti prontamente evasi, sì da non legittimare il sospetto che la fornitrice fosse una mera società cartiera; inoltre, i prezzi praticati dalla B. srl per le forniture elettroniche erano assolutamente in linea con i prezzi degli operatori di mercato del settore, tanto che non era possibile avvedersi della frode (cfr. listini prodotti).
Nella memoria depositata erano riprodotti i passi salienti dell’atto di appello, nonché evidenziata la pendenza di un analogo processo presso la Commissione Tributaria Regionale del Lazio.
Si costituiva l’Ufficio, il quale insisteva per la conferma della sentenza impugnata immune dalle censure esposte nel gravame. Gli elementi raccolti nei confronti della B. srl erano tali da ritenere che la società fosse esistita solo sulla carta, al fine di interporsi nella catena commerciale dei prodotti, con l’unico scopo di realizzare una frode fiscale, ai danni dell’erario, a beneficio di soggetti, nella fattispecie i clienti della società (tra di essi si annovera appunto la società M. SRL).
In particolare dall’istruttoria svolta dall’Ufficio, anche in relazione all’anno d’imposta 2010 (pendente attualmente in C.T.R. di Roma con R.G.R. n. 2063/2016), emergevano le seguenti circostanze, non contestate dall’appellante: 1) la parte non era in grado di documentare l’esistenza di un contratto con la B. s.r.l.; 2) al momento della consegna della merce non venivano redatti documenti di trasporto; 3) tutte le operazioni avvenivano “brevi manu” e con accordi verbali.
Quindi, l’Ufficio chiedeva che fosse confermata la sentenza impugnata, con vittoria di spese del giudizio.
Alla pubblica udienza del 1/7/2019, comparse le parti che si riportavano ai rispettivi scritti difensivi, la causa era trattenuta in decisione.
Orbene ritiene questo Collegio che l’appello in esame sia da respingere.
Occorre premettere come “in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (cfr. Cass. Sez. 5 sent. n. 27566 del 30/10/2018).
Nel caso di specie, l’Ufficio ha fornito la prova sia dell’oggettiva fittizietà del fornitore, ovvero della B. srl, sia del fatto che la M. srl fosse consapevole della inesistenza di quest’ultima società.
A seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza volte a contrastare il fenomeno della frode l’Iva comunitaria, la Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale Roma 1 eseguiva un accesso presso la sede della società B. srl, risultata inesistente; inoltre, detta società aveva omesso di presentare dichiarazione dei redditi dal 2006 sino al momento della verifica (anno 2014), pur avendo effettuato moltissimi acquisti da San Marino, anche negli anni 2009 e 2010, superiori al milione di euro.
Quindi, l’Ufficio aveva verificato come la B. srl, acquistando i beni in ambito UE o da San Marino (solo cartolarmente), li avesse poi ceduti al vero acquirente ad un corrispettivo (comprensivo di IVA) pari o poco superiore al prezzo di acquisto (costituito dal solo imponibile), facendo così conseguire al proprio acquirente due vantaggi: la possibilità di detrarsi l’IVA sugli acquisti e di rivendere il prodotto (acquistato, conseguentemente, sotto costo) sul mercato nazionale a prezzi concorrenziali (cfr. avviso di accertamento).
Parimenti dimostrata è la consapevolezza del meccanismo sopra descritto da parte della società appellante. Infatti, quest’ultima sosteneva che la sua “buona fede” fosse evincibile dall’aver pagato sempre tramite bonifici ed a prezzi in linea con quelli praticati dagli operatori di mercato del settore, come dimostrato dai listini prodotti già in primo grado.
Tuttavia, proprio analizzando i bonifici in atti è dato evincere come la merce sia stata venduta dalla B. alla M., sotto costo, cioè ad un prezzo comunque inferiore a quello praticato dal fornitore comunitario, con una differenza che è proprio pari all’IVA.
Inoltre il tutto era avvenuto in assenza di ordini scritti (cartacei e/o on line) e quindi, come rilevato dall’Ufficio, con gli imput per le operazioni commerciali rappresentati proprio dall’accredito dei bonifici disposti dal cliente M. srl sul conto della B. affinché quest’ultima provvedesse al pagamento del fornitore intracomunitario.
E poi difettano totalmente le bolle di consegna della merce acquistata che nelle fatture allegate risulta trasportata “a cura del Mittente”. Appare poco credibile che si possa acquistare merce afferente materiali elettronici, quali computer, software, etc. in assenza di documenti attestanti l’effettiva consistenza e funzionalità, anche solo ai fini di garanzia della merce medesima. La consapevolezza e/o l’assenza dell’ordinaria diligenza da parte della società appellante è ricavabile oltre che dall’essere tutte le operazioni avvenute “brevi manu” e con accordi verbali, circostanza che avrebbe dovuto far sorgere quanto meno il dubbio circa l’inesistenza della B. srl, anche dalla frequenza dei suddetti acquisti, avvenuti periodicamente a giorni ravvicinati dello stesso mese (ad esempio n. 7 acquisti solo nel mese di dicembre 2009), per un totale di circa n. 34 acquisti (solo per l’anno 2009 ed altrettanti per l’anno 2010), e per un importo complessivo pari ad euro 146.121,38. Infine se fosse risultato rispondente al vero il fatto di aver eseguito le ordinazioni via email, come riferito nella memoria depositata il 17/6/2019, è possibile che non sia stata allegata neppure una copia di un ordine on line, attestante la tipicità di un siffatto modus operandi?
Conseguentemente, alla luce di quanto sopra esposto, l’appello della M. srl va respinto.
Alla soccombenza della società contribuente segue la condanna della stessa al pagamento, in favore dell’Ufficio delle spese anche di questo grado di giudizio, così come liquidate nel dispositivo, in ossequio all’art. 15, comma 2, comma 2 bis e comma 2 ter del Decreto Legislativo 546/1992, come modificato dal Decreto Legislativo del 24/9/2015 n. 156, entrato in vigore il 1/1/2016.
P.Q.M.
Respinge l’appello della società contribuente che condanna alle spese anche di questo grado di giudizio che si liquidano in euro 1.500,00.
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