Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo sez. 7 sentenza n. 173 depositata il 22 febbraio 2018
IVA – DETRAZIONE DELL’IVA – NON SPETTA IN CASO DI PREMIO DI FINE ANNO
LA SENTENZA DI PRIMO GRADO
Con la sentenza n. 860 del 23-6/21-12-2015, la C.T.P. di Chieti – accogliendo parzialmente il ricorso della “f.” s.r.l. avverso l’avviso di accertamento n. TAZxxx/2012 relativo all’ anno d’imposta 2008: 1) annullava il recupero a tassazione di euro 91.042 per maggiori ricavi; 2) annullava il disconoscimento di euro 14.033 per costi di leasing; 3) annullava il disconoscimento di euro 3.692 per costi di manutenzione di autovetture; 4) annullava il recupero a tassazione di euro 180.200 (parte della maggior somma di euro 200.732) per I.V.A. dovuta.
L’ATTO D’APPELLO
L’Agenzia delle Entrate di Chieti, con l’atto prot. n. xxx del xx-x-2016, chiedeva la riforma della suindicata sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello va accolto limitatamente ai suindicati punti 1) e 4) della sentenza della C.T.P. Quanto alla considerazione della sentenza di I grado, secondo la quale l’appellante non avrebbe dimostrato il valore di mercato dell’oro 750/°°° nel periodo di riferimento (con il necessario raffronto con il prezzo di vendita indicato in fattura), appare illogico avere:
E’ ritenuto congruo il prezzo di soli euro 6,27 al grammo, a fronte di un prezzo medio dell’oro (nel corso del 2008) di circa euro 20 al grammo;
è affermato che il valore dei beni ceduti dipendeva, oltre che dal peso dell’oro che li componeva, anche dalla lavorazione alla quale erano stati sottoposti, essendo invece vero l’esatto contrario, e cioè che soprattutto quanto alla tipologia di gioielli venduta dall’appellata nei propri punti vendita (di certo inferiore anche solo alla fascia media dei gioielli venduti abitualmente nelle oreficerie) – il prezzo di tali prodotti è caratterizzato da un’elevatissima incidenza del costo della materia prima rispetto al costo della lavorazione. Ed allora, con una valutazione ispirata al buon senso, deve ritenersi congruo calcolare il prezzo di vendita al grammo dei beni di oreficeria (sul quale ci si è soffermati alla pagina 10 dell’avviso di accertamento) nell’importo di euro 13,50 al grammo {prezzo al quale si perviene sommando gli importi menzionati di euro 20,74 ed euro 6,27, e successivamente dividendo per due tale addizione}.
Deve ritenersi invece corretto il ragionamento della C.T.P. in punto d’illegittimità del recupero a tassazione dei canoni del leasing per autovetture (e dei costi di manutenzione delle stesse), poiché il contratto era stato stipulato in data 9-10-2007, ed era durato più della metà del periodo di ammortamento di quattro anni (essendo infatti cessato nel settembre 2010), con conseguente deducibilità come costi {infatti, la modifica della deducibilità dei canoni di leasing, e cioè subordinata alla durata minima del contratto pari al periodo di ammortamento di quattro anni, si applica ai contratti stipulati dopo il 3l-12-2007}.
L’esame del (suindicato) punto 4) della sentenza della C.T.P. va effettuato alla luce degli insegnamenti secondo i quali:
– in tema di I.V.A., lo sconto o abbuono praticato sul prezzo di fornitura, che attribuisce al cedente, ai sensi degli artt. 19 e 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il diritto di portare in detrazione l’imposta versata sulla nota di variazione, previa registrazione della stessa, si distingue dal premio o “bonus” riconosciuto ai cessionari, periodicamente o a fine rapporto, in funzione del conseguimento di specifici obiettivi o risultati contrattualmente predeterminati, al quale si applica un diverso regime fiscale, poiché il primo è una componente che incide direttamente sul prezzo della merce o del servizio, riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni poste in essere, mentre il secondo è un contributo autonomo riconosciuto indistintamente a fine esercizio al cliente al raggiungimento di un fatturato determinato o per incentivarlo a futuri acquisti (cfr. Cass. sez. VI ord. n. 5208 del 14-2/30-3-2012, rv. 621734);
– in tema di I.V.A., lo sconto o abbuono praticato sul prezzo di fornitura, che consente l’applicazione dell’art. 26 d.P.R. n. 633/72, deve incidere direttamente sul prezzo della merce o del servizio, riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni poste in essere, e deve costituire il frutto di un accordo, il quale può essere documentale o verbale, e persino successivo, ma va provato, dai soggetti interessati, mediante la trasfusione del patto stesso in note di accredito, emesse da una parte in favore dell’altra, con l’allegazione della causale che, volta per volta, abbia giustificato gli sconti medesimi. La detrazione dell’imposta non spetta, invece, ove il Giudice di merito accerti, in fatto, che non si trattava di sconti ma di un premio di fine anno, ossia di un contributo autonomo riconosciuto indistintamente a fine esercizio al cliente al raggiungimento di un determinato fatturato o comunque per incentivarlo a futuri acquisti (cfr. Cass. sez. VI ord. n. 815 del 6-12-2016/13-1-2017, rv. 643314).
Da tale insegnamento consegue che solo lo sconto, incidendo direttamente sul prezzo della merce compravenduta o del servizio scambiato e riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni, permette al fornitore di avvalersi della procedura di variazione.
Il premio di fine anno, invece, configurandosi quale contributo autonomo riconosciuto indistintamente a fine esercizio al cliente al raggiungimento di un determinato fatturato (o per incentivarlo a futuri acquisti), rappresenta una corresponsione liberale senza alcun collegamento causale con singole e determinate cessioni imponibili, sicché integra una cessione di denaro esclusa dall’applicazione dell’I.V.A. ai sensi dell’art. 2, comma 3 lett. a), D.P.R. n. 633/72.
A fronte di ciò, la C.T.P. si è limitata ad affermare “… che, nella fattispecie, la ricorrente ha comprovato l’esistenza, a monte, di abbuoni previsti contrattualmente con la produzione della circolare interna recante la data 5 gennaio 2007 da considerarsi certa come da timbro postale su di essa apposto. Né le presunte cessioni di denaro, in cui si sostanzierebbero gli abbuoni anzidetti, risultano in qualche modo dimostrati dall’Ufficio
“. Ed allora – premesso come dalla circolare del 5-1-2007 non sia possibile desumere quali siano le condizioni contrattuali stabilite per la concessione del premio – dalle note di variazione emesse dall’appellata si evince che il premio di fine anno (del caso di specie) sia un contributo autonomo riconosciuto indistintamente ai clienti a fine esercizio, senza specifici e predeterminati criteri per l’attribuzione dello stesso, e senza alcun collegamento causale con singole e determinate cessioni imponibili (ad es., un prestabilito volume di affari o di acquisti, un ampliamento della clientela, un determinato numero di contratti, la penetrazione territoriale del mercato, ecc.). L’appellata ha sostenuto che il premio di fine anno discendeva da un accordo verbale, ma nelle note di credito non vi era evidenza alcuna degli estremi delle fatture che ne giustificassero l’attribuzione, della percentuale dello sconto praticato, dell ‘importo del fatturato sul quale lo sconto era applicato, dell’ammontare complessivo dello sconto, ecc.
Ne discende l’insussistenza del diritto di portare in detrazione l’I.V.A. da rinvenirsi, ad es., allorquando, dopo la registrazione di un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, la stessa venga meno in tutto o in parte, o se ne riduca l’ammontare imponibile poiché le somme di denaro corrisposte quali “premio di fine anno” o “premio di fedeltà” sono escluse dal campo di applicazione dell’I.V.A.
La compensazione delle spese del giudizio è giustificata dalla reciproca soccombenza.
PQM
la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione VII, accoglie parzialmente l’appello e, in parziale riforma della sentenza di I grado:
– corregge l’impugnato avviso di accertamento in guisa tale che il prezzo di cessione degli articoli di oreficeria sia di euro 13,50 al grammo;
– dichiara la legittimità dell’impugnato avviso di accertamento nella parte in cui aveva recuperato a tassazione euro 200.732 per I.V.A. dovuta indebitamente detratta; compensa tra le parti le spese del giudizio.
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