Commissione Tributaria Regionale per l’Umbria, sezione 3, sentenza n. 11 depositata il 13 gennaio 2020

Onere della prova – società di comodo

FATTO

1.-La società B.C. ha impugnato avviso di accertamento relativo all’anno 2011 con cui l’Agenzia delle Entrate, ravvisando le condizioni per applicare la disciplina in tema di società di comodo, ha accertato un reddito imponibile ai fini IRES pari a 111.276,00 euro determinato ai sensi dell’art. 30 legge 724/94.

La società ha sostenuto in primo grado in sintesi: – l’erroneità in merito all’applicazione della disciplina in tema di società di comodo, essendo dipesa l’inattività da fatti oggettivi quali lo stato di inagibilità degli immobili e la stagionalità dell’attività di agriturismo esercitata; la violazione del contraddittorio e del termine di 60 gg previsto dal comma 7 art. 12 l. 212/2000.

La CTP di Perugia con sentenza n. 419/2017 ha respinto il ricorso con condanna alle spese di lite (1.500,00 euro) in sintesi affermando l’irrilevanza sulla qualifica di società non operativa della circostanza secondo cui ai fini della determinazione del reddito l’Amministrazione Finanziaria abbia optato per l’applicazione del metodo induttivo puro. Ha rilevato il primo giudice la mancata prova da parte della società dell’esercizio di una effettiva attività economica ovvero dell’attività di agriturismo statutariamente prevista.

Ha ritenuto non esaustiva la circostanza della pur dimostrata inagibilità ed inidoneità di n. 8 unità immobiliari dal 2010 al 7 maggio 2012 risultando la società proprietaria di altre unità immobiliari e di 15 terreni alla data del 31 dicembre 2011.

In conclusione, il giudice di primo grado ha escluso la prova da parte del contribuente della operatività e quanto ai vizi di natura formale dedotti, ha richiamato il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine di 60 giorni in questione non è operativo per gli accertamenti standardizzati mediante parametri e/o studi di settore. Con atto di appello la società ripropone tutti i motivi già oggetto del giudizio di primo grado. In punto di fatto precisa di essere proprietaria di un complesso immobiliare composto da 9 appartamenti per civile abitazione, interessati da importanti interventi di ristrutturazione nel periodo 2010-12.

I terreni a disposizione della società non sarebbero agricoli ma aree pertinenziali degli appartamenti turistici.

L’anno 2011 dunque sarebbe a suo avviso stato caratterizzato dall’impossibilità oggettiva dello sfruttamento economico del complesso turistico, non avendo sia l’Agenzia che la CTP tenuto in considerazione il carattere tipicamente stagionale dell’attività esercitata.

Risulterebbe inoltre violata la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/2010 dal momento che il PVC sarebbe fondato solo sulla situazione contabile senza alcuna disamina sulla situazione fattuale dell’azienda. Il contraddittorio sarebbe stato ancor più necessario in ipotesi di accertamento mediante strumenti parametrici, essendo su questo punto la giurisprudenza della Cassazione richiamata dall’Ufficio del tutto inconferente rispetto al caso di specie; a prescindere dalla distinzione tra tributi armonizzati e non, il contraddittorio sarebbe necessitato in sede di accertamento standardizzato laddove vada verificata la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina in tema di società di comodo.

Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate eccependo l’infondatezza dell’appello. In sintesi ha evidenziato le diverse violazioni commesse dalla società in particolare, per l’anno 2009, l’omessa registrazione di contatti di locazione, l’anomala svalutazione di crediti e delle fatture da emettere per l’anno 2010. L’Ufficio dice di aver tenuto in considerazione la circostanza della inutilizzabilità del complesso immobiliare per ristrutturazione ma ne nega l’idonèità allo scopo.

Nel 2011 la società ha cessato l’attività di agriturismo ed ha indicato quale attività prevalente la coltivazione di ortaggi. Sarebbe del tutto irrilevante la non utilizzabilità dei fabbricati essendo principale l’attività agricola.

Al termine della ristrutturazione nel 2012 sono stati stipulati contratti di locazione non finanziaria con soggetti detentori di quote della società accertata quale ulteriore elemento a comprova della natura di comodo della società.

Il procedimento di accertamento qui in contestazione non andrebbe ricondotto diversamente da quanto sostenuto dall’appellante nell’ambito dei procedimenti standardizzati. Quanto alle censure in tema di violazione del contraddittorio cita la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite (n. 24823/2015) secondo cui non vi sarebbe obbligo del contraddittorio per verifiche “a tavolino” relative a tributi non armonizzati.

Il contraddittorio comunque sarebbe stato effettuato il 22 luglio 2014 con il rappresentante legale della società. Rileva infine l’inammissibilità dell’eccezione, sollevata per la prima volta in appello, di illegittimità della richiesta della maggior imposta IVA a credito.

Infine evidenzia l’Ufficio che in relazione al periodo di imposta 2009 l’appello della odierna società è stato respinto con sentenza n. 71/2017. All’udienza pubblica del 18 novembre 2019, uditi i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

2. Preliminarmente, va accolta l’eccezione sollevata dall’Ufficio di inammissibilità dell’eccezione, sollevata per la prima volta in appello, di illegittimità della richiesta della maggior imposta IVA a credito, stante il noto divieto di “ius novorum” (ex multis Cassazione civile, sez. trib., 30 ottobre 2018, n. 27562).

3. Quanto al merito l’appello è infondato e va respinto.

4. Materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (ex multis Cassazione civile, sez. trib., 21 ottobre 2015, n. 21358).

Spetta dunque al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive (e straordinarie), specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (Comm. trib. reg., Milano, sez. XV, 18 gennaio 2019, n. 276).

Il mancato assolvimento dell’onere probatorio rende pienamente legittimo l’operato dell’Ufficio finanziario, non essendo vinta la presunzione legale seppur relativa della costituzione della società solo per trame vantaggi fiscali relativamente ai beni conferiti alla stessa. Ciò premesso, sul punto è effettivamente comprovato dali’ appellante lo stato di inattività di n. 8 unità immobiliari del complesso immobiliare in proprietà, per effetto della ristrutturazione edilizia effettuata nel periodo 2010-2012.

Ciò nonostante non ritiene l’adita Commissione tale elemento, pur di carattere oggettivo, sufficiente ai fini di escludere l’applicazione della disciplina in tema di società non operative, dal momento che la società appellante non ha mai concretamente svolto alcuna attività, se si eccettua la locazione saltuaria di alcuni terreni e fabbricati. In particolare la società appellante non ha mai effettuato nell’arco temporale di riferimento l’attività di agriturismo per cui è stata costituita, avendo indicato nel 2011 quale attività prevalente la coltivazione di ortaggi.

Ancora, al termine dei suindicati interventi di ristrutturazione edilizia nel 2012 sono stati stipulati contratti di locazione non finanziaria con soggetti detentori di quote della società accertata, quale ulteriore elemento a comprova, secondo la Commissione, della natura di comodo della società.

5. Non meritano infine adesione nemmeno i dedotti motivi, di carattere “formale”, della violazione delle regole sul contraddittorio. Dalla documentazione depositata in giudizio risulta, anzitutto, come il contraddittorio con l’Agenzia sia stato effettuato il 22 luglio 2014, secondo un criterio sostanzialistico di raggiungimento dello scopo partecipativo. Inoltre – secondo giurisprudenza oramai consolidata – nel nostro ordinamento si esclude sussista una clausola che imponga all’ Amministrazione finanziaria un generale obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale.

Tale obbligo viene meno ove non espressamente previsto, come nel caso degli . .. “accertamenti a tavolino”.

Diverso è il caso dei tributi armonizzati, giacché in ambito comunitario occorre riconoscere l’immanenza di un principio di generale applicazione, seppur in termini restrittivamente sostanzialistici (Cassazione civile, sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823).

In ordine al lamentato mancato rispetto del termine di 60 giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento è sufficiente rilevare – non diversamente dal primo giudice – come la giurisprudenza si sia oramai consolidata nel ritenerlo applicabile con esclusivo riferimento agli accertamenti in seguito ad accessi, ispezioni e verifiche nei locali del contribuente (ex multis Cassazione civile, sez. trib., 2 aprile 2014, n. 7598.

6. Per i suesposti motivi l’appello deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza, secondo dispositivo.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.

Condanna la società appellante, alla rifusione in favore della parte appellata delle spese di lite, in misura di complessivi 1.500,00 (millecinquecento/00) euro, oltre accessori di legge.