COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE TOSCANA – Sentenza 03 agosto 2020, n. 559
Tributi – Riscossione – Cartella di pagamento – Irregolarità della notifica – Prescrizione del credito – Decadenza ex art. 25, D.P.R. n. 602/1973
Svolgimento del processo
Nel procedimento RGA 1985/2019 con ricorso presentato da N. A. veniva interposto appello avverso la sentenza n. 1 77/2019, della Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia, sez. 1, del 17/09/2019, pubblicata in data 05/12/2019.
La controversia originaria aveva riguardo a cartelle di pagamento (nn. 0XX2002000XX e 0XX20060001XX, dell’importo di € 8.467,92 delle quali il contribuente assumeva essere venuto a conoscenza tramite estratto ruolo richiesto all’esattore di Pistoia, datato 9 gennaio 2019.
Secondo quanto emerge anche dalla narrativa della sentenza di primo grado, il contribuente eccepiva l’omessa notifica delle cartelle di pagamento oggetto delle iscrizioni e la prescrizione del credito portato dalle stesse. Nel costituirsi in giudizio, l’Agenzia delle Entrate Riscossione depositava la prova dell’avvenuta notifica delle cartelle, allegandone fotocopia con attestazione di conformità all’originale effettuata dall’Ufficio. Inoltre, assumeva l’inammissibilità del ricorso, in quanto la conoscenza del debito tributario era intervenuta il 27.08.2002 a mezzo della notifica tramite raccomandata di una proposta di compensazione ex art. 28 ter, non opposta, contenente la specifica del debito ricompresso nelle due cartelle impugnate.
Con successiva memoria il ricorrente addiceva l’inutilizzabilità delle fotocopie autenticate dalla stessa parte convenuta e richiedeva l’esibizione degli originali; non indicava alcun elemento da cui desumere l’aspetto non genuino e originale che rendeva necessaria la produzione degli originali ai fini di effettivo raffronto, segnalando solo che le stesse, ben nitide, non fossero leggibili; eccepiva, infine, che le predette fotocopie avevano un’attestazione di conformità all’originale con formula equivoca (“copia conforme” in calce) senza indicazione dell’identità del funzionario che aveva effettuato l’attestazione di conformità.
I primi giudici dichiaravano inammissibile il ricorso e condannavano il ricorrente alle spese di lite.
Infondate erano le eccezioni relative all’omessa notifica delle cartelle presupposte. In dissonanza con l’insegnamento della Corte di Cassazione (n. 7736/2019) il disconoscimento della conformità tra una scrittura privata e la copia fotostatica della stessa dedotta in giudizio era stata operata in maniera del tutto generica con riferimento ad un’illeggibilità delle cartoline e delle loro parti manoscritte che al Collegio appariva insussistente. Infondata era anche la questione proposta sulla validità dell’attestazione di conformità all’originale, in quanto operata dallo stesso ente della riscossione (Cass. SS. UU. n. 8289/2018).
Il contribuente proponeva appello, ritenendo la sentenza ingiusta ed articolando i seguenti motivi di gravame.
1^ motivo: mancata notifica delle cartelle esattoriali, assenza di valutazione e travisamento dei fatti e della documentazione depositata.
Dall’esame dei documenti depositati emergeva che la notifica delle due cartelle di pagamento impugnate era inesistente e mai perfezionatasi, non essendo stato rispettato il procedimento di notifica previsto dall’art. 140 c.p.c. (rito degli irreperibili).
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione (nn. 12646/2018, 26732/2018, 12753/2018, 9782/2018 e 27485/2017), i principi di cui alla sentenza della C. Cost. n. 258/2012 (notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c.) erano retroattivi e si applicavano anche alle notifiche eseguite prima di tale sentenza.
Nel caso di specie, per le due cartelle di pagamento il procedimento avrebbe dovuto essere il seguente: 1) deposito dell’atto alla casa comunale; 2) affissione dell’avviso di deposito in busta chiusa alla porta dell’abitazione del destinatario; 3) spedizione di una raccomandata informativa con avviso di ricevimento, per avvisare dell’avvenuto deposito alla casa comunale (c.d. c.a.d. o comunicazione di avvenuto deposito); 4) effettivo ricevimento della raccomandata informativa. Infatti, nei casi di “irreperibilità cd. relativa del destinatario, ai fini del suo perfezionamento, è necessario che siano effettuati tutti gli adempimenti prescritti dalla normativa operante, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa non essendone sufficiente la sola spedizione.” (Cass., nn. 9422/2019, 28353/2019, 12753/2018, 18422/2018, 9782/2018, 2877/2018, 1302/2018, 17235/2018, 9782/2018, 6513/2018, 20863/2017, 2868/2017, 25079/2014, 14316/2011). In concreto ciò non era stato fatto, per cui la notifica delle due cartelle di pagamento non si era mai perfezionata; in particolare, l’esattore non aveva provato l’invio e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa c.d. c.a.d., dimostrazione richiesta dall’art. 140 c.p.c.
2^ Motivo: prescrizione dei crediti e inesigibilità del credito per intervenuta decadenza.
La pretesa tributaria sottesa alle due cartelle di pagamento, richiamata negli estratti di ruolo, era prescritta e l’esattore decaduto dal potere di riscuotere ex art. 25 D.P.R. 602/73.
Infatti, la cartella di pagamento n. 0XX200200010XX, riguardava l’ICI, soggetto a prescrizione quinquennale (Cass. nn. 9289/2019, 8471/2018, 26942/2017) e sanzioni ed interessi, che si prescrivono in 5 anni (art. 20, D.lgs. 472/1997). Poiché la notifica della cartella, secondo l’Ufficio, era avvenuta in data 21/09/2002, l’unico atto interruttivo della prescrizione era una proposta di compensazione notificata 10 anni dopo, ovvero il 27/08/2012, a credito prescritto.
Dal 27/08/2012, giorno di notifica di tale proposta di compensazione, alla data dell’estratto di ruolo impugnato (09/01/2019), erano decorsi ben 6 anni e mezzo, con decorso del termine quinquennale di prescrizione.
La cartella di pagamento n. 0XX200600016XX, riguardava IRPEF, soggetto a prescrizione in 5 anni (Cass. nn. 33368/2018, 1997/2018, 930/2018) e sanzioni interessi, soggetti a prescrizione in 5 anni (art. 20, D.lgs. 472/1997).
La notifica della cartella secondo l’Ufficio, era avvenuta in data 01/09/2006, e l’unico atto interruttivo della prescrizione era una proposta di compensazione notificata 6 anni dopo, ovvero il 27/08/2012 (a termini prescritti); poi alla data dell’estratto di ruolo impugnato (09/01/2019), erano decorsi oltre 6 anni, con maturazione intermedia del termine quinquennale di prescrizione. In seguito alla notifica della cartella di pagamento, anche ove non opposta, il termine di prescrizione restava quinquennale, atteso che, come precisato dalle Sezioni Unite, non si realizzava alcuna novazione del credito (Cass., nn. 20956/2019; 8257/2019; 6888/2019; 30362/2018; 1997/2018; 16508/2018; 15282/2018; 15280/2018; 930/2018; 27390/2017; 28576/2017; 23397/2016; 15277/2018; 15259/2018; 12208/2018; 26101/2018; 12204/2018; 33368/2018; 23418/2018; 1997/2018; 10809/2017; 28576/2017; SS.UU. n. 23397/2016).
Sull’applicazione, in caso di tributi erariali, della prescrizione quinquennale successiva alla notifica della cartella di pagamento cfr. Cassazione, ord. 1997/2018 e sentenza n. 930/2018, con richiamavano Sezioni Unite n. 23397/2016, riferite alla prescrizione quinquennale di tutti i “crediti relativi alle entrate dello Stato, tributarie ed altri enti locali, nonché alle sanzioni amministrative”. Sulla prescrizione di 5 anni proprio dell’IRPEF, cfr. CTR Toscana, sentenza n. 479/2019; CTP Milano, n. 3526/2019; CTP Latina, sentenza n. 390/03/2019; CTP Palermo, n. 4260/2019; CTR Lazio, sentenze nn. 1725/2019, 678/2019, 276/2018; CTR Bologna, sentenza n. 1921/2018; CTR Lombardia, sentenza n. 1883/2018.
Era poi intervenuta la decadenza dell’agente della riscossione dal potere di riscuotere le somme iscritte a ruolo, non essendo mai state notificate al ricorrente le due cartelle di pagamento impugnate nel termine previsto dall’art. 25 del D.P.R. 602/1973.
3^ Motivo: violazione e falsa applicazione art. 2712, 2719 c.c. – violazione e falsa applicazione art. 214 e 215 c.p.c.
– erronea valutazione dei fatti e travisamento. erroneità della sentenza in quanto il decidente utilizza ai fini della decisione documenti espressamente disconosciuti – riproposizione disconoscimento.
Il contribuente aveva formulato il disconoscimento dei documenti depositati dall’esattore per dimostrare la notifica delle cartelle esattoriali, con apposite memorie illustrative depositate in data 27/07/2019. Ne conseguiva l’inutilizzabilità dei documenti, con dovere dei giudici di prime cure di ordinare l’esibizione degli originali. Infatti, la Suprema Corte aveva statuito che “la contestazione di conformità agli originali degli atti di notifica non necessita di alcuna formula o di specificità ad hoc, e può consistere anche nella richiesta diretta al giudice, di ordinare al concessionario l’esibizione o la produzione in giudizio degli originali di tali atti” (Cass. n. 1792/2019). Posto quanto sopra, l’odierno appellante, al fine di non incorrere in decadenze, riproponeva l’eccezione di disconoscimento, già formulata nelle memorie depositate in atti il 27/07/2019, chiedendo di ordinare l’esibizione degli originali e, in assenza di tale deposito, ritenere e dichiarare non assolto l’onere probatorio.
4^ Motivo: illegittimità della condanna alle spese del giudizio.
I giudici di prime cure, non avevano tenuto in considerazione che il difensore di controparte era un funzionario dell’Ente resistente. Invero, tutte le volte in cui in cui una P.A. sta in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario delegato non aveva diritto al pagamento, da par te del soccombente, delle spese di lite; di conseguenza in questi casi il giudice non poteva condannare il perdente (Cass. 8413/2016).
Conclusivamente, l’appellante chiedeva la riforma della sentenza e la dichiarazione di nullità e/o annullamento degli atti impugnati. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi del giudizio, da distrarsi in favore del difensore antistatario ex art. 93 c.p.
Agenzia. delle Entrate – Riscossione si costituiva in giudizio e presentava le controdeduzioni di seguito illustrate.
1^ controdeduzione: inammissibilità dell’appello per la cartella di pagamento n. 0XX200200010XX.
L’agente della riscossione, già in sede amministrativa di riscontro al reclamo ex art. 17 bis d.lgs. 546/92, aveva rammentato alla controparte l’avvenuto annullamento ex lege della cartella, rientrante nel perimetro applicativo dell’art. 4 d.l. 119/2018 (cd. “stralcio” delle cartelle aventi partite creditorie sotto i 1.000 euro per ruoli affidati all’ADER sino al 31.12.2010), sin dal 24/10/2018. Ciò nonostante, controparte aveva insistito per l’annullamento di un titolo, per il quale era già intervenuto l’annullamento ex lege nel primo grado di giudizio, anche nel presente grado di appello, con evidente carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.
2^ controdeduzione: gli estratti di ruolo, datati 9/01/2019, non erano i primi atti con cui controparte era venuta a conoscenza della propria posizione debitoria in quanto (non solo la cartella era stata ritualmente notificata, ma parte ricorrente era stata destinataria, in data 27/08/2012 (con la ricezione della raccomandata, ritirata presso l’indirizzo di residenza documentata dall’avviso di ricevimento) di proposta di compensazione ex art 28 ter, d.p.r. n. 602/1973, notificata a mezzo raccomandata a/r, contenente, tra le altre, le cartelle impugnate con puntuale specificazione del credito vantato dall’Erario (pagg. 2 e 5 doc.to depositato in primo grado e nuovamente depositati all’allegato doc. 2). La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la pronuncia n. 19704/2015, aveva ammesso la cd. tutela “recuperatoria”, della quale il contribuente poteva avvalersi impugnando l’estratto di ruolo ma soltanto laddove detto estratto costituisse la prima notizia del debito, a causa di mancata o invalida notificazione di atti precedenti, mai opposti. Tale requisito difettava nel caso di specie, posta l’avvenuta notificazione dell’atto di cui sopra e la conseguente conoscenza del debito da parte del ricorrente sin dal 27/8/2012, in epoca ben antecedente all’estratto di ruolo oggi opposto (9/1/2019). Del resto la proposta di compensazione ex art. 28 ter costituiva atto avente efficacia interruttiva della prescrizione, impugnabile e portato alla conoscenza della controparte.
L’inammissibilità impediva l’esame nel merito del ricorso.
3^ controdeduzione: regolarità della notifica della cartella di pagamento.
Le cartelle erano state ritualmente notificate per temporanea assenza, secondo le modalità previste dall’art. 26 del D.P.R. N. 602/73, che nel testo applicabile ratione temporis stabiliva: «nei casi previsti dall’art. 140 del codice di procedura civile, la notificazione (delle cartelle di pagamento si effettua con le modalità stabilite dall’art 60 del decreto del Presidente della repubblica, 29 settembre 1973 n. 600, e si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune». Nel sistema vigente fino alla sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22/11/2012, infatti, per perfezionare la notificazione degli atti della riscossione nei casi di irreperibilità relativa di cui all’art 140 c.p.c. occorreva: – il deposito di copia dell’atto, da parte del notificatore, presso la casa comunale dove la notificazione veniva eseguita; – l’affissione dell’avviso di tale deposito in busta chiusa e sigillata nell’albo dello stesso comune. La notifica si dava quindi per eseguita nel giorno successivo a quello di affissione dell’avviso di deposito nell’albo del comune, senza altri adempimenti a carico del notificante.
Nel caso in esame, il messo notificatore, stante la temporanea assenza del destinatario e l’assenza di altre persone abilitate alla ricezione presso il luogo di residenza del N., in piena conformità alla norma illo tempore vigente provvedeva al deposito ed all’affissione della cartella opposta presso la casa comunale di Montecatini Terme, dopo una serie di accessi infruttuosi presso la residenza del contribuente (doc. 2 ricorso in primo grado).
Controparte sosteneva l’applicabilità retroattiva della sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2012, relativa alla parziale dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 26, ult. cit. nella parte in cui stabiliva l’applicazione delle modalità di notifica di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 ai casi di irreperibilità relativa. Detta retroattività, comunque contestata, trovava comunque il limite invalicabile dei rapporti esauriti (Cass., sez. un. 16 giugno 2014, n. 13676; Cass., 25 marzo 2015, n. 5944) .
Non erano state mosse contestazioni a fronte della avvenuta ricezione della predetta proposta di compensazione ex art. 28 ter DPR 602/73, riportante la cartella contestata, mentre non aveva impugnato l’atto nei termini di cui all’art. 21 d.lgs. 546/92, bensì sei anni dopo mediante richiesta di estratto di ruolo.
La previsione dell’art. 156, comma 3, c.p.c. per cui “la nullità non può essere mai pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato” si applicava anche alle cartelle di pagamento e, più in generale, alla materia tributaria (da ultimo, Cass., 29 aprile 2015, n. 8674; 26 gennaio 2015, n. 1301; 14 gennaio 2015, n. 416; 19 dicembre 2014, n. 27089).
4^ controdeduzione: sul disconoscimento delle copie in primo grado e contestuale richiesta di esibizione degli originali.
L’eccezione di disconoscimento della conformità all’originale era generica e non circostanziata e per ciò non poteva onerare il giudice del dovere di ordinare il deposito dell’originale senza valutare la fondatezza dell’eccezione. La Cassazione aveva per contro rilevato come inammissibili disconoscimenti privi della specifica indicazione dei presunti elementi di difformità rispetto all’originale per ciascuna delle copie con testate (cfr. Cass. n. 8281/2018; n. 16232 del 19/08/2004; n. 1792/19)
5^ controdeduzione: inammissibilità per tardività dell’eccepita decadenza delle cartelle, posta la mancata impugnazione della cartella e degli atti successivi entro il termine dell’art. 21 d.lgs. 546/92 dalla data di notifica.
6^ controdeduzione: infondatezza dell’eccezione di prescrizione.
Il termine prescrizionale del credito di specie (erario: IRPEF e ICI) era pacificamente decennale, senza intervento di alcuna prescrizione nemmeno per la cartella n. 0XX200200010XX, notificata il 21/09/2002. La prescrizione era stata prorogata di diritto di ulteriori 5 mesi e 15 giorni in ragione dell’applicabilità dell’art 1 c. 618-624 (legge di stabilità 2014, vigente dal 01/01/2014) in materia di “definizione dei carichi di ruolo pregressi” ; per consentire il versamento delle somme dovute entro il 31 maggio 2014 e la registrazione delle operazioni relative, la riscossione dei carichi in questione è rimasta sospesa fino al 15 giugno 2014 (a prescindere dalla adesione o meno alla definizione agevolata) e con essa, per il corrispondente periodo (01/01/2014 – 15/06/2014), anche i relativi termini di prescrizione del diritto alla riscossione con ogni più logica conseguenza in ordine ai profili evidenziati.
Il termine prescrizionale era stato altresì interrotto anche dalla notifica della proposta di compensazione ex art. 28 ter in data 27/08/2012.
Secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità, i tributi erariali (imposte dirette ed indirette) si prescrivevano nel termine decennale, in ragione del carattere di autonoma obbligazione discendente dai singoli periodi di imposta (cfr. CTR Lazio, sent. 1815/2018; CTR Lombardia, sent. 830/2018; CTR Toscana, sent. 272/3/2018). Per la Suprema Corte il termine di prescrizione dei tributi erariali era decennale anche con riferimento alle sanzioni, in considerazione del carattere unitario (Cass. 0547/2019; 10549/2019; 11760/2019; 19224/2019; CTR di Firenze n. 575/1/19, Pres. Florio; v. anche art. 1 comma 197 della recente Legge 145/2018).
7^ controdeduzione: infondatezza della contestazione in ordine alla condanna al pagamento delle spese di lite.
Era stato correttamente applicato il principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., avendo il collegio respinto il ricorso ritenendo corretto l’operato dell’Agente della Riscossione, sulla base delle controdeduzioni depositate dalla scrivente difesa. In base al comma 2 sexies dell’art. 15 D.lgs. 546/92, per cui “Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza”. Le spese erano quindi dovute e riscosse mediante successiva iscrizione a ruolo.
Parte resistente, in conclusione, chiedeva il rigetto dell’appello e la vittoria delle spese del grado.
Parte contribuente ha presentato memoria illustrativa con la quale ha chiesto che la CTR dichiarasse estinto il credito riportato nella cartella esattoriale n. 0XX200200010XX in applicazione dell’art. 4 del D.L. 119/2018; inoltre ha reiterato la propria tesi.
Motivi della decisione
L’appello proposto è parzialmente fondato, nei termini in appresso spiegati.
1. Preliminarmente, occorre riconoscere l’intervenuta cessazione della materia del contendere rispetto alla cartella di pagamento n. 0XX200200010XX afferente l’ICI.
Secondo quanto dedotto dall’agente della riscossione, la stessa è stata annullata ex lege sin dal 24/10/2018, rientrando nel perimetro dell’art. 4 d.l. 119/2018 (cd. “stralcio” delle cartelle aventi partite creditorie sotto i 1.000 euro per ruoli affidati all’ADER sino al 31.12.2010).
2. Resta attuale, invece, la controversia per la cartella di pagamento n. 10XX20060001XX, relativa ad IRPEF 2001, sanzioni, interessi ed accessori, per complessivi euro 4.027,39.
In proposito, va disattesa l’eccepita tardività del ricorso di primo grado e, dunque, l’inammissibilità derivata dell’appello.
Come noto “il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale – a causa dell’invalidità della relativa notifica – sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l’ultima parte del comma 3 dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l’invalidità stessa anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione” (Cass., Sez. un., n. 19704//2015, Rv. 636309 – 01; Cass., Sez. 5, n. 27799/2018, Rv. 651082 – 01). Secondo le stesse Sezioni unite “non è sufficiente la prova della ”piena conoscenza” dell’atto ai fini della decorrenza dei suddetti termini ma è necessaria una comunicazione effettuata nei modi previsti dalla legge; ciò non può impedire l’impugnabilità dell’atto (del quale il contribuente sia venuto “comunque” a conoscenza) ma soltanto la decorrenza dei relativi termini di impugnazione in danno del contribuente, distinzione che risulta ben chiara nella giurisprudenza del giudice di legittimità (v. sul punto tra le altre s.u. n. 3773 del 2014 nonché Cass. nn. 17010 del 2012 e 24916 del 2013) secondo la quale l’ammissibilità di una tutela “anticipata” non comporta l’onere bensì solo la facoltà dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi dopo la notifica di un atto “tipico”, la pretesa della quale il contribuente sia venuto a conoscenza (eventualmente attraverso un atto “atipico”, in quanto ad esempio non manifestato in forma “autoritativa” oppure privo delle indicazioni previste dal secondo comma dell’articolo 19 citato)”.
Infatti, né dal dictum delle Sezioni Unite richiamate né dall’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546/1992 è dato evincere un onere di impugnazione dell’atto non regolarmente notificato, da adempiere necessariamente entro i termini previsti per l’impugnativa dell’atto immediatamente consequenziale o successivo. Piuttosto emerge un favore verso il più ampio esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale, rispetto al quale non appare pertinente il contrario richiamo all’operatività della sanatoria ex art. 156/3 c.p.p. riferita alla proposta ex art. 28 ter d.p.r. n. 602/1973, meramente enunciativa della cartella.
Venendo alla notifica della cartella di pagamento, ne va riconosciuta l’invalidità. Sebbene sia avvenuta in data 1.9.2006, nel caso che occupa non possono considerarsi esauriti gli effetti della relativa attività prima della sentenza della Corte cost. n. 258/2012. Quest’ultima ha rappresentato una sentenza additiva di tipo sostitutivo, che ha superato l’ingiustificata discriminazione, in tema di modalità di notificazione degli atti, tra la disciplina relativa alla notificazione di un atto di accertamento e quella circa la notifica di una cartella di pagamento. In particolare, la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 nella parte in cui stabilisce che la notificazione della cartella di pagamento «Nei casi previsti dall’art. 140 del codice di procedura civile […] si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 », anziché «Nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario […]si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60, primo comma, alinea e lettera. e), D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600». Infatti, nella medesima ipotesi di irreperibilità “relativa” del destinatario (cioè nei casi previsti dall’art. 140 cod. proc. civ.), la notificazione si esegue con modalità diverse, a seconda che l’atto da notificare sia un atto di accertamento oppure una cartella di pagamento: nel primo caso, si applicano le modalità previste dall’art. 140 cod. proc. civ.; nel secondo caso, quelle previste dalla lettera e) del primo comma dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973. Tale peculiarità della normativa riguardante la notificazione a soggetto “relativamente” irreperibile comporta che, nella notificazione di un atto di accertamento, l’avvenuto deposito di tale atto nella casa comunale viene comunicato al destinatario sia con l’affissione di un avviso alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda, sia con l’invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento e, quindi, secondo modalità improntate al criterio dell’effettiva conoscibilità dell’atto. Viceversa, nella notificazione di una cartella di pagamento, l’avvenuto deposito di questa nella casa comunale non viene comunicato al destinatario, né con l’affissione alla porta, né con l’invio di una raccomandata informativa, ma – essendo prevista solo l’affissione nell’albo del Comune – secondo modalità improntate ad un criterio legale tipico di conoscenza della cartella. Tale disciplina, con riferimento alla cartella di pagamento, non assicura, dunque, né “da parte del contribuente”, né, quale mezzo per raggiungere tale fine, la comunicazione “luogo di effettivo domicilio del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della [… ” amministrazione” finanziaria; finalità queste fissate dal comma 1 dell’art. 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente). Siffatta evidente diversità della disciplina di una medesima situazione (notificazione a soggetto “relativamente” irreperibile) non appare riconducibile ad alcuna ragionevole ratio, con violazione dell’evocato art. 3 Cost. Per ricondurre a ragionevolezza il sistema, è necessario pertanto, nel caso di irreperibilità “relativa” del destinatario, uniformare le modalità di notificazione degli atti di accertamento e delle cartelle di pagamento. A questo risultato si perviene restringendo la sfera di applicazione del combinato disposto degli artt. 26, terzo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973 e 60, primo comma, alinea e lettera e), del d.P.R. n. 600 del 1973 alla sola ipotesi di notificazione di cartelle di pagamento a destinatario “assolutamente” irreperibile e, quindi, escludendone l’applicazione al caso di destinatario “relativamente” irreperibile, previsto dall’art. 140 cod. proc. civ. In altri termini, la notificazione delle cartelle di paga mento con le modalità indicate dal primo comma, alinea e lettera e), dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 deve essere consentita solo ove sussista lo stesso presupposto richiesto dalla medesima lettera e) per la notificazione degli atti di accertamento: la mancanza, nel Comune, dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario (irreperibilità “assoluta” ).
In argomento, è stato ancora di recente osservato che «nel caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma processuale, fin quando la validità ed efficacia degli atti disciplinati da detta norma sono “sub iudice”, il rapporto processuale non può considerarsi esaurito, sicché, nel momento in cui viene in discussione la ritualità dell’atto, la valutazione della sua conformità alla disposizione va valutata avendo riguardo alla modificazione conseguita dalla sentenza di illegittimità costituzionale, indipendentemente dal tempo in cui l’atto è stato compiuto » (Cass. Civ., sez. 5, n. 33610 del 18/12/2019, Rv. 656398 – 01; nello stesso senso Cass. 3642/2007; n. 8548/2003; n. 17184/2003). In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto l’invalidità della notificazione della cartella esattoriale eseguita, in ipotesi di irreperibilità relativa del contribuente, mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento senza l’osservanza delle formalità previste dall’art. 140 c.p.c., come prescritto dall’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo risultante dalla sentenza della Corte cost. n. 258 del 2012. Come ricordato dalla Corte di Cassazione con sent. n. 5700 del 23.3.2016, «in caso irreperibilità relativa del destinatario, è nulla la notificazione della cartella, che segue le forme del codice di rito, qualora non siano rispettati tutti gli adempimenti prescritti dall’art. 140 c.p.c., a nulla rilevando la circostanza che la sentenza della Consulta che è intervenuta sul testo del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 sia successiva all’esecuzione della notificazione» (la sentenza cassata era stata depositata ad aprile 2011, con attività di notifica di cartella di pagamento certo realizzata prima della sentenza della Corte cost. n. 258/12).
Nella fattispecie in esame, si verte in un’ipotesi di irreperibilità relativa e non assoluta del contribuente, ossia una semplice e momentanea irreperibilità del destinatario. In proposito, è pacifico tra le parti che al deposito di copia dell’atto, da parte del notificatore, presso la casa comunale dove la notificazione veniva eseguita e all’affissione dell’avviso di tale deposito in busta chiusa e sigillata nell’albo dello stesso comune, non ha fatto seguito alcuni ulteriore adempimenti volto a favorire la conoscenza effettiva del destinatario (quali l’affissione dell’avviso alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda e l’invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento).
Irrilevante quanto dedotto all’Agenzia secondo cui la dichiarazione d’incostituzionalità, comportando la caducazione dei soli effetti non definitivi, lascerebbe fermi quelli anteriori già prodottisi, tra i quali l’Agenzia annovera la notificazione in esame, correttamente svolta in base alla norma che la regolava all’epoca della sua esecuzione.
L’Agenzia in sostanza evoca il principio tempus regit actum che regola la successione nel tempo delle leggi processuali, ma non la dichiarazione d’illegittimità costituzionale, la quale, non essendo una forma di abrogazione della legge, sebbene una conseguenza della sua invalidità originaria, ha efficacia retroattiva. Abrogazione e dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi vanno difatti nettamente distinti, perché si pongono su piani diversi, discendono da competenze differenti e producono effetti non comparabili, integrando, il primo, un fenomeno fisiologico dell’ordinamento giuridico, ed il secondo, invece, un evento di patologia normativa; in particolare, gli effetti della declaratoria di incostituzionalità, a differenza di quelli derivanti dallo ius superveniens, inficiano fin dall’origine, o, per le disposizioni anteriori alla costituzione, fin dalla emanazione di questa, la disposizione impugnata (Cass. pen., sez. un ., 29 maggio 2014, n. 42859). L’unico limite all’estensione degli effetti della dichiarazione d’incostituzionalità, secondo quanto emerge dalla combinazione degli artt. 136 della Costituzione e 30 della legge 87 del 1953, è posto dal definitivo esaurimento del rapporto, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento, oppure per essersi determinate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (in termini, fra varie, Cass. 8 maggio 2014, n. 9977; 20 novembre 2012, n. 20381; 20 aprile 2010, n. 9329). La stessa Consulta ha previsto la possibilità di modulazione degli effetti delle sentenze d’incostituzionalità soltanto al cospetto di illegittimità costituzionale sopravvenuta (vedi, sul punto, fra varie, Corte cost. 27 aprile 1988, n. 501; 16 febbraio 1989, n. 50; 26 marzo 1991, n. 124). E finanche con la recente pronuncia (Corte cost. 9 febbraio 2015, n. 10), con la quale, a seguito di un bilanciamento tra i principi e valori in gioco ed al fine di evitare che uno tra questi risulti eccessivamente sacrificato e di determinare quindi una situazione di incostituzionalità più grave rispetto a quella cui la pronuncia di incostituzionalità tende a rimediare, si è chiesto al giudice a quo (ed in tutti i giudizi pendenti) di fare applicazione, per la definizione del processo, della norma dichiarata incostituzionale, la Consulta ha avuto cura di precisare che l’individuazione dei limiti all’efficacia generalmente riconosciuta delle sentenze d’incostituzionalità in questi casi “è ascrivibile all’attività di bilanciamento tra valori di rango costituzionale ed è, quindi, la Corte costituzionale – e solo essa – ad avere la competenza in proposito”.
Il difetto della notifica rileva anche ai fini del riconoscimento della fondatezza della eccepita decadenza ex art. 25 d.p.r. n. 602/1973.
In proposito, va rammentato, in via di fatto, che: – il debito afferiva ad IRPEF ed accessori per il 2001; – la cartella di pagamento è stata non validamente notificata in data 1/9/2006; – ad essa è seguita, in data 27/8/2012, la notifica al contribuente, a mezzo raccomandata a/r, di una proposta di compensazione ex art. 23 ter; – in data 9.1.2019 il contribuente ha ottenuto, a richiesta, il rilascio degli estratti di ruolo.
Dunque, ad oggi, (come al momento della proposizione de ricorso introduttivo) difetta la regolare notifica di una cartella di pagamento in uno dei termini ex art. 25 cit., decorrenti dagli eventi presupposti, intervenuti, quantomeno, prima del 1.9.2006.
In merito alle spese, tenuto conto della parziale cessata materia del contendere e dell’effetto sulla regolarità della notifica della ricordata sentenza della Corte Cost., sussistono gravi motivi per una integrale compensazione delle spese.
P.Q.M.
Dichiara cessata la materia del contendere con riferimento alla cartella di pagamento 200200010XX, annullata ex lege ai sensi dell’art. 4 d.l. 119/2018.
Accoglie l’appello e annulla la cartella di cartella di pagamento n. 0XX20060001XX, per irregolarità della notifica, riconoscendo altresì maturata la decadenza ex art. 25 d.p.r. n. 602/1963 per il relativo credito.
Compensa le spese dei due gradi di giudizio.
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