
a) una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa;
b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;
c) l’elenco dei titolari di diritti reali o personali sui beni di proprietà o in possesso del debitore;
d) il valore dei debiti ed i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
Piano per adempimento proposta – L’art. 33, co. 1, lett. b) del D.L. n. 83/2012 ha integrato tale disposizione, stabilendo che l’imprenditore in stato di crisi deve presentare oltre alla predetta documentazione, anche un “piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”.
La normativa in parola si propone, pertanto, di agevolare i creditori, i quali possono disporre di maggiori elementi per valutare la concreta fattibilità del piano concordatario, potendo fare affidamento su termini di adempimento meritevoli (oggetto/destinatari) di specifico approfondimento nella relazione dell’attestatore.
Quindi, come anticipato, l’imprenditore in stato di crisi può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato – unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi – riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione in precedenza elencata entro il termine fissato dal Giudice, che la norma prevede tra i 60 e i 120 giorni.Inoltre, nello stesso decreto del Giudice che fissa il termine per la presentazione della proposta e della relativa documentazione, il Tribunale dispone una serie di adempimenti e obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria pro-tempore che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato.
In buona sostanza, il debitore, rendendo le prescritte informazioni, dà evidenza di come nessun aggravamento si sia registrato nella situazione quo ante e alcuna violazione sia stata arrecata al principio della par condicio creditorum.Finanziamenti – Proprio la disciplina dei finanziamenti richiede un particolare approfondimento in questa sede, per l’importanza che riveste l’apporto di nuove risorse finanziarie nella logica di una possibile continuazione dell’attività d’impresa, quale sembra essere la funzione principale dell’istituto del concordato preventivo, come si dirà più avanti. La legge n. 134 del 2012, infatti, è intervenuta su due fronti, modificando l’art. 182-quater e aggiungendo un nuovo art. 182-quinquies alla legge fallimentare. Nell’ambito dell’art. 182-quater L.F. si sono sempre distinti i finanziamenti derivanti da fonte esterna da quelli da fonte interna. Quanto ai primi, la vecchia disciplina accordava ad essi la prededuzione solo a condizione che essi fossero erogati da banche o intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli artt. 106 e 107 d. lgs. 385/1993 e fossero in esecuzione del concordato preventivo: con la riforma, invece, si è eliminato qualsiasi riferimento all’elemento soggettivo, cosicché ad oggi sono prededucibili i crediti derivanti da finanziamenti in esecuzione del concordato preventivo, da qualunque soggetto esterno siano erogati. Ad essi, tuttavia, si affiancano i finanziamenti che, pur derivanti da una fonte esterna (o forse, nella vigenza dell’attuale disciplina, sarebbe più opportuno chiamarli “derivanti da fonte non interna” per ciò che diremo tra poco), siano erogati in funzione dello stesso concordato e, cioè, siano sorti ed erogati (e non solo programmati) prima della presentazione della domanda di ammissione: per essi la legge ha mantenuto il c.d. criterio di parificazione, accordandogli la prededucibilità solo in presenza di due condizioni e, in particolare, che essi siano stati previsti dal piano concordatario e che la prededuzione sia stata disposta nel provvedimento di accoglimento della domanda di ammissione al concordato da parte del tribunale. Ciò, tuttavia, non elimina i problemi operativi che tale previsione ha creato, atteso che l’alea della prededucibilità derivante dall’approvazione del tribunale, non incentiva certamente i soggetti esterni a concedere finanziamenti di cui potrebbe non vedere più il ritorno (cfr. L. Stanghellini, Diritto fallimentare: ritorno all’età della pietra, in www.lavoce.info, sez. Giustizia, 2010). Quanto invece ai finanziamenti derivanti da fonte interna ha attribuito il beneficio della prededuzione ai finanziamenti dei soci erogati in esecuzione del concordato preventivo fino all’80% del loro ammontare, mentre quelli in funzione dello stesso rimangono sottoposti alle condizioni previste dall’art. 182-quater, co. 2, L.F. e sopra esposti. Come sottolineato in dottrina, “resta singolare il fatto che, come sembra di doverne dedurre, i finanziamenti dei soci sono postergati solo nella misura del 20% se erogati nella fase andante fino all’ammissione del concordato preventivo o nella fase post-omologa, mentre restano invece postergati del tutto se effettuati dopo il decreto di ammissione ma prima dell’omologa” (F. Lamanna, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il Civilista, collana Officina del Diritto, Milano, 2012, p. 25). Sul punto non può non auspicarsi una nuovo intervento legislativo, atteso che la tutela del finanziamento del socio dovrebbe esser indipendente dalla fase in cui esso intervenga. Il legislatore, poi, ha concesso un ulteriore beneficio per quei finanziatori che abbiano acquisito la qualifica di socio proprio in esecuzione o funzione del concordato preventivo, per i quali non opera neanche più il limite dell’80% dell’ammontare, essendo i loro crediti prededucibiliin toto. Tale disposizione è stata mutuata dall’ordinamento tedesco ove la legge sulla modernizzazione e repressione degli abusi del 2008 (Gesetz zur Modernisierung des Gesetz betreffend die Gesellschaften mit beschränkter Haftung – GmbH-Rechts- und zur Bekämpfung von Missbräuchen – cd. MoMiG) prevedeva proprio, al paragrafo 39, la mancata postergazione integrale (invece della prededuzione, come nel nostro sistema) dei soci che hanno acquistato una partecipazione sociale in occasione del piano di risanamento di una società (sul punto P. Vella, Lo spettro della fattibilità e il controllo giudiziale sulla prededuzione nel concordato preventivo riformato, in Materiali del convegno promosso dall’Osservatorio sulla crisi d’impresa – O.C.I., “Controllo del giudice ed autonomia privata nel concordato preventivo (gli indirizzi del merito a confronto della l. n. 134 del 2012)”, Roma 11 ottobre 2012).
Se tale è il nuovo assetto dell’art. 182-quater L.F., il legislatore ha ritenuto opportuno dettare una disciplina ad hocper i finanziamenti “funzionalizzati”, ai sensi dell’art. 182-quinquies L.F. Si è così previsto che il debitore possa chiedere al tribunale di essere autorizzato a beneficiare di finanziamenti, prededucibili, ma solo laddove risulti che essi siano funzionali ad una migliore soddisfazione dei creditori. Ebbene, se la formulazione attuale può destare qualche perplessità in ordine alla sua concreta rilevanza, non può non ricordarsi come sia stata stravolta nel passaggio tra il disegno di decreto legge e il decreto legge 83/2012. Infatti, l’originario art. 182-quinquies L.F. prevedeva il beneficio della prededuzione solo per quei finanziamenti che fossero dichiaratamente funzionali alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale e trovavano l’attestazione nella relazione del professionista. In questo modo, sostanzialmente, si offriva – cum grano salis – un meccanismo premiale al debitore che avesse proseguito l’attività, incentivando il ricorso a tale procedura. Invece, l’attuale prededuzione opera anche per i finanziamenti richiesti per il concordato “liquidatorio”, il che equivale, in sostanza, a consentire la prededuzione al solo fine di trasferire il debito da un vecchio a un nuovo creditore. In ogni caso, è previsto che i finanziamenti possano essere indicati anche solo genericamente per tipologia ed entità e che il debitore possa essere autorizzato dal tribunale a concedere pegni e ipoteche a garanzia degli stessi.
Avendo analizzato il regime dei contratti pendenti e dei finanziamenti, si ritiene opportuno, prima di passare alla fase dell’approvazione della proposta concordataria, passare al vaglio l’art. 186-bis L.F., il quale introduce un regime particolarmente favorevole per quel debitore che proponga di far uscire dalla crisi la propria impresa non già con la liquidazione del patrimonio, bensì marcatamente con l’obiettivo di imporre una certa “continuità aziendale”. È lo stesso legislatore a suggerire che cosa debba intendersi con tale espressione: “la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”; riducendo ai minimi termini, insomma, nell’ambito della norma ricadono tanto il caso in cui si preveda una continuazione dell’attività imprenditoriale da parte dello stesso debitore concordatario, quanto il caso in cui la gestione passi a un terzo soggetto. I requisiti per accedere al regime in continuità sono due: l’indicazione analitica delle modalità e tempistiche con cui s’intende svolgere la continuazione, e l’attestazione del professionista, il quale accerta che la soluzione è “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”. Se nulla può eccepirsi per la prima condizione, la seconda sembra non aver davvero diritto di cittadinanza, atteso che la caratteristica liquidatoria è comunque presente nella forma generale di concordato preventivo e, quindi, avrebbe ben potuto esser trascurata in una forma di concordato, come quella dettata dall’art. 186-bis L.F., marcatamente orientata al recupero dell’attività imprenditoriale. Ma tant’è.
Al ricorrere dei requisiti e dell’approvazione del tribunale – che vi deve essere, nonostante non sia stato richiamato – il legislatore accorda una serie di benefici: primus, una moratoria fino a un anno per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca: se già l’utilizzo del termine “moratoria” rischia di confondere l’interprete, il contenuto di tale dilazione non è meglio specificato, essendo così dubbio se attenga ai soli interessi di mora ovvero anche agli interessi compensativi (preferendosi la soluzione per la quale i primi non sono comunque dovuti, mentre i secondi sono dovuti ma sono sospesi: F. Lamanna, La legge fallimentare, op. cit., p. 62); secundus, è prevista l’incondizionata cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi nonché delle iscrizioni dei diritti di prelazione dei beni compresi nelle aziende cedute, anche se tale norma deve ritenersi applicabile, in genere, a qualsiasi tipologia di concordato, con o senza continuità aziendale, essendo esclusivamente connessa al trasferimento o al conferimento dell’azienda; tertius, è prevista la possibilità che il debitore chieda al tribunale di esser autorizzato a pagare i crediti anteriori per la prestazione di beni o servizi: tale macroscopica eccezione al principio della par condicio creditorum viene ancorata da una parte all’autorizzazione del tribunale, che può disporre sommarie informazioni, e, dall’altra, all’attestazione del professionista sulla sua essenzialità per assicurare tanto la prosecuzione dell’attività d’impresa, quanto la benvoluta “migliore soddisfazione dei creditori”; quartus, il legislatore interviene sul potere negozialedell’impresa in crisi, prevedendo che gli eventuali accordi circa la risoluzione del contratto a fronte dell’apertura della procedura “sono inefficaci”; in questo modo il debitore, se non intende sciogliersi dai contratti stipulati, anche con la Pubblica Amministrazione, anteriormente al concordato preventivo, è tutelato dalla loro prosecuzione ex lege: in questo caso è richiesta l’attestazione del professionista circa “la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento”. Si deve ricordare come, in mancanza della richiesta del debitore, ovvero dell’attestazione del professionista, esclusivamente per i contratti di lavori pubblici in corso di esecuzione con la P.A., opera la causa di scioglimento automatico ex art. 140 d.lgs. 163/2006. Ma i benefici negoziali non si arrestano a ciò, essendo previsto tanto che l’impresa possa comunque partecipare alle gare pubbliche, laddove venga attestata la conformità del contratto pubblico al piano presentato, costituendo essa un’ipotesi di avvalimento ex art. 49 d. lgs. 163/2006, quanto che essa possa partecipare mediante un’associazione temporanea d’imprese (c.d. A.T.I.) purché non come mandataria.Il decreto Sviluppo è intervenuto anche sulla fase successiva, quella appannaggio dell’adunanza dei creditori, i quali sono chiamati a esaminare la proposta concordataria (che, fino ad allora, è supportata solo dalla relazione tecnica del professionista) e discuterne insieme al giudice delegato e allo stesso debitore. La riforma è andata a incidere sull’art. 178 L.F., prevedendo anzitutto che nel processo verbale, oltre all’inserimento dei voti favorevoli e contrari e l’indicazione dei votanti e dei crediti, vengano inseriti anche i dati dei creditori che non hanno esercitato il diritto di voto, nonché l’ammontare del loro credito; il legislatore ha poi prestato particolare cura agli assenti, imponendo la loro comunicazione nel caso in cui si debba procedere in più udienze all’approvazione della proposta ed essi siano risultati assenti. Sulla stessa scia si deve considerare la nuova previsione del comma quarto dell’art. 178 L.F.: nella vigenza della vecchia formulazione, infatti, la dottrina era assai incerta circa l’ammissibilità o meno del voto per corrispondenza intervenuto prima della chiusura del processo (a sostegno dell’ammissibilità A. Bonsignori, Del concordato preventivo, in Commento alla legge fallimentare, Bologna-Roma, 1979, p. 383; contra C. Celoria – P. Pajardi, Commentario della legge fallimentare, Milano, 1963); con la riforma del decreto Sviluppo, invece, si è introdotto il meccanismo del silenzio-assenso: i creditori assenti alla votazione ai sensi dell’art. 177 L.F. possono far pervenire il loro dissenso fino alla chiusura del processo, in mancanza del quale essi si presumono consenzienti e, pertanto, sono considerati ai fini del computo della maggioranza.
Infine, il legislatore ha inteso positivizzare una situazione patologica della procedura, nella quale il commissario giudiziario rilevi che, tra l’approvazione della proposta e il giudizio di omologazione, siano mutate le condizioni di fattibilitàdel piano: ha, così, provveduto ad allargare a tutti i creditori la legittimazione a costituirsi – e non ad opporsi – nel giudizio di omologazione, avvisati dallo stesso commissario giudiziario, affinché possano modificare il loro voto. In dottrina ci si è chiesti come si debba interpretare tale novità, stante l’improbabilità che il fenomeno del mutamento della fattibilità del piano si verifichi, giungendo a supporre che con tale novità “Forse non si è molto lontani dal vero ipotizzando che si sia voluto semplicemente condizionare le sorti della già ricordata diatriba sorta in giurisprudenza a proposito dei poteri del Tribunale sul tema della fattibilità, introducendo in modo obliquo un argomento in più a favore della tesi restrittiva (…) L’argomento potrebbe abbozzarsi così: se nemmeno i creditori possono direttamente contestare il requisito della fattibilità, tanto che possono esprimere su di esso solo un assenso o un dissenso da recepire in termini di voto, a maggior ragione non potrebbe il Tribunale pronunciarsi su di esso, tanto meno ex officio” (F. Lamanna, La legge fallimentare, op. cit., p. 71). In verità, anche in questa riforma il legislatore non ha affrontato il tema dei poteri del tribunale in sede di verifica della fattibilità (né di omologazione) del piano, lasciando che sia la dottrina (in genere, senza alcuna pretesa riduttiva, si riportano le più autorevoli voci delle contrapposte impostazioni: M. Fabiani – A. Patti (a cura di), La tutela dei diritti nella riforma fallimentare. Scritti in onore di G. Lo Cascio, Milano, 2006, p. 282; contra A. Carratta, Procedure concorsuali (riforma delle) II) profili processuali, in Enc. giur.,Roma, 2006, p. 6) sia la giurisprudenza (con distanze abissali tra giurisprudenza di legittimità, Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, e di merito, Corte d’appello di Napoli, 8 ottobre 2012, in Materiale raccolto dagli Archivi di giurisprudenza di merito dell’Osservatorio sulle crisi d’impresa, op. cit., p. 9) perseverino nell’affannosa ricerca di elementi a proprio sostegno.
In conclusione, dall’analisi della riforma del concordato preventivo operata dal decreto Sviluppo, può ritenersi senza dubbio apprezzabile il tentativo del legislatore delegato di riempire quei vuoti normativi che la giurisprudenza faticava (e avrebbe ancora faticato) a colmare, senza incorrere in scelte di politica legislativa. Al netto di refusi e indicazioni a volte dubbie – frequenti a onor del vero nelle modifiche legislative – l’impressione generale della novella è quella di aver tentato di raggiungere un’impegnativa armonizzazione della disciplina, avendo sempre a mente quello standard di efficienza e funzionalità che avrebbe evitato all’ordinamento di avere un’altra bella opera, inutilizzabile, in mostra. Lo strumento del concordato preventivo, insomma, esce dal decreto Sviluppo senza dubbio rafforzato nella sua veste pratica, agevolato dalla consapevole scelta di evitare quei labirinti interpretativi “tradizionali” in materia che tuttavia, prima o poi, risolutamente, dovranno esser affrontati.Articoli correlati
- linee guida del Tribunale di Milano
- Ristrutturazione del debito – procedure concorsuali
- Ristrutturazione del debito e ripristino liquidità