CONSIGLIO di STATO sentenza n. 563 del 9 febbraio 2017 sez. IV
LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFERMITA’ PER CAUSA DI SERVIZIO ED EQUO INDENNIZZO – IN GENERE – PROVVEDIMENTI DI DINIEGO DELL’EQUO INDENNIZZO – IMPUGNAZIONE NEL TERMINE DI DECADENZA
FATTO E DIRITTO
1. In data 10 luglio 1989 è deceduto il tenente colonnello G. C., a seguito di un’infermità riconosciuta dipendente da causa di servizio.
2. Con provvedimento del 18 maggio 1998 l’Amministrazione ha accordato l’equo indennizzo in favore delle eredi, la moglie, signora R. C., e la figlia, signora F. C..
3. Con istanza presentata il 9 maggio 2005, le eredi dello scomparso hanno chiesto la riliquidazione dell’equo indennizzo avendo appreso, a seguito di accesso agli atti, che – con decreto ministeriale n. 867 del 10 luglio 1991 – il congiunto sarebbe stato promosso al grado di colonnello con anzianità assoluta e decorrenza dal 9 luglio 1989 (ossia dal giorno precedente il decesso) e con decorrenza dei relativi benefici economici dal 29 dicembre 1990.
4. Con provvedimento del 21 settembre 2005, l’Amministrazione della difesa ha accolto l’istanza e proceduto alla riliquidazione dell’indennizzo, calcolandolo sulla base della retribuzione corrispondente al grado di colonnello.
5. Le signore C. e C. hanno agito in giudizio per il riconoscimento del diritto agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria – maturati e maturandi, dalla data del decesso sino all’effettivo soddisfo – sulle somme corrisposte a titolo di equo indennizzo, nonché per il risarcimento dei danni economici e morali sofferti per il ritardo dell’Amministrazione nella liquidazione e nella riliquidazione del beneficio, peraltro non corrette per l’omessa considerazione di interessi e rivalutazione.
6. Con sentenza 9 novembre 2010, n. 33306, il T.A.R. per il Lazio, sez. I bis, ha respinto il ricorso, reputando fondata l’eccezione di prescrizione del credito ex art. 2948 c.c. opposta dalla difesa erariale.
7. Le ricorrenti hanno interposto appello contro la sentenza sostenendo che:
a) per gli accessori derivanti da crediti previdenziali e per i crediti per il cui riconoscimento occorra un provvedimento amministrativo varrebbe il termine lungo di prescrizione decennale;
b) il dies a quo decorrerebbe dal nuovo provvedimento di riliquidazione dell’equo indennizzo, adottato nel 2005 (su istanza di parte e non in via di autotutela, come erroneamente avrebbe invece affermato il primo giudice);
c) per costante giurisprudenza, agli eredi beneficiari dell’equo indennizzo, in caso di morte del dipendente, spetterebbero interessi legali e rivalutazione monetaria a partire dalla data del decesso; il “criterio dinamico”, evocato dal T.A.R., sarebbe fuori luogo in quanto destinato a valere solo quando il richiedente sia ancora in vita;
d) la decisione impugnata avrebbe omesso di pronunziarsi sulla domanda risarcitoria per il danno da ritardo.
8. Il Ministero della difesa si è costituito in giudizio per resistere all’appello, senza svolgere difese, ma depositando il fascicolo di primo grado.
9. All’udienza pubblica del 19 gennaio 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
10. In via preliminare, il Collegio osserva che:
a) la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio;
b) è infondata l’eccezione di intervenuta prescrizione del diritto, fatta invece propria dal T.A.R., in quanto: I) il riconoscimento del diritto all’equo indennizzo costituisce una posizione di diritto soggettivo del pubblico dipendente alla corretta determinazione e pagamento delle somme dovute, tutelabile entro l’ordinario termine di prescrizione (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 29 gennaio 1992, n. 33; Cons. Stato, sez. III, 14 giugno 2011, n. 3621; id., 22 maggio 2012, n. 2987); II) il medesimo termine prescrizionale vale per capitale e accessori, in ragione dell’unitarietà del credito (cfr. Cass. civ., sez. lav., 13 aprile 2006, n. 8677; id., 1° marzo 2010, n. 4899). La ricordata eccezione, fondata sul presupposto dell’applicabilità della prescrizione quinquennale, va perciò respinta.
11. Nel merito, l’appello è infondato.
11.1. Le appellanti valorizzano quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, se il credito del dipendente per equo indennizzo, essendo dinamicamente agganciato alla retribuzione e godendo di un proprio meccanismo sostanzialmente rivalutativo (c.d. criterio dinamico), non è soggetto a rivalutazione monetaria, questa invece spetterebbe quando il credito è azionato dagli eredi, in quanto l’obbligo di liquidazione dell’equo indennizzo decorre dalla data del decesso e non da quella di conclusione del relativo procedimento, cosicché dalla stessa data andrebbero computati interessi e rivalutazione sulla somma spettante agli eredi medesimi, (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 gennaio 1996, n. 26; sez. VI, 29 luglio 2004, n. 5359; sez. VI, 9 maggio 2006, n. 2523; sez. IV, 26 luglio 2008, n. 3692; sez. IV, 20 maggio 2009, n. 3116; sez. V, 15 settembre 2010, n. 6783).
11.2. Pertanto, nel diritto vivente, il credito derivante dall’equo indennizzo è soggetto a due distinti meccanismi di adeguamento: il c.d criterio dinamico, previsto dall’art. 154, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, a tenore del quale “per la liquidazione dell’equo indennizzo si fa riferimento in ogni caso al trattamento economico da considerare nell’ambito della qualifica funzionale o del livello retributivo di appartenenza del dipendente al momento di presentazione della domanda” (criterio confermato dall’art. 22, comma 27, della legge 23 dicembre 1994, n. 724); il riconoscimento della rivalutazione monetaria e degli interessi.
11.3. E’ del tutto evidente che, ad evitare ingiustificati arricchimenti, i due ricordati meccanismi sono alternativi e non possono cumularsi.
11.4. E poiché, nella specie, le eredi dell’ufficiale hanno ottenuto la riliquidazione dell’equo indennizzo sulla base della retribuzione spettante al grado di colonnello, riconosciuto al loro congiunto solo post mortem con effetti economici a partire, come detto, dal 29 dicembre 1990, esse non possono poi pretendere anche il riconoscimento di rivalutazione e interessi, cosicché la relativa pretesa è infondata.
11.5. Parimenti priva di pregio è la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo perché, secondo una giurisprudenza consolidata, dalla quale il Collegio non vede ragione di discostarsi, tale fattispecie va pienamente ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza inoltre che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2675; sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406; sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63; sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675; sez. V, 25 marzo 2016, n. 1239; sez. IV, 28 dicembre 2016, n. 5497). Il comma 1 bis dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, che per la prima volta dà rilievo normativo al danno da mero ritardo collegandovi un diritto all’indennizzo, è stato inserito dall’articolo 28, comma 9, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98) e, in disparte ogni altra considerazione, è inapplicabile ratione temporis alla vicenda controversa. Nel caso di specie, escluso l’elemento soggettivo dell’illecito (manca la colpa, e ancor prima l’illegittimità, nel comportamento dell’Amministrazione), le appellanti non hanno offerto alcuna prova del danno asseritamente sofferto, declinato in termini del tutto generici e apodittici; dal che l’infondatezza della pretesa.
12. Dalle considerazioni che precedono discende che – come anticipato – l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.
13. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
14. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
15. Considerata la natura della controversia e il suo carattere risalente, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa fra le parti le spese del presente grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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