Consiglio di Stato sez. VI sentenza n. 3823 del 31 luglio 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6322 del 2016, proposto dal signor C. De D., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Vocino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza delle Primule, 8;
contro
La s.p.a. Poste Italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Filippetto, con domicilio eletto presso la Sede legale della s.p.a. Poste Italiane in Roma, viale Europa, n. 190;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio, sezione III ter n. 8266/2016, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dela s.p.a. Poste Italiane;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2017 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Vocino Antonio e Filippetto Marco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza n. 8266 del 19 luglio 2016, il TAR per il Lazio (Sezione Terza Ter) rigettava il ricorso proposto dall’ing. De D. C., inteso ad ottenere l’accertamento del diritto di accedere agli atti richiesti con istanza del 28 dicembre 2015 e per la condanna di Poste Italiane s.p.a. al rilascio di copia degli stessi.
Il giudice di primo grado così motivava il disposto diniego.
«Il diritto di accesso è esercitabile anche nei confronti dei soggetti, aventi natura privatistica (come Poste Italiane s.p.a.), purchè gli stessi svolgano attività di pubblico interesse ed il documento, di cui viene richiesto l’accesso, sia riferibile alla predetta attività. In sostanza, come ha avuto modo di affermare in più occasioni la giurisprudenza, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso nei confronti dei gestori di pubblici servizi è necessario che il documento di cui viene richiesta l’esibizione e la copia sia riferibile ad un ambito almeno strumentale rispetto all’attività, di pubblico interesse, quale è quella di erogazione del servizio.
In quest’ottica, anche l’atto inerente il rapporto di lavoro con il gestore di un servizio pubblico può, in astratto, essere oggetto del diritto di accesso se ed in quanto strumentalmente connesso con la gestione e l’erogazione del pubblico servizio.
Con riferimento alla fattispecie oggetto di causa il ricorrente non ha fornito prova alcuna del fatto che il rapporto di lavoro, cui si riferiscono gli atti oggetto dell’istanza di accesso del 28 dicembre 2015, sia strumentalmente connesso con il pubblico servizio espletato da Poste Italiane s.p.a. e non sia, invece, riferibile ad una delle molteplici attività poste in essere dal predetto ente in regime privatistico; in quest’ottica, deve essere rilevato che la richiesta di accesso non riguarda atti di organizzazione, ma atti di gestione del rapporto individuale di lavoro.
Alla stregua dei predetti principi la mancata dimostrazione di uno specifico nesso di strumentalità tra gli atti di gestione del rapporto di lavoro, oggetto dell’istanza di accesso, e l’espletamento del pubblico servizio osta all’accoglimento del ricorso e alla declaratoria del diritto di accesso in favore del De Donno».
2. Avverso tale sentenza l’ingegner De D. ha proposto appello, deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma.
L’interessato ha lamentato un errore nel giudicare nell’appellata sentenza – la mancata pronuncia sulla domanda di accedere ai documenti richiesti con lettera del 29 dicembre 2015, la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, 23, 24 e 25 della legge n. 241/1990, dell’art. 97 Cost., dell’art. 116 c.p.c.
Egli richiama, in particolare, l’articolo 22 della legge n. 241/1990, secondo cui sono soggetti alla disciplina del diritto di accesso i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale e comunitario e richiama, ancora, gli orientamenti giurisprudenziali secondo i quali l’accesso agli atti del gestore del servizio pubblico, pur quando sono disciplinati dal diritto privato, consente il perseguimento delle medesime finalità connesse all’accesso agli atti dell’amministrazione.
L’appellante evidenzia, inoltre, come gli atti richiesti attengano ad un periodo in cui la s.p.a. Poste Italiane era un ente pubblico economico ed esercitava poteri autoritativi tipici della p.a., sottolinea, infine, il proprio interesse all’accesso ai documenti richiesti, in considerazione della stretta attinenza dei medesimi alla propria progressione in carriera (mirando ad una qualifica dirigenziale).
3. Ritiene la Sezione che l’appello non sia fondato e vada respinto.
In primo luogo va evidenziato che è irrilevante il fatto che gli atti – dei quali è richiesto l’accesso – si riferiscano ad un periodo in cui Poste Italiane era un ente pubblico economico.
Va, invero, evidenziato, che la sussistenza del diritto di accesso ed il suo esercizio vanno valutati con riferimento al momento in cui la relativa domanda venga prodotta dal privato, risultando nella specie l’obbligo connesso alla peculiare natura del soggetto destinatario della richiesta e del regime giuridico per lo stesso operante nel momento in cui l’accesso viene esercitato.
Ciò posto, rileva il Collegio che la richiesta presentata dall’appellante, datata 28 dicembre 2015, concerne l’accesso alla seguente documentazione: «1) prospetti paga (Cedolini dello stipendio) relativi al periodo da gennaio 1995 a luglio 1996; 2) dichiarazioni e /o certificazioni delle Contribuzioni previdenziali e assistenziali mensili (analitiche e personali) trasmesse da codesta società all’Ente Previdenziale competente relativamente al periodo dal gennaio 1995 al dicembre 1996; 3) libro paga e matricola e gli altri libri obbligatori per legge (sostituiti dalla l. n. 133/08 con il Libro Unico del Lavoro; per la parte personale/individuale relativamente dal gennaio 1995 al dicembre 1996; 4) fascicolo personale del dipendente; foglio/stato matricolare /servizio/carriera, integrale, analitico e dettagliato del dipendente per il periodo dal 1982 al 2015; 6) registri di presenza (modelli 70 P) per il periodo da aprile 1995 ad agosto 1996 con riferimento alle dieci articolazioni della direzione centrale, area sistema informativo e organizzativo e rete di TLC (ASIORT) di cui all’allegato della presente richiesta».
La domanda di accesso riguarda evidentemente – per come emerge dai contenuti sopra richiamati – atti relativi al rapporto di lavoro dell’appellante con Poste Italiane.
Rilevano al riguardo i principi da ultimo espressi in materia dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, la cui corretta applicazione conduce alla infondatezza della domanda proposta e, dunque, al rigetto dell’appello.
L’Adunanza Plenaria, con la sentenza 28 giugno 2016, n. 13, ha avuto modo di statuire in materia quanto segue.
«E’ anche necessario , tuttavia, attribuire significato alla disposizione legislativa (art. 22 cit, lett. e) che assimila all’amministrazione i soggetti privati, ma “limitatamente alle loro attività di pubblico interesse”. A quest’ultimo riguardo – e con riferimento al quesito specificamente proposto, per la decisione richiesta nel caso di specie – l’Adunanza Plenaria ritiene che non si possa prescindere dal principio di trasparenza, operato col già richiamato d.lgs. n. 33 del 2013, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 35, della legge 6 novembre 2012 , n. 190 (Disposizioni per la prevenzione della corruzione e della illegalità nella pubblica amministrazione). Nello stesso articolo , al quindicesimo comma, la trasparenza dell’attività amministrativa è definita come “livello essenziale… delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, anche con specifico riferimento, per quanto qui interessa (al comma 16), a “concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale” nonché alle “progressioni in carriera”, di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 150/2009….; è altresì specificato (al comma 34 del medesimo art. 1) che “Le disposizioni dai commi da 15 a 33 si applicano alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 … agli enti pubblici nazionali, nonché alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, limitatamente alle loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione Europea”; quanto sopra con la precisazione (al comma 36), secondo cui “Le disposizioni, di cui al decreto legislativo adottato ai sensi del comma 35 integrano l’individuazione del levello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma lett. m) della Costituzione..”.
Con la medesima legge (art.1, comma 37) è stato modificato l’art. 1, comma 1 ter della legge n. 241/1990, inserendo, tra i principi generali dell’attività amministrativa l’assicurazione che i soggetti privati “preposti all’esercizio di attività amministrative” forniscano – per l’attuazione di detti principi ( economicità, imparzialità, efficacia, pubblicità e trasparenza) – “ un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le amministrazioni”.
Dall’esame sistematico delle disposizioni sopra citate emergono non solo la considerazione del rapporto di lavoro, come fattore strumentale alla normale gestione del servizio pubblico postale (Cons. Stato, VI, n. 2855/2002), ma anche la rilevanza ex se di tale rapporto, per l’osservanza delle regole di imparzialità e trasparenza, che vincolano tutti i soggetti chiamati a svolgere funzioni pubbliche (anche nella veste di datori di lavoro), nell’ambito dei servizi che le amministrazioni intendono assicurare ai cittadini, direttamente o in regime di concesssione.
Ad avviso di questa Adunanza , tuttavia, nel settore lavorativo di cui trattasi opera – benchè in una prospettiva diversa (avendo qui in rilievo il contesto normativo sotto indicato e non la giurisprudenza comunitaria in materia di appalti, per quanto riguarda gli organismi di diritto pubblico: sent. Corte Giust., C- 396/06 Aigner) – l’accezione restrittiva rilevata per l’applicazione della direttiva 2004/17/CE, riferita agli enti erogatori di acqua e di energia, nonché a quelli che forniscono servizi di trasporto e servizi postali.
Tali enti – in quanto titolari di diritti speciali ed esclusivi – agiscono nell’ambito dei settori sopra indicati, ma svolgono anche attività in pieno regime di concorrenza, direttamente esposti alle regole del mercato e possono, per tale ragione, vedere in qualche misura attenuata la disciplina propria delle amministrazioni pubbliche. Per quanto riguarda il rapporto di lavor – strumentale a tutte le attività svolte – gli obblighi di trasparenza appaiono dunque coerentemente suscettibili di delimitazione, con riferimento al combinato disposto degli articoli 11, comma 3, d.lgs. n. 33/2013 (ambito soggettivo degli obblighi di trasparenza), 1, comma 1, del d.lgs. n. 165/2016 (ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche , in tema di organizzazione degli uffici e di ottimale utilizzazione delle risorse umane) e 1, comma 16, della già ricordata legge delega n. 190/2012: disposizioni quelle appena richiamate, che consentono di circoscrivere l’accesso ai settori di autonoma rilevanza pubblicistica (e non di quotidiana gestione dei rapporti di lavoro) ovvero alle prove selettive per l’assunzione di personale, alle progressioni di carriera e a provvedimenti concernenti l’auto-organizzazione degli uffici, quando gli stessi –benchè doverosamente ispirati a tutti i principi, di cui all’art. 24 del già citato d.lgs. n. 150 del 2009 – incidano negativamente sugli interessi dei lavoratori, protetti anche in ambito comunitario».
Ritiene la Sezione, richiamati i condivisi principi dell’Adunanza Plenaria, che nella vicenda in esame gli atti dei quali si richiede l’accesso (vale , comunque, rammentare che Poste Italiane ha comunque prodotto in giudizio lo stato di servizio dell’ing. De Donno) attengono propriamente alla quotidiana gestione del rapporto di lavoro e non anche agli atti dei quali – come sopra visto – è consentito l’accesso.
In buona sostanza, l’appellante, attraverso gli stessi, intende dimostrare in giudizio il suo diritto alla superiore qualifica dirigenziale ed il successivo demansionamento.
Trattasi, peraltro, non di atti aventi autonoma rilevanza pubblicistica, attinenti a procedure di accesso e di avanzamento, ma di atti individuali (attinenti essenzialmente alla gestione del rapporto di lavoro), dai quali si intende ricavare il diritto ad un inquadramento superiore.
Essi evidentemente risultano privi di quella rilevanza pubblicistica che – sulla base dei principi esposti dall’Adunanza plenaria – consentono l’esercizio del diritto di accesso.
La relativa tutela potrà, dunque, avvenire, ove ne ricorrano i presupposti, dinanzi al giudice del lavoro.
4. Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte l’appello risulta infondato, con conseguente conferma della gravata sentenza.
La peculiarità della controversia, le oscillazioni giurisprudenziali in materia e il tempo nel quale si è pronunciata l’Adunanza Plenaria giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del secondo grado del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6322 del 2016, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese del secondo grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2017, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Francesco Mele | Luigi Maruotti | |
IL SEGRETARIO
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