AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 20 dicembre 2021, n. 836
Corretta qualificazione dei proventi ex art. 60 del D.lgs 50/2017
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La SICAF istante è una società di investimento a capitale fisso avente ad oggetto l’esercizio in via esclusiva del servizio di gestione collettiva del risparmio in Italia.
L’Istante è stata costituita nel 2007 per dare vita ad un progetto di investimento e sviluppo tipico delle cd. investment company.
Il progetto è stato avviato nel 2012 e prevedeva l’acquisto di quote di capitale di piccole e medie imprese italiane non quotate, per supportarne la crescita e lo sviluppo e, successivamente, procedere alla cessione delle relative partecipazioni.
Il capitale sociale della SICAF (pari euro 4.201.022) risulta interamente sottoscritto ed i suoi soci sono composti per la quasi totalità da enti giuridici di vari natura (residenti e non).
Le azioni della SICAF sono così suddivise ( cfr. artt. 5 e 14 dello Statuto):
– n. 4.200.000 Azioni di classe A (di seguito, le “Azioni A”) che rappresentano il 99,97% del capitale sociale, detenute dai soci che si possono definire “ordinari” e garantiscono i canonici diritti amministrativi e i diritti patrimoniali secondo i limiti e le priorità definiti nello Statuto;
– n. 1000 Azioni di classe B (di seguito, le “Azioni B”) riservate in sottoscrizione all’ Advisor e ai key manager, che attribuiscono il diritto ad una remunerazione più che proporzionale rispetto al capitale investito (e, quindi, incorporano il cd. carried interest);
– n. 22 Azioni di classe C (di seguito, le “Azioni C”) riservate in sottoscrizione all’ Advisor, che rilevano ai fini meramente gestori, attribuendo alcuni diritti amministrativi e non riconoscono diritti patrimoniali ulteriori rispetto alla restituzione dell’investimento (pari Euro 22);
– Azioni di classe D (di seguito, le “Azioni D”) che derivano dalla conversione delle azioni A nella titolarità dei soci inadempienti, ovvero di quelli che non hanno completato ” il versamento anche di una sola parte degli importi dovuti, a seguito di impegno vincolante assunto nei confronti della società”, che attribuiscono diritti patrimoniali e amministrativi limitati (si tratta di una categoria di azioni non presente nel capitale sociale in quanto tutti i soci hanno versato il commitment dovuto).
Le regole di distribuzione degli utili ai soci sono stabilite dall’art. 14 dello Statuto. Ai fini della distribuzione vengono definite ” Entrate Distribuibili” qualsivoglia ” provento o flusso positivo, diverso dai versamenti effettuati dai soci della Società” al netto di ” spese e costi sostenuti dalla Società per la sua ordinaria attività” oltre che ” di un importo pari alle tasse e alle imposte da versare a carico della società”.
Come evidenziato nell’istanza, lo Statuto e l’Accordo di investimento prevedono la distribuzione delle ” Entrate Distribuibili” secondo il seguente ordine:
(i) in primo luogo, a tutti i soci titolari di Azioni A, B e C, in misura pari ai versamenti effettuati a titolo di capitale;
(ii) in secondo luogo, a tutti i soci “ordinari”, in proporzione al numero di Azioni A detenute dagli stessi, sino a che tali azioni abbiano ricevuto ” un importo pari al rendimento del 6% (sei per cento) annuo composto”;
(iii) una volta integrate le predette soglie di distribuzione, i titolari di Azioni B avranno diritto a ricevere proventi ” sino a che sia stato attribuito loro un importo pari al 20% (venti per cento) delle Entrate Effettivamente Distribuibili complessivamente allocate e distribuite”;
(iv) successivamente sono previste ulteriori distribuzioni a favore dei titolari di Azioni A, in misura pari agli importi pagati a titolo di cd. “sovraprezzo”;
(v) e da ultimo, ai titolari di Azioni A (in misura pari all’80%) e di Azioni B (in misura pari al 20%), in modo da suddividere le (eventuali) ulteriori risorse disponibili.
Tutte le azioni possono essere sottoscritte esclusivamente mediante versamenti in denaro. La società potrà, inoltre, richiedere ai soci il versamento di importi in conto capitale, da destinare a riserva di patrimonio, a fronte di impegni di versamento vincolanti assunti dai soci nei confronti della società (par. 5.3 dello Statuto).
Viene altresì specificato che la partecipazione a tali distribuzioni non è garantita in quanto subordinata al raggiungimento da parte della società di un livello di risorse economiche e finanziarie adeguato. In particolare, viene rappresentato che ” Non appena le Entrate Effettivamente Distribuibili raggiungeranno l’ammontare complessivo di Euro 2.000.0000 (due milioni) e fino al termine di durata della Società, il Consiglio di Amministrazione dovrà tempestivamente convocare l’Assemblea dei soci affinché questa deliberi la distribuzione delle Entrate Effettivamente Distribuibili secondo le regole di distribuzione”.
Come previsto al par. 3.3 dell’Accordo di investimento, l’impegno iniziale dei soci ( commitment) che detengono Azioni A del valore nominale di Euro 1,00 (uno) è stato pari a Euro 10 per azione.
Il Commitment Azioni B corrisponde al valore nominale di tutte le Azioni B emesse dalla SICAF ed e pari ad Euro 1.000,00 (mille). Il Commitment Azioni B non potrà mai superare il detto importo di Euro 1.000,00 (mille) e si intende versato integralmente all’atto della sottoscrizione delle Azioni B.
Il Commitment Azioni C corrisponde al valore nominale di tutte le Azioni C emesse dalla SICAF ed e pari ad Euro 22,00 (ventidue). Il Commitment Azioni C non potrà mai superare il detto importo di Euro 22,00 (ventidue) e si intende versato integralmente all’atto della sottoscrizione delle Azioni C.
Pertanto, il Commitment Complessivo è pari ad Euro 42.001.022,00 (quarantadue milioni mille e ventidue), di cui Euro 42.000.000,00 (quarantadue milioni) relativo alle Azioni A, ad oggi integralmente versato.
Come statuito nell’Accordo di investimento le Azioni B sono state sottoscritte da due manager della Società istante, anche per il tramite di società dagli stessi interamente partecipate.
Oltre a tale investimento i Manager hanno sottoscritto quote di uno degli investitori della SICAF, risultando così titolari indirettamente di un commitment di Euro 147.292,00.
I suddetti Manager al fine di poter beneficiare della presunzione di legge prevista dall’articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 si sono attivati per raggiungere il livello minimo di investimento richiesto dalla norma in esame.
Tuttavia, essendo la SICAF un OICR di tipo chiuso, la possibilità di poter raggiungere la soglia dell’1% è strettamente connessa alla volontà degli altri soci di dismettere la propria partecipazione.
Come chiarito dall’Istante solo in tempi recenti i Manager sono riusciti a raggiungere la soglia dell’1%, grazie all’acquisto di una partecipazione in uno degli investitori nella SICAF, titolare di Azioni A.
In particolare, tramite l’acquisto al prezzo complessivo di euro 200.000,00 del 30% delle quote della società Alfa, titolare di n. 100.000 Azioni A (risultando quindi titolari indirettamente di n. 30.000 Azioni A, cui corrisponde un commitment di euro 300.000).
Pertanto, i Manager hanno completato l’investimento nella SICAF acquistando quote rappresentative di un commitment pari ad euro 447.692, ossia l’1,06% del commitment complessivo di euro 42.001.022,00.
Viene, infine, evidenziato che ad oggi non sono maturati i presupposti, in capo alle Azioni B di distribuzione del carried interest e che non è certo che tali presupposti siano raggiunti prima della conclusione del periodo di durata dell’investimento, in scadenza il 9 novembre 2022.
Ciò premesso, l’Istante chiede se in assenza ab origine delle condizioni per l’applicazione della presunzione legale di cui all’articolo 60 decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, per la mancanza dell’impegno complessivo da parte dei Manager nella misura dell’1 per cento, i proventi derivanti dalla sottoscrizione di azioni dotate di diritti patrimoniali rafforzati da parte dei Manager ” possano essere considerati come redditi di natura finanziaria, in virtù di una valutazione complessiva delle condizioni previste nelle disposizioni statutarie che li disciplinano”.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene che, nonostante la mancata integrazione dei requisiti di ordine quantitativo e temporale per l’applicazione della presunzione ope legis prevista dall’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, i proventi relativi alle Azioni B, detenute dai Manager della SICAF, rivestano natura finanziaria e, pertanto, non debbano rientrare nell’ambito dei redditi da lavoro dipendente o assimilati al lavoro dipendente.
A tal fine, viene evidenziato che le Azioni B sono state emesse con la finalità di allineare gli interessi dei Manager con quelli degli altri soci.
I diritti patrimoniali rafforzati connessi con le Azioni B maturano dopo che i titolari di Azioni A abbiano ricevuto un rendimento annuo del 6% oltre che la restituzione del capitale investito.
I proventi derivanti dalle Azioni B sono, in concreto, legati a risultati economici conseguiti dalla SICAF in relazione alla gestione delle partecipazioni in portafoglio, senza che sia prevista alcuna determinazione discrezionale da parte dell’Assemblea dei soci circa l’ an o il quantum.
Inoltre, viene evidenziato che, pur se inizialmente l’ammontare investito da parte dei Manager non integrava la soglia dell’1%, non appena si sono presentate le condizioni, gli stessi hanno integrato l’investimento raggiungendo la soglia richiesta dalla norma in esame. Ad oggi le risorse investite dai Manager per l’acquisto di azioni della SICAF (sia di Azioni A, sia Azioni B che Azioni C) ammontano complessivamente ad euro 539.000 per i due Manager.
A ciò si aggiunge che nessuna clausola statutaria limita il rischio assunto dai Manager, il cui investimento è pertanto esposto al rischio di perdita totale.
Come previsto dall’articolo 5.3 dello Statuto, le somme versate per tutte le azioni emesse dalla SICAF (incluse le Azioni B) costituiscono ” apporti patrimoniali in conto capitale”.
A parere dell’Istante occorre, altresì, considerare che ad oggi il valore delle partecipazioni gestite dalla SICAF non ha raggiunto un valore tale da consentire il rimborso ai soci del capitale investito e dell’investimento minimo garantito (6%) e quindi non ha raggiunto un livello tale da garantire la distribuzione del carried interest.
Inoltre, la natura finanziaria dell’investimento sarebbe confermata anche dalla remota o comunque limitata attivazione delle clausole di leavership previste nell’Accordo di investimento ( cfr. par. 5.4).
In particolare, nell’ipotesi di ” bad leaver” il Manager uscente dovrà cedere tutte le proprie Azioni B ai restanti Manager, che saranno tenuti ad acquistarle, in proporzione al numero di azioni dai medesimi detenute, ad un prezzo pari al minore tra quanto versato al Commitment delle Azioni B e il fair market value, al netto delle distribuzioni ricevute dal Manager uscente; in alternativa, le Azioni B del Manager uscente potranno essere cedute, in tutto o in parte, alla SRL al prezzo anzidetto, con correlato azzeramento o riduzione delle Azioni B.
In ipotesi di ” good leaver” il Manager uscente (ovvero i suoi eredi) resteranno titolari delle Azioni B detenute con tutti i connessi obblighi e diritti.
Infine in ipotesi di ” other leaver” il Manager uscente dovrà cedere le Azioni B detenute ai restanti Manager ad un prezzo pari al loro valore nominale, ma manterrà il diritto a ricevere una quota del carried interest (qualora già maturato). In alternativa, le Azioni B del Manager uscente potranno essere cedute, in tutto o in parte, alla SRL al prezzo anzidetto, con correlato azzeramento o riduzione delle Azioni B.
Ciò posto, a parere dell’Istante le caratteristiche sopra evidenziate sono idonee a qualificare i proventi relativi alle Azioni B come redditi di natura finanziaria anche in carenza degli elementi indicati dall’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 60, comma 1, decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 prevede che i «proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati», si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, « in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi».
La presunzione in questione, operante ope legis, è applicabile in presenza delle condizioni individuate dal medesimo articolo, comma 1, lettere a), b) e c), ovvero:
« a) l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1 per cento dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti;
b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo;
c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione».
Come chiarito dalla relazione illustrativa al citato decreto legge n. 50 del 2017, la sussistenza dei richiamati requisiti è garanzia di un allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell’investimento e di rischio di perdita del capitale investito, ciò che costituisce la ratio dell’assimilazione dei proventi in argomento ai redditi di natura finanziaria.
Al ricorrere delle condizioni di cui alle lettere a), b), c), quindi, al provento percepito dal manager o dal dipendente è attribuita ex lege natura finanziaria a prescindere da qualsiasi legame con l’attività lavorativa prestata presso la società, ente o OICR partecipati.
Come chiarito nella circolare 16 ottobre 2017, n. 50, in relazione al momento di individuazione della percentuale dell’investimento minimo richiesto dalla lettera a) ai manager che detengono quote di fondi di investimento, occorre, in particolare, tener conto del meccanismo di funzionamento degli stessi – definito da ogni singolo regolamento – che, ordinariamente si articola in un primo periodo di sottoscrizione delle quote ( committment), cui fa seguito il versamento mediante il c.d. ” richiamo degli impegni” sottoscritti.
Tale meccanismo di funzionamento evidenzia che l’ammontare delle sottoscrizioni si riflette sulle risorse investite dal fondo; ciò, unitamente alla formulazione letterale della lettera a) del comma 1 dell’articolo 60 – che fa riferimento all’impegno assunto dai manager – consente di attribuire rilevanza alla fase della sottoscrizione, fase nella quale si manifesta l’impegno all’investimento.
Il requisito dell’investimento minimo può, quindi, ragionevolmente considerarsi soddisfatto se alla data di chiusura del periodo di sottoscrizione del fondo l’impegno complessivo dei manager/dipendenti rappresenta l’1 per cento del totale delle sottoscrizioni (committment), ferma restando la necessità che le quote vengano poi liberate a seguito del richiamo operato dal fondo, in applicazione del criterio dell’esborso effettivo, nell’ottica di garantire una effettiva partecipazione al rischio economico da parte del manager/dipendente.
Laddove l’ammontare delle quote richiamate sia inferiore a quello delle quote sottoscritte, per effetto dei minori investimenti deliberati, la determinazione della soglia dell’1 per cento risulterà riproporzionata in ragione del minor investimento del fondo. In tal caso, il requisito si intende comunque integrato se i complessivi versamenti eseguiti dai manager e dipendenti siano pari all’1 per cento degli investimenti effettuati dal fondo.
La sussistenza delle condizioni fissate dalla norma attribuisce al provento percepito dal dipendente o dall’amministratore natura finanziaria a prescindere da qualsiasi legame con l’attività lavorativa prestata presso la società, ente od OICR partecipati o presso società od enti collegati o controllati dalle prime ( cfr. Circolare n. 25/E del 2017 – paragrafo 4).
La sopra richiamata circolare ha chiarito che l’assenza di una delle condizioni richieste pone viceversa il tema della qualificazione reddituale, e richiede una analisi volta a verificare caso per caso la natura del provento, onde stabilire se esso sia effettivamente collegato all’assunzione del rischio derivante dall’investimento, o se viceversa rappresenti un compenso per l’attività lavorativa prestata.
Al riguardo, un criterio rilevante di valutazione è sicuramente l’idoneità dell’investimento, anche in termini di ammontare, a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e management e la correlata esposizione al rischio di perdita del capitale investito che contraddistingue l’investimento del management. Se tale caratteristica può costituire un indice della natura finanziaria del provento, pattuizioni che incidano in senso negativo sulla posizione di rischio del manager fino a neutralizzarla del tutto (si pensi a clausole che garantiscano al dipendente la restituzione integrale, in ogni caso, del capitale investito) mal si conciliano con la qualificazione dello stesso come reddito di capitale o diverso.
Riguardo alle clausole di good o bad leavership, in linea generale la loro presenza – e, a fortiori il loro utilizzo – costituisce un indicatore utile a collegare il provento all’impegno profuso dal manager nell’attività lavorativa (e quindi a produrre reddito di lavoro). Non può escludersi, tuttavia che la ricorrenza di altri elementi di segno opposto, quali ad esempio l’esposizione ad un effettivo rischio di perdita del capitale investito, possano far propendere per la natura finanziaria del provento.
Viceversa, consentire al manager di mantenere la titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro costituisce un’indicazione sufficiente ad escludere in radice uno stretto legame con l’attività lavorativa del manager, ed indica la natura finanziaria del reddito in questione.
Nel caso di specie, come evidenziato dallo stesso Istante, il requisito dell’investimento minimo non risulta integrato dall’origine, in quanto i Manager hanno investito inizialmente circa euro 150.000,00 su un totale di investimento complessivo di euro 42.001.022,00 (0,35%).
Tuttavia, per effetto di investimenti successivi da parte dei Manager, alla data odierna l’investimento complessivo risulta essere pari a un commitment di euro 447.692,00, vale a dire l’1,06 per cento del commitment complessivo.
Nel caso di specie, assume rilievo la circostanza che i diritti patrimoniali rafforzati delle Azioni B maturano solamente a seguito dell’avvenuto rimborso ai titolari di Azioni A dei versamenti effettuati a titolo di capitale e del pagamento di un rendimento pari al 6% annuo composto.
Come desunto dall’analisi dello Statuto della società, non esistono clausole di garanzia relative alla restituzione del capitale investito, viene infatti specificato che le Azioni B possono essere sottoscritte esclusivamente mediante versamenti in denaro e che gli stessi si considerano come apporti patrimoniali in conto capitale.
In merito alle clausole di good e bad leavership, assume rilievo la circostanza che in ipotesi di good leaver, i Manager mantengono la titolarità delle proprie azioni; mentre nell’ipotesi di other leaver, pur dovendo cedere le Azioni B, mantengono il diritto a ricevere parte del carried interest, in quanto l’accordo di investimento prevede l’obbligo, per gli acquirenti, di riversare ai Manager una quota dello stesso.
Inoltre, anche nelle ipotesi di bad leaver non è garantito ai Manager il ritorno dell’investimento in quanto gli stessi saranno tenuti a cedere le Azioni B ad un prezzo pari al minore tra quanto versato al Commitment e il fair market value, al netto delle distribuzioni eventualmente ricevute.
Le circostanze sopra riportate, unitamente alla sussistenza del requisito della postergazione del riconoscimento del carried interest, consente di escludere che i proventi derivanti dalle Azioni B abbiano la funzione di integrare la retribuzione ordinaria dei Manager, costituendo, invece, la remunerazione del capitale investito inquadrabile tra i redditi di natura finanziaria.
Il presente parere viene reso esclusivamente in relazione al quesito formulato, sulla base degli elementi rappresentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, ed esula da ogni valutazione circa fatti e/o circostanze non rappresentate nell’istanza e riscontrabili solo in eventuale sede di accertamento anche sotto il profilo dell’abuso del diritto ai sensi dell’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212.
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