CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 gennaio 2018, n. 131
Riliquidazione dell’indennità di disoccupazione agricola – Documentazione prodotta – Estinzione del giudizio
Rilevato che
– con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Catanzaro ha respinto l’impugnazione proposta da G.M. nei confronti dell’I.N.P.S., avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza che, dopo aver preliminarmente rigettato la richiesta di estinzione del giudizio ex art. 38, co. 1, lett. a) d.l. n. 98/2011 conv. in I. n. 111/2011 (considerata applicabile solo in caso di sussistenza delle condizioni previste dalla legge e non per effetto della volontà delle parti), aveva ritenuto infondata la domanda di riliquidazione dell’indennità di disoccupazione agricola per la mancata dimostrazione da parte del ricorrente di aver fruito di tale indennità;
– per la cassazione della suddetta sentenza ricorre G.M. con due motivi cui l’I.N.P.S. resiste con controricorso;
– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
– la ricorrente ha depositato memoria;
– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Considerato che
– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 38, co. 1, lett. a) d.l. n. 98/2011 conv. in I. n. 111/2011 in relazione alla mancata pronuncia di estinzione del giudizio;
– con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. lamentando l’error in procedendo commesso dai giudici di appello nel non essersi pronunciati sull’eccezione di estinzione di cui al primo motivo;
– il ricorso è inammissibile;
– entrambi i motivi hanno ad oggetto la pronuncia di estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 38, co. 1, lett. a) d.l. n. 98/2011 conv. in l. n. 111/2011;
– su tale questione il giudice di primo grado si era pronunciato espressamente (si veda il contenuto di tale decisione riprodotto dal ricorrente in cassazione) evidenziando la “inammissibilità di una riduzione della domanda entro il valore di € 500,00 allo scopo di ottenere l’estinzione del giudizio in applicazione dell’art. 38 del d.l. n. 98/2011 comma 1, lett. a)” e precisando che “le condizioni previste dalla legge devono essere presenti al momento di entrata in vigore della stessa e non per effetto della volontà delle parti”;
– non risulta, però, che tale passaggio argomentativo avesse formato oggetto di censura in sede di giudizio di secondo grado;
– dalla sentenza qui impugnata si evince che i rilievi sottoposti dall’impugnante alla Corte di appello avevano riguardato solo la pronuncia di rigetto relativa al merito della controversia e così, in particolare, il dato (ritenuto indimostrato dal Tribunale) che l’erogazione della provvidenza di cui invocava la riliquidazione fosse incontroverso tra le parti, la circostanza che la documentazione prodotta avesse comunque fornito la prova di tale avvenuta erogazione, l’utilizzabilità dei poteri d’ufficio per sopperire ad eventuali lacune;
– la ricorrente, invero, prospetta di aver proposto appello facendo rilevare che “il valore della causa, ritenuto indimostrato dal Tribunale, era in realtà un dato pacifico”, in tal modo pretendendo di ricollegare a questo asserito “decisum” la doglianza concernente la prova rilevabile dai documenti di causa;
– tuttavia non solo non vi è traccia di tale argomentazione nella pronuncia di primo grado (come detto riprodotta nel contenuto dal ricorrente in cassazione), potendosi, al contrario, evincere dalla stessa che vi era stata una riduzione della domanda entro il valore di € 500,00 allo scopo di ottenere l’estinzione del giudizio, ma neppure risulta compiutamente trascritto l’atto di appello al fine di dimostrare gli esatti termini del rilievo che si pretenderebbe sottoposto al giudice del gravame;
– di conseguenza deve ritenersi che sulla questione di rito afferente la pretesa declaratoria di estinzione risolta, nel senso del diniego, in sede di sentenza (con il carattere della decisorietà e definitività) si sia formato il giudicato;
– conclusivamente, non condivisa la proposta, il ricorso va dichiarato inammissibile;
– infine, non vi è luogo a condanna della parte soccombente alle spese, avendo già la Corte di appello dato atto della sussistenza delle condizioni per l’esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui all’art. 42 comma 11 d.l. 30/9/2003, n. 269, conv. – con modificazioni – nella legge n. 326 del 24/11/2003, ratione temporis applicabile, trattandosi di procedimento avviato successivamente al 2 ottobre 2003;
– va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13; co. 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 (l’obbligo- di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto – oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle pur sempre limitate, risorse a sua disposizione – così Cass., Sez. un., n. 22035/2014).
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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