CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 giugno 2017, n. 14237
Tributi – Accertamento – Motivazione ed onere della prova – Giuramento del contribuente – Oneri probatori – Riparto – Giudice tributario di merito – Valutazione – Criteri
Rilevato che
Con sentenza in data 16 settembre 2015 la Commissione tributaria regionale del Veneto respingeva gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso le sentenze n. 792/6/14-621/6/14 della Commissione tributaria provinciale di Padova che avevano accolto i ricorsi di S.N. contro gli avvisi di accertamento IRAP, IRPEF, IVA ed altro 2006-2007.
La CTR osservava in particolare che le pretese fiscali di cui agli atti impositivi impugnati non erano state adeguatamente comprovate, specificamente rilevando che le presunzioni sulle quali si basavano non avevano riscontro ulteriore e che comunque gli atti impositivi medesimi non erano motivati in modo congruo e quindi rispettoso del diritto di difesa del contribuente.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
L’intimato non si è costituito.
Considerato che
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’Agenzia fiscale ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione degli artt. 42, d.P.R. 600/1973, 7, L. 212/2000, poiché la CTR ha ritenuto non compiutamente motivati gli avvisi di accertamento de quibus.
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, cod. civ., 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 600/1973, poiché la CTR ha ritenuto probatoriamente non sufficienti gli elementi presuntivi utilizzati dall’Ente impositore per fondare le pretese creditorie portate dagli atti impositivi impugnati.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono fondate.
Va infatti ribadito che «In tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta, che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ.» (Sez. 5, Sentenza n. 9784 del 23/04/2010, Rv. 612593 – 01). Vi è inoltre da richiamare l’ulteriore principio di diritto riveniente dalla giurisprudenza di questa Corte che «In tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Sez. 5, Sentenza n. 9108 del 06/06/2012, Rv. 622995 – 01). La sentenza impugnata è evidentemente contrastante con questi principi di diritto, poiché sostanzialmente ha omesso una precisa e puntuale valutazione meritale sia dell’apparato motivazionale degli avvisi di accertamento de quibus sia del supporto probatorio indiziario degli stessi in rapporto alle relative controprove offerte dal contribuente, limitandosi a considerazioni del tutto generiche ed apodittiche circa l’insufficienza dell’uno ed alla incongruità dell’altro rispetto alla contabilità del soggetto verificato ed alla sua effettiva capacità contributiva.
In tal modo il giudice tributario di appello ha perciò “falsamente applicato” le disposizioni legislative evocate dall’Agenzia fiscale ricorrente in tema di motivazione degli atti impositivi e di prova indiziaria a sostegno degli stessi.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ad entrambi i motivi del ricorso, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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