CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 giugno 2017, n. 15984
Imposte indirette – IVA – Riscossione – Cartella di pagamento – Notifica a mezzo di posta elettronica certificata
Rilevato che
Con sentenza in data 17 settembre 2015 la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 310/3/11 della Commissione tributaria provinciale di Latina che aveva accolto il ricorso della I. srl contro la cartella di pagamento IVA 2006. La CTR osservava in particolare che il credito portato dall’atto esattivo non poteva considerarsi fondato e che il comportamento fiscale della società contribuente doveva ritenersi corretto.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
Resiste con controricorso la società contribuente, che successivamente ha depositato memoria.
Considerato che
In via preliminare di rito si deve affermare l’infondatezza dell’eccezione di nullità del ricorso agenziale in quanto notificato a mezzo PEC presso il difensore domiciliatario della società contribuente.
Il Collegio intende infatti da seguito alla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6-5, Ordinanza n. 20307 del 07/10/2016, Rv 641104) secondo la quale tale tipo di notificazione è consentita dalla normativa secondaria e relativi provvedimenti attuativi dell’art. 3 bis, legge 53/1994 (in particolare: d.m. 44/2011; provvedimento del 16 aprile 2014, Ministero della giustizia, Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati).
Peraltro, vi è comunque da ribadire che in ogni caso vale l’ulteriore principio di diritto che «L’irritualità della notificazione di un atto (nella specie, controricorso in cassazione) a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica (nella specie, in “estensione.doc”, anziché “formato.pdf”) ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale» (Sez. U, Sentenza n. 7665 del 18/04/2016, Rv. 639285 – 01; sul punto cfr. anche SU, Sentenza n. 11383 del 31/05/2016, Rv. 639971), essendosi tale “scopo” senz’altro raggiunto nel caso di specie, posto che la resistente controricorrente si è ampiamente difesa con il controricorso.
Vi è peraltro da notare che il precedente citato in memoria (Sez. 6-5, Ordinanza n. 17941 del 12/09/2016, Rv. 640801 – 01) non è affatto pertinente, dato che riguarda il diverso caso delle notifiche a mezzo PEC nel processo avanti al giudice tributano speciale.
Ciò considerato, con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – l’Agenzia fiscale ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36, comma 2, d.lgs. 546/1992, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., affermando la “mera apparenza” della motivazione della CTR.
La censura è fondata.
Vi è infatti da ribadire che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Va poi rilevato che la sentenza impugnata così motiva:
«La Commissione esaminati gli atti e sentite le parti, ritiene infondato l’appello proposto e non condivide le argomentazioni addotte a sostegno. Il Collegio rileva che sussiste l’illegittimità della cartella relativamente al comportamento dell’Ufficio che dapprima riconosce un credito IVA e dopo il suo utilizzo. Va rilevato che il 1° Giudice ha evidenziato un comportamento dell’Ufficio non correttamente condivisibile stante l’emissione di cinque avvisi bonari. La Commissione ritiene sussistere la buona fede in relazione al maggior riconoscimento di crediti IVA da parte dell’Ufficio tant’è che deve essere disattesa una eventuale malafede della contribuente per non aver evidenziato un credito IVA pari al doppio di quello ritenuto esistente. Va aggiunto da ultimo che il riconoscimento del maggior credito è avvenuto successivamente ai tre controlli della dichiarazione ovvero dopo una valutazione dell’Ufficio di tutta la documentazione a sua disposizione. La Società contribuente , nel caso che ne occupa, ha tenuto un comportamento lineare e condivisibile per cui non merita alcuna censura. La decisione e la motivazione di 1° grado non meritano censura e vanno confermate mentre l’appello va respinto». Risulta evidente che si tratta di una motivazione al di sotto del “minimo costituzionale” e comunque meramente “apparente”, poiché è tale «.. quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01) ed anche perché «.. è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 28113 del 16/12/2013, Rv. 629873).
Per ciò solo la sentenza impugnata merita di essere cassata.
Il ricorso deve dunque essere accolto in relazione al primo motivo, assorbito il secondo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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